La debolezza degli Stati Uniti sulla scena internazionale
Analisi di Antonio Donno
Joe Biden
Inutile negarlo. I documenti riservati, classificati, ritrovati nei garage di Joe Biden, per quanto non paragonabili per quantità, e forse per importanza, a quelli di Trump, al quale sono anche rivolte ben altre gravi accuse, non favoriscono il Partito Democratico in vista delle elezioni presidenziali del 2024. La magistratura americana è al lavoro anche su questo caso, ma gli esiti non sono ancora noti. Fatto sta che il Partito Democratico è in difficoltà su molti fronti. È in una situazione di stallo politico sul fronte delle relazioni internazionali. Mentre una parte importante del Partito Repubblicano si va ricompattando intorno alla figura di Trump, nonostante l’intenso lavoro del suo oppositore, Ron DeSantis, il Partito di Biden sembra bloccato su posizioni di attesa. Il che, nella storia elettorale americana ai diversi livelli, non giova al candidato attendista. È probabile che, data l’età avanzata, Biden non si presenti nel 2024, fattore che apre la strada a un nuovo candidato, ma questo è un problema pesante per il partito, a causa delle divisioni al suo interno.
I due partiti americani soffrono di una crisi di credibilità da parte dell’elettorato. Nonostante il miglioramento della situazione economica interna, la classe politica dei repubblicani e dei democratici mostra una grave debolezza di iniziativa politica sui problemi di politica internazionale. Ora, i documenti classificati trovati nei garage di Biden e quelli negli appartamenti di Trump costituiscono un problema nazionale di grande importanza, che nello stesso tempo allontana i rispettivi elettorati dal mondo della politica del Paese. Così, se si esclude il caso di estrema importanza dell’invasione Russa dell’Ucraina, nel quale gli Stati Uniti di Biden hanno dato prova di grande presenza nell’aiuto militare a Zelensky, lo scenario internazionale è privo della partecipazione attiva degli Stati Uniti. Ciò, come si è detto ripetutamente, avvantaggia le mire egemoniche globali di Russia e Cina. L’accostamento dei due Paesi autocratici sul piano dei progetti di conquista è, per la verità, alquanto audace. In realtà, l’invasione russa dell’Ucraina sta comportando una crisi economica interna sempre più grave, tanto da far pensare che Putin stenterà molto a far avanzare nel futuro la propria volontà di fare della Russia una potenza internazionale dello stesso livello di Stati Uniti e Cina.
Tornando al problema americano in politica internazionale, uno sguardo sui vari scacchieri del sistema politico globale vede una sostanziale assenza degli Stati Uniti. Il Medio Oriente è privo di un’attività positiva da parte americana. Gli equilibri si reggono su due campi avversi: l’Iran, percorso da una profonda contestazione popolare, si è avvicinato ad una Russia in crisi economica profonda, mentre, dall’altra parte, Israele ha costruito, grazie alle grandi capacità politiche di Netanyahu, un’alleanza con vari Stati arabi sunniti nei cosiddetti Accordi di Abramo. Non è, per la verità, uno sbilanciamento sostanziale a favore di quest’ultima alleanza. Solo una rinnovata presenza americana a sostegno attivo dei Paesi degli Accordi di Abramo potrebbe creare un vero spostamento politico contro il duo Russia-Iran. Nulla di tutto questo sta avvenendo. Anzi, la contrarietà di Biden e soci verso il nuovo governo di Netanyahu finisce per accentuare la distanza americana dai problemi complessivi del Medio Oriente. A tutto vantaggio del progetto cinese di affacciarsi sul Mediterraneo orientale.
Se poi si guarda all’Africa e all’America Latina, la passività americana è ancora più evidente. L’Africa è terreno di conquista economica da parte di Pechino, che in molte zone del continente ha acquisito vantaggi economici considerevoli. Lo stesso ragionamento vale per l’America Latina. Anche nel sub-continente americano la presenza cinese si sta rafforzando, anche se ancora non nella misura dell’Africa. Tutto questo è evidente a ogni osservatore della politica internazionale. Con tutto ciò, gli Stati Uniti continuano nella loro retromarcia, iniziata – come si è detto più volte – con la pessima politica di Obama di distanziamento americano dai punti nevralgici della scena politico-economica globale. Stando così le cose, è molto probabile che gli Stati Uniti continueranno nella loro quasi immobilità internazionale fino alle elezioni del 2024.