Fiamma Nirenstein intervista il premio Nobel Shimon Peres Peres:la guerra in Iraq inevitabile
Testata: La Stampa Data: 10 aprile 2003 Pagina: 8 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Peres:»
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa giovedì 10 aprile 2003. IL premio Nobel per la Pace Shimon Peres ci riceve nel suo studio di Tel Aviv nello stato di fibrillazione intellettuale e morale in cui la guerra ha posto ogni persona di buona volontà. Nel tardo pomeriggio di ieri le immagini della grande statua di Saddam che crolla sotto le spinte della folla e con l’aiuto degli alleati è più che simbolica: è epocale. E Peres, la cui battaglia indomita è sempre stata per la pace, contempla una guerra che riguarda tutto il Medio Oriente.
Come è andata questa guerra, signor Peres? Come sta andando?
«La guerra è un orribile disastro ovunque si presenti. Ma è meglio combatterla, questa guerra contro il terrorismo, che non essere terrorizzati. E’ stata purtroppo una guerra indispensabile».
Può un’iniziativa unilaterale come quella americana essere ritenuta indispensabile anche a fronte di tanti morti civili?
«Bisogna innanzitutto capire che non abbiamo assistito a un’iniziativa americana, ma a una reazione contro iniziative altrui, il cui nodo centrale si chiama: attacco terroristico. Attacco alle case, agli aerei, ai luoghi di riunione della gente. Qui, c’è stata una risposta a azioni e progetti di lunga durata che creavano un pericolo sempre crescente, contro una gang che in parte faceva capo là, a Baghdad, in quei palazzi dorati costruiti sul sangue della popolazione».
E’ proprio il sangue della popolazione innocente che lamenta il movimento contro la guerra.
«E non sono civili le centinaia di migliaia di curdi e sciiti, uccisi con stragi di massa e azioni di polizia da Saddam? Neppure nel mondo arabo si sono viste masse di popolo irato corrrere in soccorso di Saddam Hussein; in cuor loro buona parte dei Raíss sono contenti. Saddam era un assassino, che in più non ha lasciato mai sviluppare e fiorire un Paese che ne ha tuttte le capacità. Ha oppresso, torturato, finanziato il terrorismo, costruto armi di distruzione di massa, è incredibile che ci sia chi è arrivato quasi a santificarlo».
Non l’ho mai vista tanto deciso.
«Deciso? No. Convinto».
Comunque, le armi di distruzione di massa non si trovano.
«Intanto non si sa quello che deve ancora accadere, e poi Saddam le ha già usate: ha ucciso usando gas e veleni. Si sono già viste le sue armi, cerchiamo quello che resta: comunque però, sappiamo che se solo potesse, ne farebbe di nuove e le userebbe. Quindi non fingiamo di cercare prove già trovate».
Pensa che sia morto?
«Penso che sia morto politicamente».
Questo è anche il destino dei suoi alleati e sostenitori? Che cosa pensa dell’anomalo comportamento di Bashar Assad, così esposto? E’ a rischio? Altri Raíss lo sono?
«Ai miei occhi, la Siria ha come anomalia strutturale quella che caratterizza molti Paesi dell’area: non è governata da una maggioranza, ma da una sparuta minoranza. La Siria langue economicamente, soffre una dittatura, aiuta il terrorismo».
Pensa che sia la prossima sulla lista dell’America?
«Credo che l’America non abbia nessuna lista: però non ha altra scelta che continuare a combattere il terrorismo».
Altre guerre?
«Non necessariamento, ma vede, quando un gatto insegue un topo, non ha nessun senso che il topo dichiari il cessate il fuoco. Devi convincere bene il gatto che non sei un topo perché smetta di inseguirti. Ciò che è accaduto in Iraq suona come un monito contro le dittature che finanziano il terrorismo e che preparano armi di distruzione di massa. Se appartieni a questa famiglia, bene, è tempo di smettere».
Si parla molto dell’Iran come di un possibile obiettivo.
