L’uso corretto delle parole
Analisi di David Elber
E’ prassi comune sugli organi di informazione presentare un conflitto, una disputa territoriale o un semplice contenzioso con l’utilizzo di alcuni termini ben determinati per una delle parti in causa e di opposti per l’altra parte. Questo avviene al fine di suscitare nel lettore o nel telespettatore un sentimento di immediata simpatia per una delle due parti in causa, oppure, per la ragione opposta, per suscitare un immediato sentimento di condanna a prescindere dalle verità storiche e fattuali degli avvenimenti raccontati.
Questa considerazione generale si può applicare in special modo al Medio Oriente e a Israele in particolare. Anzi, per Israele, da numerosi anni a questa parte, si è assistito a una vera e propria alterazione del significato comune dei termini. Basti pensare a termini come “insediamento”, “occupazione” o “colono”. Oppure alla voluta sostituzione di antichissime parole come “terra di Israele”, “Giudea e Samaria” in favore di “Palestina storica”, “Cisgiordania” o “West Bank”. Solo a uno sguardo superficiale possono apparire come questioni di poco conto. In realtà hanno una grande valenza simbolica e un altrettanto forte impatto sull’opinione pubblica.
Per quanto riguarda il loro impatto sull’opinione pubblica, si pensi ad espressioni – utilizzate nella quasi totalità dei mass media – come: “la presenza di coloni ebrei in Cisgiordania ( o West Bank) è un ostacolo alla pace”. In un lettore o in un ascoltatore che non ha profonde conoscenze della storia e della geografia di quel territorio, una frase posta in questi termini suscita immediatamente un sentimento legato all’ingiustizia, all’illegalità o peggio al “colonialismo”. L’effetto voluto è intenzionalmente fazioso e privo di valenza storica e giuridica. Se ad esempio la stessa frase fosse riportata in questi termini: “la presenza della popolazione ebraica in Giudea è un ostacolo alla pace” essa sarebbe totalmente priva di mordente accusatorio, perché un qualsiasi lettore o ascoltatore avrebbe dei seri dubbi in merito al fatto che, gli ebrei (o giudei) possano essere dei concreti ostacoli alla pace, in una regione che da diversi millenni prende il nome dalla loro presenza. Diventa più problematico ritenere che un ebreo possa essere un ostacolo alla pace laddove per generazioni ha dimorato, piuttosto che in una regione dove sarebbe stato innestato artificialmente senza avere con essa alcun legame storico-generazionale. E’ possibile, invece, che una frase, posta in questi termini, possa suscitare una certa curiosità che spinga il lettore o l’ascoltatore a fare delle ricerche o delle verifiche su questa area geografica, che lo porterebbero, inevitabilmente, a scoprire fatti inaspettati, rispetto alla vulgata corrente, la quale vuole fare credere che gli ebrei insediati in Giudea e Samaria siano degli intrusi, mentre gli arabi palestinesi che vi dimorano sarebbero gli abitati autoctoni.
Si scoprirebbe, ad esempio, che “Giudea” è un termine che ha oltre tremila anni ed è stato utilizzato con continuità dalla popolazione locale ebraica, araba e turca. Oppure si scoprirebbe che negli ultimi duemila anni ci sono stati alcuni tentativi di sostituzione del nome Giudea per scinderne il legame con il popolo ebraico: si pensi al termine “Palestina” utilizzato dall’Imperatore Adriano nel secondo secolo dopo Cristo e che non si riferiva certo all’attuale popolazione araba – che ha assunto questa denominazione solo a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta del Novecento – ma a una popolazione, i filistei, di origine indoeuropea e già estinta all’epoca di Adriano, ma certamente non araba né semitica.
