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La Stampa Rassegna Stampa
12.04.2003 Perchè Berlusconi non manda Igor Man a Bagdhad ?
Lui "che se ne intende" saprà sicuramente fare meglio degli angloamericani

Testata: La Stampa
Data: 12 aprile 2003
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «Non era questo il dopo regime»
Dopo aver tessuto ieri le lodi di un altro raiss che ha portato alla rovina il suo popolo, il per fortuna dimenticato Gamal Nasser, Igor Man, sempre più birichino, torna a puntare il dito contro i cattivi americani. Colpevoli, questa volta, di non saper gestire il dopo Saddam. Non sanno gestire l'ordine pubblico,sembra che sia colpa loro anche il fatto che non esiste più una autorità pubblica di riferimento.
Igor Man si guarda bene dal dire che la situazione di caos e violenza nella quale si trova l'Iraq è dovuta al regime di Saddam Hussein. Non poteva succedere altro dopo avere terrorizzato la popolazione per 35 anni, questo è il minimo che può accadere. Chalabi il nostro lo sistema già come un possibile Quisling. Forse a Igor Man è sfuggito, ma gli iracheni hanno accolto gli anglo americani per quelli che sono, un esercito di liberazione. Finalmente liberi di ragionare con la loro testa alzano le mani con le dita a forma di V ed applaudono chi li ha liberati da Saddam Hussein. Ma Igor Man è troppo preoccupato per le "umiliazioni", per le "sconfitte" del popolo arabo per vedere quanto stanno facendo gli anglo americani per ridare la libertà all'Iraq. Lui vuole tutto e subito.
Leggete cosa scrive.


AVETE pensato al dopo-Saddam?, chiedevamo un po’ tutti a Bush, a Blair. Il «dopo» è arrivato, il suo nome è Caos. Saccheggi, sacche di resistenza: fuochi fatui che però bruciano. I GI, «non addestrati a gestire l’ordine pubblico», assistono impotenti al dilagare dei sanculotti di Allah che da un momento all’altro potrebbero tramutarsi in kamikaze. Si parla tanto, in queste ore difficili, dell’invio, laggiù, di nostri CC che in altri paesi già garantirono ordine e sicurezza. Ma a parte i tempi tecnici, a quale autorità dovran riferirsi i Nostri? Il caos iracheno ci ricorda la Napoli d’un grande scrittore-testimone: Malaparte («La Pelle»), tuttavia in Italia nonostante la libertà negata resisteva una dialettica politica alimentata da dissidenti, oppositori, fuorusciti. Nulla di tutto ciò in Iraq. Ci sono, certo, uomini-no, in galera e/o liberi, ma sono monadi, ci vorrà tempo per farli comunicare sì da farne movimento d’opinione, humus politico. Dunque gli americani: nel doppio ruolo di amministratori (provvisori) e di docenti di democrazia. Facile a dirsi, non a farsi. L’Iraq s’è rotto come il classico Vaso di Pandora. Catastroficamente. Il tribalismo reggeva in forza d’un neo-stalinismo equilibratore, mistura di terrore e mazzette. Oggi ogni tribù rivendica il primato, mentre gli Sciiti stanziali respingono, ammazzandoli, gli espatriati Mullah troppo presto di ritorno. Certo, esiste un team (Chalabi) di signori anti Saddam ma essendo ricchi e lontani rischiano di passare per quisling. Gli orgogliosi iracheni vedono il colonialismo dappertutto. Stravedono per la t-shirt, non proprio per gli americani che, certamente a torto, giudicano nemici dei palestinesi. Ancora: nel magma del «dopo» arde altresì la questione curda che coinvolge il già non facile rapporto con la Turchia.

Ultimo ma non meno importante: i saddamiani. Non ne conosciamo il numero, ma esistono e come i vecchi mafiosi aspettano: «Chinati juncu cca passa la china». Quando sarà il momento anche con loro bisognerà fare i conti. In Iran la rivoluzione di Khomeini impiccò i capoccia della Savak, la sadica polizia segreta dello Scià: tutti gli altri si riciclarono dividendosi fra gli ayatollah conservatori e i giovani (illusi) riformisti di Khatami. Per noi occidentali la democrazia è tutto, per altri un optional. In ogni caso è impossibile imporla e ci vuol tempo per impararla. Ma i docenti (di supporto) ci sarebbero: l’Onu, l’Europa. Sta all’America ingaggiarli. O no.



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