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La Stampa Rassegna Stampa
15.04.2003 Arafat in lotta contro Abu Mazen
l'incontro tra Arafat e Abu Mazen finisce con una violenta lite

Testata: La Stampa
Data: 15 aprile 2003
Pagina: 5
Autore: Aldo Baquis
Titolo: «L’apertura di Sharon non smuove Arafat che boccia il governo»
Riportiamo l'articolo di Aldo Baquis pubblicato su La Stampa martedì 15 aprile 2003.
Arafat vede relegare a ruoli marginali i suoi fedelissimi e boccia la proposta di governo di Abu Mazen.

All'indomani della pubblicazione di un’intervista in cui si è detto pronto a pagare un «prezzo doloroso» e ad accettare anche la costituzione di uno Stato palestinese pur di raggiungere un’intesa di pace, Ariel Sharon ha constatato ieri che il temuto sdegno della destra radicale non c'è stato. La necessità urgente di valutare l’intensità della fronda nazionalista in seno al suo governo derivava dall'approssimarsi della pubblicazione a Washington di una «Road Map» che indicherà a israeliani e palestinesi il modo migliore per procedere verso un accordo in tempi brevi. Ieri il Segretario di stato Colin Powell ha confermato che la pubblicazione ufficiale è ormai questione di giorni, e avrà luogo non appena il premier incaricato palestinese, Mahmud Abbas, noto come Abu Mazen, avrà avuto dal Parlamento di Ramallah la necessaria fiducia al governo che da settimane sta alacremente cercando di formare, fra mille difficoltà interne ed esterne. Ma domenica sera, quando finalmente Abu Mazen ha anticipato la lista dei nuovi ministri al presidente Yasser Arafat, la riunione è degenerata in una lite. Arafat si è sentito esautorato e ha bruscamente concluso l'incontro dopo un quarto d'ora lasciando il mondo politico di Ramallah in un clima di incertezza. Ieri i contatti fra Arafat e Abu Mazen sono ripresi, nel tentativo di raggiungere un’intesa.
Fra i palestinesi l’intervista di Sharon non ha acceso entusiasmi. Le sue riserve sulla «Road Map» equivalgono a un tentativo di «uccidere l’iniziativa diplomatica», ha commentato il ministro palestinese Yasser Abed Rabbo, citando anche la malinconica fine delle analoghe iniziative concepite in passato da George Mitchell e da George Tenet. E la disponibilità di massima di Sharon a rinunciare un giorno a colonie ebraiche come Beit El e Shilo, in Cisgiordania, sono - secondo il ministro - «soltanto un tentativo di mascherare la situazione attuale in cui Israele erige una barriera di separazione con la Cisgiordania e di fatto ne confisca un’importante fetta».
Nella destra radicale israeliana, invece, le dichiarazioni di Sharon hanno destato un grande effetto psicologico, ma non allarme immediato. Ha spiegato Efraim Eitam, leader del Partito nazionalreligioso che ha profonde radici nel movimento dei coloni: «Questo governo di coalizione è come un treno la cui destinazione finale ancora non è stata stabilita. La stazione indicata da Sharon non ci piace, ma è ancora molto lontana. Sarebbe un errore scendere dalla carrozza già adesso». Analogo l'atteggiamento assunto dai «duri e puri» del Likud, Uzi Landau e Limor Livnat. Non hanno certo dimenticato che ancora pochi mesi fa il Comitato centrale del partito aveva solennemente enunciato l’incrollabile opposizione a uno Stato palestinese indipendente compreso fra il fiume Giordano e lo stato d'Israele. Il fatto che nell’intervista Sharon abbia detto: «Siamo realisti. Alla fine ci sarà uno Stato palestinese», non è piaciuto loro. Ma anch'essi comprendono che non è questo il momento migliore per scatenare una crisi con Washington, che ancora non ha approvato in via definitiva gli aiuti economici straordinari per Israele (sono in dirittura d'arrivo) e che si attende una buona dose di comprensione dopo avere allontanato dallo Stato ebraico l’incombente minaccia irachena. Gli occhi degli israeliani e degli americani sono puntati comunque su Ramallah, dove Abu Mazen è impegnato in una complessa battaglia politica con Arafat. «Abbi pietà di un vecchio leader ormai decaduto», gli avrebbe detto Arafat, secondo il quotidiano Haaretz: ma nessuno a Ramallah ha confermato l’esattezza della citazione. Resta confermato invece che nel vedere la lista dei nuovi ministri Arafat ha avuto un gesto di stizza. Il fedele ministro degli interni Hani el-Hassan era stato sostituito con il colonnello Mahmud Dahlan: un uomo d'azione popolare a Gaza, che ispira una certa fiducia ad americani ed israeliani e che viene temuto dagli islamici di Hamas. Relegati a incarichi marginali altri fedelissimi di Arafat (Abed Rabbo, Erekat, Al Masri), Abu Mazen ha invece voluto al suo fianco il generale Nasser Yussef (scelto come vicepremier) e Nabil Amr {ministro dell'Informazione). Nei mesi scorsi Amr era stato fra i più accesi sostenitori della necessità di rafforzare il Parlamento e di nominare un primo ministro efficiente, libero dai vincoli posti dal presidente Arafat. Secondo un sondaggio d’opinione, il 64% dei palestinesi vedono adesso con favore l’introduzione della carica di primo ministro e il 70% ritengono che proprio Abu Mazen sia la persona più indicata a rilanciare il dialogo con Israele. Ma solo il 39% cento pensano che questi saprà tenere a bada i gruppi armati dell’Intifada. Ancora ieri militanti di Al Fatah della Cisgiordania hanno proclamato che continueranno l’Intifada armata. E un ordigno palestinese è stato fortunosamente disinnescato da artificieri israeliani nel campus di Beit Berl, un’istituzione laburista dove si discutono questioni ideologiche e dove studenti ebrei frequentano corsi fianco a fianco con studenti palestinesi. Secondo la polizia, è stata sfiorata una strage.


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