Altri termini vengono subito alla mente, come “Terra Santa” introdotto con le Crociate cristiane a partire dall’undicesimo secolo dopo Cristo e ancora oggi molto in voga. Oppure “Cisgiordania” o “West Bank”, questi ultimi sono termini molto recenti: sono stati utilizzati, per la prima volta, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento a seguito dell’occupazione illegale giordana della regione e alla sua successiva annessione al regno hashemita. Tali termini significano, semplicemente, “al di qual del Giordano” o “Sponda Ovest” e stanno ad indicare dei nuovi territori acquisiti rispetto al resto del territorio che si trovava ad Est del fiume Giordano. Pur essendo stata quella Giordana un’azione palesemente di aggressione illegale, il termine “Cisgiordania” è utilizzato da tutti i mezzi di informazione per nominare questo territorio. E’ chiaro che l’intento sia il medesimo di quello di “Palestina” o “Terra Santa”, ovvero, scindere il legame tra il popolo ebraico e la terra dei suoi avi; legame, invece, sancito anche dal diritto internazionale.
Continuità ininterrotta della presenza ebraica
Volendo entrare in merito alla presenza ebraica sul territorio denominato “Palestina”, si può affermare senza tema di essere smentiti che tutte le testimonianze di storici, viaggiatori, pellegrini di ogni epoca, nonché i manufatti, i reperti archeologici e i documenti di archivio comprovano che essa è sempre stata costante dal periodo romano fino a quello arabo e ottomano. Per molti secoli, questa presenza è rimasta molto limitata e minoritaria a causa delle feroci e cicliche persecuzioni che subiva o semplicemente per le difficili condizioni di vita in un territorio spopolato, quasi abbandonato e malarico.
Va ricordato che durante tutto l’arco di tempo del dominio musulmano gli ebrei erano relegati a dhimmi, cioè considerati sudditi del tutto subordinati alla popolazione musulmana. La situazione iniziò a cambiare negli ultimi decenni dell’800 con diverse ondate migratorie dall’Europa e da altre località del Medio Oriente. A questa migrazione ebraica ne corrispose una analoga di popolazioni musulmane provenienti da varie parti dell’Impero ottomano. Quando, nel 1920, fu istituito il Mandato per la Palestina dalla comunità internazionale e fu poi amministrato dalla Gran Bretagna, venne deciso di ricostituire uno Stato per il popolo ebraico, e questo per il motivo essenziale che venne riconosciuto un “legame storico”, come recita il preambolo del Mandato, tra la terra e il popolo ebraico che non era mai venuto meno nel corso dei secoli. Va sottolineato che il Mandato per la Palestina era un trattato internazionale e di conseguenza ciò che stabiliva era ed è vincolante ancora oggi per il diritto internazionale.
Il territorio mandatario (la porzione assegnata agli ebrei) comprendeva anche la Giudea e la Samaria che solo dopo l’occupazione giordana divennero noti come Cisgiordania o West Bank. Fu unicamente in questo lasso di tempo che la popolazione ebraica non poté risiedere in questa parte di territorio, in quanto, gli arabi applicarono una pulizia etnica ai danni degli ebrei e confiscarono tutte le loro proprietà. Situazione che durò per 19 anni: dal 1948 al 1967. Dopo questo iato, fu con la riconquista del territorio da parte di Israele, a seguito della guerra dei Sei giorni, che alla popolazione ebraica venne nuovamente permesso di risiedere in quelle terre dalle quali era stata cacciata. Il paradosso è, che da quel momento, per buona parte della comunità internazionale e per i mass media, la popolazione ebraica che si trova in Giudea e Samaria è diventata indistintamente e semplicemente sinonimo di una popolazione di “coloni”.
“Colono”, termine stigma
L’Enciclopedia Treccani attribuisce questo significato al termine “colono”: colòno s. m. (f. –a) [dal lat. colonus «colono, fittaiolo; abitante d’una colonia»]. – 1. a. In senso proprio, coltivatore del fondo con cui si associa il concedente nel contratto di colonìa parziaria. b. In senso lato, mezzadro, o ogni singolo componente della famiglia colonica. 2. estens., letter. Contadino, lavoratore della terra: Al pio c. augurio Di più sereno dì (Manzoni). 3. Abitante, componente d’una colonia, spec. con riferimento a colonie antiche: i c. fenici fondatori di Cartagine.
