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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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La strumentalizzazione dei prigionieri ‘palestinesi’ 09/02/2023
La strumentalizzazione dei prigionieri ‘palestinesi’
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)


Palestinian Terrorism | IDF

La questione dei prigionieri palestinesi viene spesso presentata come la principale causa di tensione tra Israele e Hamas a Gaza, il che è del tutto inesatto. Certo, l'organizzazione terroristica non risparmia sforzi per liberare i prigionieri e oggi cerca di replicare il suo più grande risultato:  1.500 terroristi scambiati per il soldato Shalit. Soltanto che troppi di questi terroristi successivamente hanno compiuto nuovi attacchi, che hanno causato la morte di civili israeliani. Perciò i suoi sforzi per scambiare le spoglie di due soldati nonché i due civili israeliani che hanno attraversato il confine per errore, contro un gran numero di detenuti, finora non hanno avuto successo. Di fatto, la causa principale del rifiuto è la volontà più volte espressa dall'organizzazione terroristica di far scomparire lo Stato ebraico e di sostituirlo con un califfato islamico, ma, presentata come una causa umanitaria, in Occidente la questione dei prigionieri viene recepita meglio. E’ per questo che Hamas oggi minaccia di iniziare un nuovo conflitto per protestare contro le misure prese dal Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir.       

Quest’ultimo infatti ha preso molto male l'esplosione di gioia nelle carceri all'annuncio del glorioso attentato della sera di venerdì 27 gennaio, quando un eroico palestinese aveva ucciso cinque ebrei e ne aveva ferito diversi altri mentre uscivano dalla sinagoga, prima di essere colpito a morte.     

Le autorità di Ramallah si erano subito affrettate ad aiutare la famiglia del martire, vittima di vessazioni da parte dell'Occupazione, versandole una grossa somma. E questo è solo l'inizio; l'Autorità palestinese, che fornisce un assegno mensile ai detenuti, fa lo stesso per le famiglie di coloro “che hanno dato la vita per la patria”. E’ inutile che le autorità israeliane continuino a protestare contro quello che definiscono incitamento al terrorismo, secondo Le Monde “Il Presidente Abbas ha più volte sottolineato che il sostegno alle famiglie dei prigionieri e dei martiri, costituisce un dovere nazionale, umanitario e sociale che deve essere sempre soddisfatto, indipendentemente dalle pressioni israeliana e internazionale.”                              

Quello che non spiega il vecchio leader, il cui mandato presidenziale è terminato da anni e che si guarda bene dal convocare nuove elezioni, è il modo in cui questo sostegno viene calcolato. Non è il carattere eroico degli attentati che conta, ma il loro risultato. Più vittime fanno, più il vitalizio aumenta. Un prigioniero che ha riacquistato la libertà dopo aver scontato la sua lunga pena, aveva recentemente ammesso a un giornalista del canale israeliano Keshet che il suo assegno mensile ammontava a poco più di duemila euro al mese. Abbastanza per fare dei grandi risparmi, quando sei “nutrito, ospitato e lavato a spese del contribuente.” L'assassino di ieri potrà vivere  confortevolmente, circondato dal rispetto di tutti. Del rispetto, ma anche di una certa invidia, che a volte è accompagnata dal desiderio di emulazione. Tanto più che molti detenuti sfruttano il loro soggiorno forzato dietro le sbarre per iniziare degli studi universitari, che altrimenti non avrebbero mai potuto permettersi. E poi ci sono anche i giovani, e anche i giovanissimi, che cercano di aiutare i loro genitori morendo da martiri. Come il ragazzino di 13 anni che ha ferito gravemente due israeliani prima di rimanere ferito lui stesso. Prima di uscire di casa aveva scritto: “Mamma, tu sarai orgogliosa di me.”
                                                                              
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Michelle Mazel

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