«L’Iran è certamente il più pericoloso di questi Paesi, ma anche quello in cui c’è stato un tentativo di riforma. L’Europa e la Russia devono insistere con l’Iran perché smetta di finanziare, armare e inviare terroristi in tutto il mondo, come gli Hezbollah e la Jihad islamica».
Lei non crede nella democratizzazione del mondo mediorentale?
«Ben Gurion diceva che gli esperti lo sono di cose già accadute. Questa non è mai successa. Parliamo dunque di modernizzazione, invece: parte dell’Islam ha combattuto la modernizzazione come una forma di oppressione. Ma la tradizione, caricata di antagonismo li ha impoveriti, li ha schiavizzati».
La tradizione è lo scudo dell’Islam in uno scontro fra le civiltà?
«Non c’è scontro di civiltà. Lo scontro è sempre dentro le civiltà. I cattolici hanno cambiato la Chiesa, i russi hanno abolito il comunismo. Adesso, la rovina economica e politica che incombe, può imporre dei cambiamenti: perché la scienza, la tecnologia, la comunicazione non ammettono menzogne. Le dittature si combinano con la menzogna, la modernizzazione, no».
Siamo all’inizio di un’era diversa?
«Ho qualche speranza che l’era della menzogna debba tramontare».
Bush non perde occasione di indicare come prossima tappa la realizzazione della «Road Map», il piano di pace che prevede il congelamento degli insediamenti, mentre i palestinesi cambiano governo, prendono concrete misure contro il terrorismo. Poi si passa a uno Stato palestinese. Molti dicono che si vuol far pagare a Israele il prezzo della guerra in Iraq: Abu Mazen ancora non riesce a prevalere e i terroristi seguitano a agire.
«Insensatezze. Non considero mai la pace una punizione. E bisogna comunque agire: la storia non ci aspetta».
E se continua il terrorismo, che cosa farà, comincia a sgomberare gli insediamenti adesso?
«Sì».
Senza aspettare consente uno Stato palestinese?
Sì. Altrimenti, cos’è meglio, uno Stato ebraico a maggioranza araba? I palestinesi devono combattere il terrorismo, ma noi dobbiamo dare loro speranza».
Le piace Abu Mazen?
«E’ una persona seria. Siamo co-firmatari dell’accordo di Oslo. Per prima cosa ai palestinesi occorre unificare il comando militare: se hai più di un comando, non hai uno Stato. Devono combattere il terrore per se stessi, sennò ne verranno uccisi per primi».
Pensa che l’operazione «Muro di Difesa» sia stata sbagliata?
Non è stata una scelta, ma una necessità. Se i palestinesi smettessero col terrore, usciremmo immediatamente».
Che cosa può fare l’Europa per rientrare in gioco in Medio Oriente?
«Deve abbandonare lo sterile ruolo di chi si limita a criticare. L’Europa ha un’idea per combattere il terrorismo? La tiri fuori. Che cosa si fa di fronte alle armi di distruzione di massa, ai Bin Laden, ai dittatori, al terrorismo? Che gli europei si uniscano, e dicano la loro».
Pensa che l’Europa possa ora avere un ruolo nel processo di pace israelo-palestinese?
«Penso che la pace non si imponga: è un accordo in cui ci sono due parti che concordano. Nessuno deve sperare che le imposizioni esterne scavalchino, per esempio, il problema del terrorismo».
Sharon può fare la pace?
«Posso solo dirle: non sono uno psicologo, non ho votato per lui, ha promesso "penose concessioni". Vedremo».
Come si elimina il terrorismo, secondo Lei?
«Solo dall’interno, col convincimento dei palestinesi che sia un terribile danno prima di tutto per loro stessi. Se Hamas non viene eliminato, essi ne possono morire come comunità».
Lei è un pacifista convinto, un uomo di sinistra: mi hanno detto che nelle università inglesi è stato fischiato da assemblee di pacifisti.
«Sì: però quando ho chiesto "Dove eravate quando Saddam Hussein ha assassinato centinania di migliaia di iracheni?", sono rimasti zitti».
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