E’ del tutto evidente che il contesto degli articoli, dei report, dei servizi giornalistici o televisivi in generale non utilizzino mai il termine “colono ebreo” nel senso di coltivatore di un fondo, agricoltore o mezzadro. Il termine acquisisce unicamente una connotazione politica ben precisa, marcata da una accezione fortemente negativa, che presuppone la conquista, la violazione del diritto, l’ingiustizia, i soprusi e perfino l’imperialismo. Questo perché i termini “colono” e “colonia” vengono automaticamente associati al “colonialismo”.
Il significato che la Treccani dà al termine “colonialismo” è il seguente: “Colonialismo In età moderna e contemporanea, l’occupazione e lo sfruttamento territoriale realizzati con la forza dalle potenze europee ai danni di popoli ritenuti arretrati o selvaggi. Per molti versi la storia del colonialismo può essere fatta iniziare con la scoperta dell’America da parte di C. Colombo (1492).”
E’ palese dalla definizione che la Treccani fa del colonialismo che esso sia stato operato da gruppi di persone che non avevano alcun tipo di legame con il territorio nel quale fondavano le colonie e, soprattutto, che queste colonie venivano fondate senza nessun rispetto dei diritti acquisiti dalle popolazioni locali e con il sistematico uso della forza. Ma questo concetto è applicabile al territorio di Giudea, Samaria e perfino a Gerusalemme e alla sua popolazione ebraica? No. Infatti, sostenere che gli ebrei (o giudei) non abbiano nessun legame con la Giudea o con Gerusalemme come indicano i nomi stessi (oltre che le già citate prove documentali e archeologiche) è assai arduo. Ma diventa più facile sostenerlo, se descriviamo l’edificazione di semplici villaggi o comunità agricole come “imprese coloniali”, “colonie ebraiche”, non in Giudea ma nella più “neutra” Cisgiordania o perfino nei “territori palestinesi occupati”, quest’ultima una vera e propria invenzione lessicale che non ha basi storiche, politiche o giuridiche visto che uno Stato palestinese non è mai esistito; ma la sola cosa che “lessicamente” gli si avvicina di più era il Mandato per la Palestina, istituito, per creare uno Stato per il popolo ebraico, non per quello arabo. Ad esso erano stati infatti concessi già numerosi altri Stati, inoltre non aveva uno “storico legame” con il territorio della Palestina, cosa, che fu riconosciuta solo al popolo ebraico. Semplicemente sostituendo il termine “Giudea” con quello di “Cisgiordania” si riscrive, manipolandola, la storia.
Appare del tutto evidente che mancano tutti i requisiti affinché si possa parlare di “colonie” (nel senso colonialista del termine), in quanto, sussiste un robusto legame storico tra ebrei e territorio. Inoltre, non sono stati compiuti atti di forza contrari alle leggi internazionali, e sono stati rispettati tutti i diritti precedentemente acquisiti. Non da ultimo la popolazione araba residente si è quintuplicata da quando Israele controlla il territorio: ennesima prova che nessuno ne è stato allontanato.
Il chiaro scopo di questa fuorviante terminologia è uno solo: mettere in discussione lo storico legame, riconosciuto anche dal diritto internazionale, tra il popolo ebraico, il territorio e i suoi luoghi più sacri. Queste alterazioni lessicali sono solo, apparentemente, prive di importanza: si tratta invece di precisi attacchi alle fondamenta dello Stato di Israele che, in questo modo, viene delegittimato a partire dalla sua storia. Per questo motivo è fondamentale, essere in grado di capire quale è il legame reale che unisce nomi e storia, e al contempo, smascherare l’uso politico e strumentale di specifiche parole e terminologie atte a occultare questo legame, se non, propriamente, di distruggerlo.