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La Stampa Rassegna Stampa
15.04.2003 Un leader dei coloni si prepara a dare battaglia a Sharon
Fiamma Nirenstein da voce a chi si oppone al piano del governo israeliano

Testata: La Stampa
Data: 15 aprile 2003
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Non intendo continuare a fare l’ebreo errante»
Ecco cosa pensa un leader israeliano che vive in un insediamento in Samaria, contrario alle dichiarazioni di Sharon.
Riportiamo l'intervista di Fiamma Nirenstein pubblicata su La Stampa martedì 15 aprile 2003.

SHLOMO Blass ha 28 anni, di cui ventisette e sei mesi vissuti da colono prima nel grande insediamento di Ofra, vicino a Ramallah, e quindi in uno che conta un migliaio di anime, Neve Tzuf, sul bordo di una foresta in Samaria. Qui l’hanno portato i suoi genitori americani, il rabbino Jonathan Blass e la madre, Sharon. E’ una famiglia molto importante nel movimento dei coloni, che sono ormai 250mila. In queste ore iniziano la protesta contro l’intervista in cui ieri Ariel Sharon dichiarava la sua disponibilità a cedere insiediamenti in cambio di sicurezza e a riconoscere uno Stato palestinese. Shlomo studia storia e giornalismo all’universita’ di Gerusalemme, scrive e realizza video per una tv privata dei coloni, dei quali è divenuto un giovane leader. Come può un ragazzo giovane e normale come lui accettare di essere «un colono» inviso a quasi tutto il mondo? «Mi duole, certo che mi duole, ma anche i miei avi erano odiati perché non erano idolatri». Lo troviamo già sulle barricate di una battaglia contro Sharon.


E’ deluso? Arrabbiato?

«Molto, anche se Sharon è una tale volpe che magari sta solo cercando di sfruttare al meglio il dopoguerra, l’amicizia con Bush».

Così dicono anche alcuni leader palestinesi. Ma veniamo alla sostanza. Sharon parla di cedere quegli insediamenti di cui è considerato uno dei padri. Dunque, ha mentito quando li sosteneva o mente oggi?

«Sharon fu colui che invitò a costruire gli insediamenti, ma anche quello che li smantellò con le sue mani a Yamit, nel Sinai, dopo la pace con l’Egitto. La sua visione, anche se parla di una profonda sofferenza, è molto politica».

Ma soprattutto legata alla sicurezza, che non solo gli insediementi non garantiscono, ma anche talvolta mettono a repentaglio costringendo i soldati a sorvegliarli, e a morire per voi.

«Rifiuto categoricamente questa impostazione. Prenda l’insediamento più deprecato, Netzarim, a Gaza: è un avamposto, non un impaccio. Senza di esso non avremmo nessuna possibilità di capire che cosa sta accadendo a Gaza, come si organizza il terrorismo, come si combatte».

Ma i palestinesi non sono dei sorvegliati speciali, sono un popolo che chiede un suo Stato.

«Cerchiamo di capire perché, alla base, noi non siamo d’accordo con Sharon: io non mi considero un occupante di un bel niente, non ho ambizioni espansionistiche, mi trovo ad avere recuperato la terra delle mie origini dopo una guerra di difesa».

Che ha spodestato un altro popolo, ragion per cui c’è una guerra permanente e c’è il terrorismo.

«Niente affatto: la loro guerra contro di noi comincia ben prima del 1967, ha conosciuto periodi di terrorismo terribili come quello attuale. Perché mentre ogni altro popolo che vive sulla sua terra d’origine viene considerato legittimamente legato ad essa, io devo continuare a essere l’ebreo errante che non ha patria?».

Sharon non la pensa certo così, solo che vede, sembrerebbe, la possibilità di una pace che contempli anche la sicurezza.

«La sicurezza non sarà certo garantita da uno Stato palestinese. Troppi morti è costato l’errore dell’accordo di Oslo, quando si pensò che sgomberando le città, e lo facemmo, e armando l’Autonomia, e lo facemmo, avremmo avuto la pace. Quando i palestinesi ci dicono che vorrebbero vederci fuori da qui, e che reclamano il diritto al ritorno nei confini di Israele (ciò che equivale, e lo dice anche Sharon, a decretarne la sparizione) ascoltiamoli. La sinistra fa finta di niente».

Lei vede un mondo immobile, ma Saddam non esiste più, l’Urss, che nel passato sosteneneva il panarabismo, neppure. Gli insediamenti sembrano aver perso il senso della realtà.

«E’ vero il contrario, siamo gli unici ad averlo mantenuto. Uno Stato palestinese preparerà il nostro annientamento con le armi, un piccolo spostamento ne prepara uno molto più grande, chissà, fino al mare».

Sharon rifiuta l’idea che il popolo d’Israele sia un oppressore.

«Io non voglio opprimere nessuno, ma non tollero il doppio standard: io non posso vivere dove voglio, che so, a Ramallah, loro possono addirittura buttarmi fuori, quando già hanno il diritto di stare dove credono. Non si dimentichi quanto siamo minuscoli. Io non accetto nel modo più assoluto di essere giudicato moralmente da un dittatore come Arafat che imprigiona e fucila senza processo, che non rispetta i diritti umani. Perché non si chiede uno standard più elevato ai palestinesi?».

Glielo si chiede invece, quando si spera in Abu Mazen.

«Non so come sia Abu Mazen, e spero in bene. Ma la nuova generazione non è affatto pacifista, è piu’educata all’oltranzismo della vecchia. Non mi fido».

Invece Sharon forse si fiderà, e voi resterete indietro. Signor Blass, avete avuto una quantità di morti in questa Intifada, se andate per strada vi sparano, di notte siete assediati.

«La mia zona, Matte Byniamin, ha avuto il più grande numero di morti in percentuale. Abbiamo donne e bambini uccisi sugli autobus con spari provenienti dal vicino villaggio di Safa, in casa, per la strada. Io viaggio solo con un giubbotto antiproiettile, mia madre non è potuta venire all’ospedale quando hanno operato mio fratello perché era pericoloso uscire di casa».

Mi domando come si può vivere in questo pericolo continuo, odiati, in guardia.

«Io mi sento un privilegiato, vivo per un’idea, non cambierei la mia condizione con nessuno».

Cosa farà quando Sharon vi dirà: "Adesso fuori"?

«Aspetti: gli dò il beneficio del dubbio».
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