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La Stampa Rassegna Stampa
17.02.2023 La Russia delle guerre infinite
Commento di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 17 febbraio 2023
Pagina: 29
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «I dilemmi del terrorista e del negoziatore nella Russia delle guerre infinite»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/02/2023, a pag.29 con il titolo "I dilemmi del terrorista e del negoziatore nella Russia delle guerre infinite" il commento di Anna Zafesova.

Anna Zafesova | ISPI
Anna Zafesova

Russo no - Michail Ševelëv - Libro - E/O - Dal mondo | IBS

Una chiesa piena di ostaggi e farcita di esplosivo. Un commando di terroristi pronti a tutto se il loro ultimatum non venisse accolto. Il tempo sta scadendo, i bambini prigionieri dentro la chiesa non piangono più, uggiolano in un silenzio terrorizzato, mentre al quartier generale ufficiali dei servizi ed emissari del Cremlino bevono vodka in attesa di ricevere l'ordine di attaccare: tutti sanno che il presidente non tratta mai, e gli ostaggi sono condannati. L'unico a sperare ancora di poter fare un tentativo è un giornalista fallito, Pavel Volodin, che è forse l'unico amico del capo dei sequestratori, e che cerca disperatamente di fermarlo, di fare da mediatore, e di capire perché proprio lui è stato scelto a dover decidere della sorte di decine di persone innocenti. Il romanzo Russo no di Michail Sevelev (edizioni e/o) fa venire subito in mente le grandi tragedie dei primi anni postsovietici in Russia: le prese di ostaggi a Budionnovsk, nel teatro sulla Dubrovka e nella scuola di Beslan, le guerre in Cecenia, le esplosioni dei palazzi a Mosca e nel Caucaso che un Vladimir Putin ai primi giorni della sua carriera al Cremlino trasforma in quella leva di paura e violenza che gli permetterà di governare per il quarto di secolo successivo. Il racconto è scattante e pieno di circostanze e personaggi autentici: prima di diventare scrittore, Sevelev era stato per anni un famoso giornalista di testate indipendenti come il celebre settimanale della perestroika Moskovskie Novosti, e la sua nostalgia per l'epoca in cui si sperava di fare «giornalismo vero, grande, libero... eravamo i migliori giornalisti del mondo... con davanti una carriera strabiliante in un mestiere finalmente cambiato in un Paese che lo era altrettanto» non gli impedisce di ironizzare spietatamente su una Mosca ormai sparita come un'Atlantide leggendaria. Ma quello che all'inizio sembra soltanto un thriller «tratto da fatti realmente avvenuti», che si dipana rapidissimo tra attualità e flashback, dialoghi e monologhi del protagonista, nella traduzione brillante di Claudia Zonghetti, diventa pagina dopo pagina qualcos'altro. E la biografidel «terrorista» Vadik, sbattuto dalla sorte dalla prigionia in Cecenia alla latitanza in Ucraina, comincia ad assomigliare sempre di più a una biografia della Russia degli ultimi trent'anni. In fondo, questo figlio povero e ingenuo di una provincia disastrata voleva soltanto una vita normale, una moglie, un lavoro, un letto e un piatto. Ma questo suo sogno di «piccolo uomo» verrà macinato, volta dopo volta, dalla politica, dalla corruzione, dall'esercito, dall'ex Kgb e dagli indipendentisti ceceni, unanimi nel considerarlo solo una pedina sacrificabile in un grande gioco. Impossibile non vedere in Vadik un fratello maggiore dei soldati russi mandati oggi a uccidere gli ucraini, con di fronte l'alternativa di darsi alla fuga o di venire a loro volta uccisi. Il suo pellegrinaggio attraverso l'inferno lo trasforma da «piccolo uomo» in una macchina da guerra, ma la sua ambizione finale è quella di diventare un giudice. La sua richiesta al presidente russo, in cambio del rilascio degli ostaggi tenuti nella chiesa, è una sola, strana, innocente e impossibile: il capo di Stato deve chiedere pubblicamente scusa per aver scatenato le guerre in Cecenia e in Ucraina. Il romanzo è stato scritto nel 2015, un anno dopo i morti sul Maidan, uccisi da poliziotti molti dei quali hanno poi cercato asilo a Mosca, un anno dopo l'annessione della Crimea e l'invasione russa del Donbass. Ma sembra scritto oggi, quando la sequenza degli eventi della storia recente ha portato – inesorabilmente, come si capisce ora – a un finale terribile. E quando si capisce che uno dei problemi, il problema, di Putin e della Russia, della Russia di Putin, è proprio quello di non saper chiedere scusa, ammettere le proprie colpe, accettare le proprie responsabilità, di essere incapace di fare quel primo passo necessario a rinascere. Russo no è un thriller politico nella forma, ma è perfettamente un romanzo russo nei temi, da quello dello Stato che stritola il «piccolo uomo» a quello dell'intellettuale che diventa sempre più «uomo superfluo», fino all'elaborazione della colpa, individuale e collettiva. L'articolo che il protagonista scrive prima di andare all'appuntamento decisivo con il terrorista sembra tratto di peso da una delle centinaia di chat degli esuli russi, con la loro esasperante ricerca di colpa e perdono, e del diritto a chiedere conto agli altri delle loro azioni: «Neanche chi poi è rinsavito e ha detto no alla guerra in Ucraina può farlo: avrebbero dovuto pensarci prima, visto che sono la crème intellettuale e non perdenti e poveracci...». È una discussione che si avvita su se stessa da un anno ormai, mentre il mondo osserva sconcertato quel che resta della celebre intellighenzia russa continuare a evitare una semplice ammissione: «Che non c'è nulla di ingiusto, che si raccoglie quello che si semina, e che se vi sembra di non meritarvi quello che sta succedendo, provate a farvi qualche domanda». Una responsabilità dalla quale il russo Vadik decide di fuggire, dichiarandosi fieramente «non russo» e accusando i suoi concittadini di quella sottomissione passiva che li rende carne da cannone, o nel migliore dei casi una diaspora di russi erranti dispersa per il mondo. «Sempre la stessa storia: non sapevo, non ho visto, sono sempre stato contro... La conseguenza è che i cimiteri sono pieni... Mentire, rubare e uccidere: solo questo sapete fare», grida Vadik, anticipando di otto anni il dramma di milioni di esuli che oggi provano la vergogna di essere russi senza avere la forza di compiere quella protesta che possa riscattare la loro libertà. Il tempo sta per scadere, il presidente non ha nessuna intenzione di scusarsi e anzi vorrebbe accusare di alto tradimento chiunque esiga da lui delle scuse, e perfino il sollievo di dichiararsi individualmente innocente sta diventando un lusso impossibile.

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