Ladri di terre? La strage a Neve Yaakov e l’ipocrisia delle Nazioni Unite
Analisi di David K. Rees
(da Israele.net)
David K. Rees
Una settimana fa è stata consumata una strage in un quartiere di Gerusalemme nord. Nel più sanguinoso attentato terroristico subìto da Israele negli ultimi sette anni, un palestinese armato ha ucciso sette israeliani e ne ha feriti altri tre mentre uscivano da una sinagoga dopo le preghiere di Shabbat. La reazione di molti palestinesi è stata quella di festeggiare le uccisioni.
La strage è avvenuta a Neve Yaakov, un quartiere in gran parte abitato da ebrei osservanti che Israele ha incluso nei confini municipali di Gerusalemme dopo la guerra del 1967. In origine, quei terreni erano stati acquistati da un movimento di ebrei americani che nel 1924, durante il periodo del Mandato Britannico, vi aveva creato un villaggio.
HaKfar HaIvri Neve Yaakov (“il villaggio ebraico di Neve Yaakov”) sorse a nord di Gerusalemme, a un’ora di cammino dalle mura della Città Vecchia, su terreni venduti dai proprietari arabi del vicino villaggio di Beit Hanina. Abitato inizialmente da circa 150 famiglie, il villaggio patì problemi finanziari e per la mancanza di un regolare approvvigionamento idrico. Dopo anni passati a trasportare l’acqua coi secchi da un pozzo a 6 km di distanza, nel 1935 il villaggio venne finalmente collegato a un acquedotto governativo, e nel 1939 alla rete elettrica.
Una rara foto del villaggio ebraico Neve Yaakov nel 1938
Dopo anni di pacifica convivenza con gli abitanti dei villaggi arabi circostanti dai quali acquistavano prodotti agricoli, gli abitanti di Neve Yaakov vennero aggrediti durante i moti anti-ebraici del 1929 e molte famiglie si trasferirono nella Città Vecchia. Secondo un censimento condotto dalle autorità del Mandato Britannico, nel 1931 Neve Yaakov contava 101 abitanti distribuiti in una ventina di case. Di nuovo, nel corso delle violenze del periodo 1936-1939 il villaggio venne bersagliato quasi ogni notte da spari provenienti dalle zone arabe, tanto che le autorità britanniche dovettero acconsentire a dotare gli abitanti di una scorta di armi per difendersi, e alcuni membri dell’Haganà, la forza di auto-difesa ebraica pre-statale, si posizionarono a guardia del villaggio e dell’acquedotto.
Durante gli anni relativamente tranquilli dal 1940 al 1947 il villaggio gestiva una scuola che accettava studenti da altre parti del paese, campi estivi per ragazzini e strutture di convalescenza che si avvalevano della salubre atmosfera rurale. La situazione precipitò negli ultimi mesi del Mandato Britannico, dopo il rifiuto da parte araba della spartizione votata dall’Onu. Quando cecchini arabi presero a sparare regolarmente sulla strada Gerusalemme-Ramallah, l’esercito britannico dovette creare dei convogli per proteggere i viaggiatori.
Con la fine del Mandato, la nascita di Israele e lo scoppio della guerra arabo-israeliana del 1948, la Legione Araba di Transgiordania avanzò verso Gerusalemme da nord e i due villaggi ebraici di Neve Yaakov e Atarot furono sgomberati appena prima d’essere investiti dall’attacco arabo. Tutta l’area venne illegalmente occupata dai giordani, che ne mantennero il controllo fino alla guerra dei sei giorni del 1967 quando Israele riconquistò la Città Vecchia di Gerusalemme e i suoi dintorni.
(Da: israele.net, 2.2.23)
Quando. nel 1948, all’avanzare della Legione Araba giordana, gli ebrei del quartiere dovettero fuggire, il villaggio cadde sotto occupazione giordano “etnicamente ripulito” da ogni presenza ebraica. L’invasione subìta allora da Israele ad opera della Legione Araba, che varcò e violò un confine internazionalmente riconosciuto (il fiume Giordano), è fattualmente e moralmente indistinguibile dalla recente invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. Oggi, gli avversari di Israele sostengono che quando lo stato ebraico riconquistò quelle terre, difendendosi da un’ulteriore attacco giordano nella guerra del 1967, esso “rubò” terre arabe. Ma quelle terre era state acquistate e abitate da ebrei, per cui erano stati gli arabi a “rubare” terra ebraica, e non il contrario.
Come spesso accade, la reazione delle Nazioni Unite è stata ipocrita. Il Segretario generale, António Guterres, ha fermamente condannato l’attentato terroristico di venerdì scorso, esortando alla pace entrambe le parti. Ma le stesse Nazioni Unite hanno una dose di responsabilità per quella strage, avvenuta in un quartiere che si trova vicino al campo palestinese di Shuafat, gestito dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi. (Da notare che nel “campo profughi” gestito dall’Unrwa non c’è nemmeno un profugo visto che si tratta di palestinesi che vivono in Palestina, e per lo più lontani discendenti di quelli sfollati 75 anni fa da qualche villaggio vicino ndr) Nelle sue scuole, l’Unrwa insegna a generazioni di palestinesi che hanno un “diritto al ritorno” (cioè a insediarsi dentro Israele e distruggere lo stato ebraico). I libri di testo che utilizza sono pieni di contenuti di odio verso ebrei e israeliani, di istigazione alla violenza e di esaltazione del terrorismo. A Gaza, l’Unrwa è controllata di fatto da Hamas. Data la crescita di Hamas in Cisgiordania, sembra probabile che anche l’Unrwa in Cisgiordania e a Shuafat finirà sotto il suo controllo.
Di recente l’Unrwa, invocando ristrettezze finanziarie, ha chiesto alle Nazioni Unite 1,6 miliardi di dollari per continuare le sue attività. Ma l’Unrwa – che serve solo i palestinesi, mentre tutti gli altri profughi del mondo sono servito dall’UNHCR (l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) – è cresciuta in maniera esponenziale da quando venne istituita dall’Onu nel 1950. Quando l’Unrwa iniziò a operare, il numero di profughi arabi registrati dall’agenzia era di 750.000. Poiché l’Unrwa serve non solo gli arabi sfollati durante la guerra del 1948 ma anche tutti i loro discendenti, ora serve 5,9 milioni di palestinesi.
Condannare il terrorismo e allo stesso tempo finanziare un’agenzia votata a perpetuare ed esasperare il dramma dei profughi appare davvero come il colmo dell’ipocrisia.
(Da: Times of Israel, 28.1.23)