E’ necessario un compromesso per varare una radicale riforma costituzionale come quella giudiziaria
Analisi di Shuki Friedman
Shuki Friedman
La Corte Suprema di Israele
La scorsa settimana ha visto una serie di dichiarazioni estreme da parte di coloro che si oppongono alla radicale riforma costituzionale avanzata dal governo israeliano, accompagnate da dichiarazioni altrettanto estreme da parte dei fautori della riforma giudiziaria, il che sembra portare Israele sull’orlo dell’abisso. L’atmosfera nel paese è infiammabile. Le dichiarazioni laceranti, pericolose e deprecabili rilasciate nei giorni scorsi non hanno ucciso nessuno ma, come ci insegna la storia, c’è sempre il rischio che possano spingere qualche “folle” a compiere azioni violente, facendo precipitare la situazione. Un sondaggio condotto dal nostro Jewish People Policy Institute tramite lo Smith Institute ha rivelato che una percentuale significativa di israeliani teme un deterioramento nella violenza. Un terzo degli intervistati ritiene che esista una possibilità “alta o abbastanza alta” che la battaglia sulle riforme giudiziarie degeneri in violenza e disordini civili di massa. In modo forse prevedibile, questa paura è più diffusa tra coloro che si oppongono alle riforme (44%) che tra coloro che le sostengono (27%), probabilmente perché il senso di urgenza è più forte nell’opposizione. Questi preoccupanti risultati possono essere spiegati dal fatto che tra tutti coloro che sono a conoscenza delle riforme in questione, la maggior parte vi si oppone (44%) contro il 41% che le sostiene. Inoltre, più di un terzo degli israeliani (37%) ritiene che il governo non abbia un mandato per varare un pacchetto di riforme di così vasta portata senza un ampio consenso della popolazione. La pensa così anche una percentuale significativa degli elettori di destra (31%), sebbene una quota simile ritenga invece che il governo abbia una base di legittimità per portare avanti le riforme anche se estremamente controverse e divisive.
Cosa può evitare di cadere nell’abisso? Semplice: il dialogo. Metà dell’opinione pubblica israeliana ritiene che oppositori e fautori delle riforme dovrebbero sedersi e parlare allo scopo di raggiungere punti di accordo. Il 58% dei contrari alle riforme è di questo avviso, ma anche il 43% dei sostenitori delle riforme si dichiara favorevole al dialogo. Il sondaggio ha anche chiesto chi, secondo gli israeliani, dovrebbe svolgere un ruolo centrale nello sforzo di imporre un compromesso alle due parti che si scontrano sulla “rivoluzione costituzionale”. Anche qui i risultati sono interessanti: se un terzo degli intervistati ritiene che è la Knesset che dovrebbe e presumibilmente potrebbe farlo, oltre un terzo ritiene che il soggetto più appropriato per guidare lo sforzo sia il presidente d’Israele Isaac Herzog, mentre il 39% ritiene che i più adatti al compito sarebbero esperti accademici e giuristi. Le cinque tornate elettorali a cui gli israeliani sono stati sottoposti negli ultimi tre anni hanno intensificato e acuito la discordia interna fino a livelli che sembrano senza precedenti. Le riforme giudiziarie promosse dal governo, che mirano a cambiare il quadro costituzionale e la struttura di governo del paese – e con essa il carattere stesso dello stato – vengono portate avanti nel contesto di una società già molto polarizzata. Il ricorso da parte del governo ai suoi poteri nella massima misura possibile per introdurre cambiamenti così drammatici, in mezzo a profonde controversie, mette in pericolo la tenuta e l’esistenza del paese. I risultati del sondaggio, che confermano i risultati di analoghe ricerche effettuate nei giorni scorsi (secondo un sondaggio pubblicato domenica dall’Israel Democracy Institute, il 64% dell’opinione pubblica israeliana “è favorevole al dialogo tra i diversi schieramenti politici riguardo alle modifiche legislative proposte, allo scopo di arrivare a un compromesso” ndr), indicano una via d’uscita dalla crisi: il grosso del pubblico, che comprende sia sostenitori che oppositori del governo, vuole che le parti trovino il modo di parlarsi e trattare. Da un lato, ci sono i sostenitori del “non si cede di un centimetro sul giudiziario”, che sono sinceramente spaventati per le sorti della democrazia israeliana e non sono disposti ad accettare il minimo compromesso. Dall’altro, c’è un governo eletto democraticamente alcuni dei cui membri sono determinati a dare fondo a tutti i mezzi a loro disposizione pur di attuare le riforme che hanno in mente, e non sono disposti ad ascoltare obiezioni né a tentare di trovare un equilibrio tra le diverse posizioni. Entrambi questi gruppi devono rinsavire, dare ascolto alla voce della maggioranza degli israeliani e, insieme, fermare la spirale negativa prima che la vera violenza travolga il paese.
(Da: jns.org, 8.2.23)