Gli Stati Uniti si rafforzano nelle Filippine in funzione anti-Cina
Analisi di Antonio Donno
La notizia sul rafforzamento degli insediamenti militari americani nelle Filippine spinge a ritenere che gli Stati Uniti stiano per dare inizio a una politica di maggiore presenza politico-militare lungo la sterminata fascia costiera orientale dell’Asia, di fronte alla Cina. Era dai tempi di Obama, infatti, che gli Stati Uniti avevano trascurato progressivamente di rafforzare la loro cerniera offensiva nei confronti della Cina, suscitando il malumore degli alleati della zona: Giappone, Corea del Sud, Taiwan. Il recente accordo con Manila, dunque, suscita la speranza che Washington abbia scelto finalmente di irrobustire il cordone militare lungo tutto l’immensa linea difensivo-offensiva che fronteggia la Cina. Come ho scritto precedentemente su “Informazione corretta”, Pechino sta intessendo rapporti diplomatici con i governi dei Paesi insulari del Pacifico (Micronesia, Palau, Marshall), con lo scopo di estendere nel cuore di quell’Oceano la propria presenza politica. Di ciò è consapevole il governo americano, motivo per cui il nuovo accordo con le Filippine è la risposta di fronte alla politica espansiva di Pechino nel Pacifico. L’antica alleanza tra i due paesi si rafforza, dunque, grazie all’intesa fra il presidente filippino, Ferdinand Marcos, Jr., e il governo di Joe Biden. In realtà, nel 2016, il presidente filippino Rodrigo Duterte aveva rotto l’intesa con Washington, alleandosi con la Cina. Una sconfitta amara per Obama, che non era stato in grado di evitare la perdita di un alleato strategico per contrastare la Cina.
Perché le Filippine, Paese-chiave dell’immensa area dell’Indo-Pacifico, hanno accettato di accogliere i militari americani in altre quattro ulteriori basi? Non solo per rinsaldare l’alleanza con gli Stati Uniti, dopo la parentesi di Duterte, ma per rafforzare la propria sicurezza di fronte ad una Cina che punta a riprendersi Taiwan. Da un punto di vista strategico, l’eventuale conquista di Taiwan da parte di Pechino rappresenterebbe un pericolo mortale per l’indipendenza delle Filippine, il cui sistema insulare si espande immediatamente a sud di Taiwan, attraverso il Mar Cinese Meridionale. A sud dell’Arcipelago delle Filippine, si stende l’immenso Arcipelago dell’Indonesia e, ancora più a sud, l’Australia. Benché l’area indicata sia di dimensioni straordinariamente estese, il pericolo di un’espansione cinese è temuta, soprattutto a causa delle grandissime risorse economiche presenti.
L’azione di Washington, perciò, si presenta importante, ma abbisogna di azioni diplomatiche proprio in quegli Stati insulari che oggi vedono l’interessamento della Cina. Il Pacifico, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, è stato controllato dagli Stati Uniti, ma l’emergere della potenza cinese rischia di indebolire la presenza strategica americana. Le elezioni presidenziali americane del 2024 portano con sé una massa di problemi di politica internazionale che gli Stati Uniti devono riprendere in considerazione e per i quali occorre elaborare una strategia coerente. Dopo la creazione del partenariato tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia (Aukus) del 2021 per incrementare la presenza occidentale nell’Indo-Pacifico in funzione anti-cinese, la reazione di Pechino si è manifestata con nuove, reiterate affermazioni sulla volontà di riassorbire Taiwan nel territorio della Cina.
Il rafforzamento della presenza militare americana nelle Filippine è, dunque, una risposta alla minaccia cinese. Ma non è sufficiente. Nei prossimi mesi prima delle elezioni presidenziali del 2024 e, ancor più, con il prossimo governo americano è indispensabile che gli Stati Uniti si ripropongano come protagonisti della politica internazionale, in stretta collaborazione con le democrazie dell’Europa occidentale.