Rinascono i due blocchi?
Analisi di Antonio Donno
La questione dei palloni d’alta quota cinesi individuati dagli americani, come dai canadesi (con risposta cinese d’averne intercettato uno sui propri cieli, ovviamente americano), può sembrare l’argomento di una striscia di fumetti per gli amanti delle spystories, applicato al perenne conflitto internazionale tendente alla distruzione totale dell’umanità a favore di un mondo nuovo proveniente dallo spazio. Non è così. Si tratta di un nuovo fattore di incremento della tensione internazionale tra i due blocchi. Dico “due blocchi”, riprendendo la definizione in voga nei decenni della guerra fredda, perché nello scenario internazionale si vanno delineando, appunto, due formazioni antagoniste che rivendicano il primato politico. Dopo l’iniziale freddezza cinese sull’invasione russa dell’Ucraina, il recente incontro tra Putin e Xi Jinping ha riproposto un’alleanza che sfida il blocco occidentale intervenuto massicciamente a difesa dell’indipendenza dell’Ucraina. A tutto questo occorre aggiungere il sempre più chiaro avvicinamento tra Mosca e Teheran sul problema ucraino.
Soltanto sul problema ucraino? Questo è un interrogativo che troverà una risposta solo con il passare del tempo. Intanto, il sostegno militare che Teheran dà a Mosca potrebbe avere uno scopo preciso: portare la Russia nel proprio campo in funzione anti-israeliana. Si sa che Gerusalemme ha bisogno di Putin sul fronte siriano, dove le milizie russe controllano settori importanti dai quali spesso gruppi di jihadisti penetrano nel territorio israeliano per compiere azioni terroristiche. Nel corso degli anni gli incontri che Netanyahu ha chiesto a Putin riguardavano la possibilità di un intervento militare israeliano in territorio siriano, ma soltanto con il preventivo permesso russo. Ora, il quadro potrebbe modificarsi a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. In sostanza, la questione ucraina potrebbe avere riflessi negativi sul conflitto tra Israele e Iran. Teheran, grazie all’aiuto militare fornito a Putin nella sua avventura ucraina, tenderebbe a sviluppare nel tempo un avvicinamento alla Russia che potrebbe rafforzare politicamente il proprio progetto di attacco a Israele.
È nell’interesse di Putin sposare un tale disegno? Il problema fondamentale che oggi riguarda la politica internazionale della Russia è di rinsaldare l’alleanza con la Cina, la quale è in grado di aiutare Putin sul piano economico, data la disastrosa situazione della popolazione russa. Non, dunque, l’Iran, anch’esso in gravi difficoltà economiche, ma la Cina. Pechino non ha alcun interesse a sostenere un avvicinamento russo-iraniano in funzione anti-israeliana, perché il sistema economico della Cina ha estremo bisogno della tecnologia molto avanzata che Israele mette in campo. Per la Russia, pertanto, è assai più importante Pechino rispetto a Teheran. Il quadro asiatico, dunque, è complesso e in movimento, a differenza del blocco occidentale che, al di là del pur fondamentale sostegno militare e politico nei confronti di Kiev, resta diviso su molte questioni.
L’Unione Europea tende sempre più a sganciarsi dalla politica di Washington, soprattutto la Francia e in parte la Germania, i due paesi leader dell’Unione. L’uscita della Gran Bretagna ha complicato ancor di più il quadro politico europeo. Di fronte a questa situazione, gli Stati Uniti sono immobili sia in Europa – se si esclude, ripeto, l’intervento a favore di Kiev – sia nel quadrante mediorientale, dove il nuovo governo di Netanyahu ha ripreso in mano i fili delle relazioni internazionali di Israele. Dunque, il risultato è che, di fronte al blocco asiatico, quello delle democrazie occidentali stenta ad avere una sua unità. Washington è immobile perché ha perso il suo tradizionale ruolo di punta avanzata dell’Occidente democratico, ma, nello stesso tempo, l’Unione Europea ritiene di fare da sé nel conflitto politico-ideologico che la oppone al blocco sovietico.
Dunque, il duo russo-cinese sembra in una situazione di vantaggio. “Tanto l’ambizione imperiale russa, di stampo ottocentesco – scrive Maurizio Molinari nel suo ultimo libro, Il ritorno degli imperi – che la sfida globale cinese, sulle ali del commercio, dell’alta tecnologia e dell’intelligenza artificiale, puntano in primo luogo a ridimensionare il ruolo internazionale degli Stati Uniti”.