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Antonio Donno
Israele/USA
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Netanyahu tra Kiev e Washington 18/02/2023
Netanyahu tra Kiev e Washington
Analisi di Antonio Donno

A destra: Benjamin Netanyahu

Sulla questione ucraina Netanyahu si mostra titubante e le ragioni sono evidenti. Nonostante l’annuncio della riapertura dell’ambasciata di Israele a Kiev, del prestito di 200 milioni di dollari per ragioni di assistenza medica e dell’avvenuto incontro tra il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, e l’ucraino Dmytro Kuleba sulla possibile fornitura di apparecchiature anti-missile israeliane a Kiev, il problema dei rapporti tra i due paesi in funzione anti-russa è estremamente delicato. Può Netanyahu rinunciare al sostegno russo nella lotta contro il transito di forniture militari iraniane agli hezbollah libanesi? Quale sarebbe la reazione di Putin di fronte all’aiuto militare – non soltanto sanitario, come è stato finora – di Gerusalemme a Kiev per difendersi dall’invasione russa?

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Joe Biden

     L’amministrazione Biden esorta Netanyahu a fare passi più concreti dal punto di vista militare a favore di Zelensky. Il primo ministro israeliano potrebbe farli, ma è molto probabile che chieda a Washington un contraccambio molto significativo nello scacchiere medio-orientale per compensare il probabile distacco di Putin dal suo impegno a non contrastare i raid israeliani in territorio siriano contro i convogli di armi di Teheran diretti in Libano. Una scelta molto difficile di politica internazionale in un momento nel quale Israele è scosso dalla contestazione contro le nuove leggi in materia giuridica che l’esecutivo intende varare.

     Se gli Stati Uniti non vogliono fallire nel loro intervento a favore dell’indipendenza dell’Ucraina e contro il progetto egemonico di Putin nell’Europa orientale, un tempo feudo di Mosca, dovranno far seguire alla loro richiesta di intervento israeliano in Ucraina una contropartita fondamentale a vantaggio di Gerusalemme, una contropartita che debba comportare un ritorno sostanziale degli Stati Uniti nell’arena del Medio Oriente. In primo luogo, Washington dovrà definitivamente rivedere la sua politica ormai arrugginita incentrata sul ritornello “due popoli-due Stati”, perché la storia del conflitto israelo-palestinese ha dimostrato senza ombra di dubbio che il mondo palestinese non intende accettare la presenza di Israele nel Medio Oriente, per quanto gli “Accordi di Abramo” abbiano ormai cancellato questa pretesa in gran parte del mondo arabo sunnita. Ma quest’idea è ora sostenuta politicamente e militarmente dall’Iran.

     Questo è il punto, che lega gli interessi di Washington e quelli di Gerusalemme. L’avvicinamento di Netanyahu alle esigenze di Zelensky è un atto di disponibilità di Israele alle richieste di Biden, ma è un atto parziale, limitato, in attesa di una risposta più concreta da parte di Washington sui problemi più complessivi dell’area mediorientale. Del resto, il fallimento di fatto dei negoziati di Vienna tra Iran e Stati Uniti (e altri) sta a indicare che Teheran tende a rafforzare il suo sostegno al terrorismo palestinese e a fare un passo decisivo una volta uscito di scena Abu Mazen. A questo punto, Gerusalemme si troverebbe ad affrontare una situazione ben più difficile, se l’Autorità Palestinese dovesse cadere nelle mani di Teheran. Ecco perché Netanyahu, molto probabilmente,  gioca di sponda tra Kiev e Washington.

     Sulla questione mediorientale, come si è detto più volte, gli Stati Uniti si giocano gran parte del loro prestigio come potenza in grado di porsi come argine di fronte alla penetrazione dell’Iran per mezzo delle milizie terroristiche sostenute militarmente, nonostante la profonda crisi economica del paese e la ripresa delle contestazioni di piazza. Se Washington dovesse ancora tardare a riprendere in mano la matassa mediorientale, la Russia e ancor più la Cina finirebbero per divenire le potenze egemoni in questo scacchiere, con imprevedibili conseguenze per Israele. Di più: gli “Accordi di Abramo” hanno segnato una tappa fondamentale nei rapporti fra Israele e il mondo arabo sunnita. Tali accordi hanno bisogno di un continuo rafforzamento e di un’intesa sempre più cogente tra i firmatari. Gli Stati Uniti hanno un ruolo cruciale in questa prospettiva.

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Antonio Donno

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