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Il Foglio Rassegna Stampa
13.02.2023 Bensoussan, antisemitismo e Medio Oriente
da Le Figaro il conflitto arabo-israeliano

Testata: Il Foglio
Data: 13 febbraio 2023
Pagina: 10
Autore: la redazione del Foglio
Titolo: «Bensoussan: 'Il conflitto arabo-israeliano ora è uno scontro tra due tipi di società'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/02/2023 a pag.10, con il titolo "Bensoussan: 'Il conflitto arabo-israeliano ora è uno scontro tra due tipi di società' " l'intervista a Georges Bensoussan.

A destra: Georges Bensoussan

Sullo sfondo di una nuova spirale di violenza tra Israele e Palestina, lo storico francese George Bensoussan, fra i massimi studiosi di antisemitismo e medio oriente, analizza le origini del conflitto in un libro appassionante, “Les origines du conflit israélo-arabe (1870-1959, pubblicato dalla casa editrice Inédit. Dagli anni Venti del Novecento, il conflitto si è trasformato in uno scontro tra due tipi di società.

Le Figaro – Venerdì 27 gennaio, una sinagoga di Gerusalemme è stato colpita da un attentato che ha provocato sette vittime civili. Questo attacco è stato commesso all’indomani delle operazioni dell’esercito israeliano contro il jihad islamico in Cisgiordania, ma anche lo stesso giorno delle commemorazioni internazionali delle vittime della Shoah e durante la preghiera. Che cosa indica la data di questo attacco terroristico?
Georges Bensoussan – Non penso che ci sia un legame tra la giornata internazionale di commemorazione della Shoah il 27 gennaio e il passaggio all’azione dell’assassino. Tanto più che in Israele la commemorazione della Shoah non si svolge il 27 gennaio, ma nel mese di aprile – è una delle tre giornate di commemorazione assieme alla giornata del Ricordo dei soldati morti per l’esistenza dello Stato ebraico e alla giornata dell’Indipendenza immediatamente successiva. Ma è assolutamente possibile, detto questo, che i fatti avvenuti a Jenin la vigilia abbiano accelerato il passaggio all’azione di quest’uomo.

Anche la scelta del luogo, Gerusalemme, non è casuale. Perché la Città santa è da sempre l’epicentro del conflitto? Gerusalemme è l’epicentro del conflitto dalla fine degli anni Venti con la politica condotta da colui che gli inglesi designarono nella primavera del 1921 come muftì di Gerusalemme, Amin al-Husseini. Il quale capisce rapidamente che il nazionalismo non può smuovere delle folle il cui paesaggio mentale è estraneo al concetto di nazione nel senso moderno del termine, è anzitutto familiare e clanistica, ancorato alla umma, la comunità dei credenti. Al-Husseini capisce che l’islam, da solo, federerà la lotta per la Palestina araba trasformando un conflitto nazionale in un conflitto religioso, concentrato sul Muro del pianto confinante con la spianata delle Moschee degli uni e il monte del Tempio degli altri. Fatto che gli permetterà di creare una mobilitazione che arriva fino all’islam indiano. La focalizzazione su Gerusalemme è dunque il risultato dell’islamizzazione di una battaglia di cui gli arabi cristiani erano stati i principali iniziatori. Un secolo dopo, l’influenza religiosa, musulmana o ebrea, sancisce il fallimento della politica, con tutti i rischi che ciò implica.

Lei spiega che la genesi del conflitto arabo-israeliano, la cui attualità è abbondantemente raccontata dai media, resta poco conosciuta. Come spiega questo paradosso? Se il conflitto è ben raccontato nella prima metà del Ventesimo secolo, passa in seguito in secondo piano con la Guerra fredda, e questo almeno fino alla Guerra dei sei giorni (1967) a partire dalla quale, invece, viene abbondantemente raccontato dai media, soprattutto se si paragona con le recenti tragedie avvenute nell’Africa nera. Abbondantemente commentato ma poco conosciuto perché, lungi dall’essere una questione di storia, il conflitto è diventato una questione ideologica. Chi non ha notato il biasimo quasi universale di cui è oggetto lo Stato di Israele all’Onu: 240 condanne per Israele all’assemblea generale delle Nazioni unite tra il 2015 e il 2021, contro 22 per la Russia, 8 per la Corea del Nord, 10 per la Siria e 0 per la Cina, la Libia, il Pakistan, etc.

Secondo lei, fin dall’inizio, non si tratta soltanto di uno scontro tra due nazionalismi, ma anche di uno scontro culturale e religioso? Fin dagli anni Venti, il conflitto si è trasformato in uno scontro tra due tipi di società. Non è uno scontro islam/giudaismo (all’epoca, il movimento sionista era profondamente secolarizzato), ma lo scontro tra una società moderna figlia dell’Europa dei Lumi, occidentale nel modo di pensare, e una società rurale, clanistica e islamica, estranea all’occidente. Questa linea di confine è una delle chiavi della vittoria israeliana del 1948.

La questione dell’antisemitismo è presente fin dall’inizio del conflitto arabo-palestinese? Qual è il legame con la dhimmitudine e la sua abolizione? Non si tratta di antisemitismo, ma dello status dell’ebreo in terra arabo-musulmana, dello status di dhimmi, questo individuo protetto ma inferiore a livello normativo e ontologico. Con l’affermazione di un’emancipazione dell’individuo e con la rivendicazione di una sovranità nazionale su una terra che struttura l’immaginario del mondo ebraico, il sionismo spezza per numerosi ebrei un’antica sottomissione e, per molti musulmani, una visione del mondo impermeabile all’uguaglianza di tutti gli esseri umani.

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