Portare in tribunale gli ayatollah Un processo in Svezia
Testata: Il Foglio Data: 18 febbraio 2023 Pagina: 3 Autore: la redazione del Foglio Titolo: «Portare in tribunale gli ayatollah»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/02/2023, a pag.3, l'editoriale "Portare in tribunale gli ayatollah".
Al centro, Ebrahim Raisi
Trentaquattro anni dopo il massacro dei prigionieri politici iraniani nella grande resa dei conti tra i vincitori e gli sconfitti della Rivoluzione islamica, un processo in Svezia è una vittoria per le vittime e un incubo per il presidente in carica Ebrahim Raisi. Raisi è il filo rosso che collega le forche di ieri a quelle di oggi: nel 1988 era il capo della magistratura che decideva le condanne a morte per impiccagione dei dissidenti politici considerati “nemici del popolo e di Dio”, oggi è il capo del governo nel momento in cui l’Iran rispolvera la pratica disumana di punire il dissenso politico con le esecuzioni pubbliche di giovani manifestanti, con l’unico obiettivo di scoraggiare tutti gli altri dal proseguire le proteste. Nel processo svedese, per la prima volta, un esponente del regime iraniano che ha preso parte attivamente al massacro degli anni Ottanta, durante il quale circa quattromila persone sono state giustiziate nell’arco di poche settimane, viene giudicato in un processo internazionale per crimini contro l’umanità. L’imputato è Hamid Noury, è stato condannato all’ergastolo dopo il primo grado di giudizio a luglio 2022 – prima che cominciassero le proteste in Iran, quando il 16 settembre Mahsa Amini è morta mentre era in custodia della polizia religiosa, e prima che tornassero le esecuzioni dei dissidenti. Nuovi testimoni, proposti sia dalla difesa sia dall’accusa, saranno sentiti nel processo d’appello che è appena cominciato. La speranza delle famiglie delle vittime è che vengano accertati nuovi fatti ed emergano nuove testimonianze sul ruolo che aveva svolto all’epoca Raisi, e che questo possa avere conseguenze concrete in termini di sanzioni internazionali e isolamento del suo governo. La speranza dei dissidenti iraniani di oggi è che possa costituire un precedente contro l’eterna impunità dei propri carnefici.
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