Gerusalemme, dove è nata la strage Analisi di Daniele Raineri
Testata: La Repubblica Data: 02 febbraio 2023 Pagina: 14 Autore: Daniele Raineri Titolo: «Il nonno vittima e il nipote carnefice. Nel campo dove è nata la strage in sinagoga»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/02/2023, a pag. 14, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Il nonno vittima e il nipote carnefice. Nel campo dove è nata la strage in sinagoga".
A destra: Khairy Alqam
Daniele Raineri
SHUAFAT (GERUSALEMME EST) — Nel refettorio del campo di Shuafat c’è una fila lunga di uomini seduti lungo la parete che ricevono le strette di mano dei visitatori, sei file di sedie di plastica e laggiù in un angolo un videogame spento. Oggi ospita un funerale della famiglia di Khairy Alqam. Khairy è il terrorista ventunenne che sei giorni fa ha parcheggiato davanti a una sinagoga, ha ucciso sette persone a caso a pistolettate, inclusa una donna di sessant’anni e un’altra donna di settanta, poi è risalito in macchina e ha guidato per un chilometro. Dove avrebbe dovuto svoltare a destra al grande incrocio di Beit Hanina per fuggire verso Ramallah c’era un posto di blocco della polizia, ha tentato di fuggire a piedi, ha sparato di nuovo, è stato ucciso sul marciapiede. Anche suo nonno si chiamava Khairy Alqam, quando andava in moschea passava sempre davanti al quartiere di Mea Shearim, un giorno nel 1998 un estremista israeliano lo scelse a caso e lo uccise a coltellate. Al funerale di Khairy arrivarono anche il presidente di Israele, Ezer Weizmann, e il sindaco di Gerusalemme Ehud Olmert, «ho ancora le foto» dice uno zio. «Avevo parlato con Weizman, avevamo scoperto che eravamo stati nemici ed eravamo stati feriti nella stessa battaglia nel 1972».
Oggi il funerale è della nonna, che ha visto morire entrambi i Khairy, ma nel refettorio si parla del nipote. Khairy il giovane era come Khairy il vecchio, dicono i maschi della famiglia a Repubblica , al novanta per cento fisicamente e al cento per cento come carattere. «Silenzioso e buono», dicono. Voleva vendicare il nonno? Non c’entra niente il nonno, non era nemmeno nato quando fu ucciso venticinque anni fa, rispondono, c’entra la rabbia che hanno i giovani di Gerusalemme Est. Sono sempre arrabbiati. «Non sappiamo cosa ha visto, magari qualcosa che gli ha dato fastidio. Magari ha visto la stessa cosa altre cento volte, ma quel giorno è riuscito a procurarsi una pistola». Le armi non sono difficili da trovare? Alzata di spalle, se paghi trovi quello che vuoi. I giovani di Gerusalemme Est vivono in un limbo, hanno documenti israeliani, vogliono la violenza ma sono isolati, non possono arruolarsi nei gruppi armati palestinesi dei Territori che per loro non sono accessibili. «Ma Khairy e quelli come lui non si uniscono ai gruppi. Perché da soli fanno molto più male. Dentro a un gruppo finisce che devi obbedire agli ordini, devi aspettare anche per anni, finisci per combattere lontano da casa tua. Le azioni suicide dei giovani infliggono più danni,scelgono loro quando farle e le fanno a casa loro», dicono i maschi della sua famiglia. Shuafat è un quartiere costoso al di qua della barriera di separazione in cemento, ma è anche un campo dall’altra parte della barriera — di pochi metri, ci sono condomini altissimi che la sfiorano. A ottobre un giovane con la testa rasata, Uday al Tamimi, aveva attaccato il checkpoint all’ingresso del campo, pistolettate contro i soldati, e poi era riuscito a svanire nel nulla. I soldati avevano circondato i palazzi, molti si erano rasati apposta i capelli come sberleffo e come espediente per proteggere il fuggitivo, c’erano stati scontri, era durata undici giorni fino a quando lui non era riapparso con la pistola a un altro checkpoint ed era stato ucciso. Una settimana fa i soldati erano rientrati nel campo per abbattere, come da regola, la casa di Tamimi: un ragazzo del posto — Mohammed Alì — aveva agitato da lontano un’arma giocattolo, era stato ucciso. Come gli è venuto in mente di sventolare un’arma giocattolo verso i soldati? Un amico dice a Repubblicache quel giorno lo avevano fatto tutti nel gruppo, sembrava una cosa da ridere, quando gli israeliani se ne sono accorti hanno sparato. «Un proiettile è arrivato da un elicottero qui sotto la spalla e un altro da terra qui nel fianco», l’amico mima i due colpi. Ogni fatto diventa l’anello di una catena, senza fine. Per questo certi funerali sono sospesi. «I soldati mi devono ancora restituire il corpo», spiega suo padre, mentre fuma una sigaretta dopo l’altra seduto su un divano, non vogliono che il funerale diventi un’occasione per altri scontri. L’Autorità palestinese a Shuafat non ha giurisdizione, ma se l’avesse riuscirebbe a contenere la rabbia che c’è qui? «L’Autorità palestinese è un’agenzia di sicurezza a contratto, lavora per la sicurezza degli israeliani e di Abu Mazen», risponde il padre.