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Il Foglio Rassegna Stampa
23.01.2023 Contro la guerra di Putin, diario un poeta
di André Markowicz

Testata: Il Foglio
Data: 23 gennaio 2023
Pagina: 8
Autore: André Markowicz
Titolo: «Contro la guerra di Putin. Su Facebook»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/01/2023, a pag.8, con il titolo "Contro la guerra di Putin. Su Facebook", l'analisi di André Markowicz.

Mercoledì 9 novembre 2022
Negoziare, una breve nota Giusto questo. Vedo da certi commenti che sarei un “guerrafondaio”, e inoltre anche un codardo, che manda la gente in guerra senza andarci io stesso. Solo per il fatto che mi dichiaro contrario ai negoziati e incoraggio le forniture di armi. Se le armi, per la maggior parte americane, non venissero consegnate all’Ucraina, in questo momento di certo non sarebbe distrutto il 30 o 40 per cento della sua infrastruttura elettrica civile, ma la totalità delle infrastrutture. Perché, mentre i pacifisti occidentali criticano le forniture di armi, e si indignano, giustamente, di quanto costano, la Russia mobilita tutte le sue riserve di armi (cioè tutte le incalcolabili riserve sovietiche) e si rifornisce in Iran. Non sarebbe urgente forse anche una petizione al regime iraniano per chiedergli, in nome della pace, di smettere di vendere i suoi droni alla Russia? E quindi, sì, io sono a favore delle armi all’Ucraina. Per sconfiggere il regime di Putin. Per fermare i sistematici crimini di guerra commessi dai soldati della Federazione russa. Perché, sì, non c’è dubbio su chi ha invaso l’altro: è la Russia che è entrata in Ucraina, non l’Ucraina che è entrata in Russia. E i crimini contro i civili, che si scoprono in ogni città e in ogni villaggio liberato (senza eccezione, ovunque), sono commessi in Ucraina, e non in Russia. E io vorrei che tutto ciò finisca. L’unico modo per fermarlo è che Putin venga sconfitto, sconfitto militarmente. E che l’Ucraina ritrovi l’integralità dei suoi confini riconosciuti nel 1991, e riconosciuti, allora, anche dalla Federazione Russa. Non sono contrario alle trattative. Sono contro i negoziati oggi, e questo è esattamente ciò che dicono anche gli alleati, Macron compreso: ovviamente si dovrà negoziare un giorno… Ma ora cosa volete negoziare? Il fatto che la Russia abbia annesso di propria iniziativa quattro intere province dell’Ucraina? Se questa annessione diventasse oggetto di un negoziato, e non di un rigetto puro e semplice, che è la posizione di tutti i paesi dell’Onu (tranne le cinque “democrazie” che hanno sostenuto la Russia), sarebbe l’inizio di una serie di guerre in tutto il mondo: perché, lo sappiamo, le frontiere lasciate dal colonialismo non rispettano nulla della storia delle popolazioni sulle quali sono passate (così diceva, in un discorso magnifico, il rappresentante del Kenya). E negoziare con chi? Con questa gente che distrugge ogni possibilità di vita, che tortura, che violenta? Chi, in questo momento, vuole negoziare? Putin. E perché vuole negoziare? Perché capisce che sta per essere sconfitto, militarmente e politicamente, e quindi il suo regime è minacciato. Se dovesse cadere (personalmente penso che sia già caduto), nel momento in cui scrivo, sarà sostituito da qualcuno di peggio, come Prigojine, ed è la stessa cosa: in dittature così profondamente radicate, sono solo i dittatori che possono sostituire i dittatori. Ma c’è un’altra questione importante, cioè che Prigojine non sarà in grado di mantenere il potere, perché è tutto il regime, tutta la verticale del regime, che, insieme a Putin, crollerà. Qual è la condizione della pace? Non è solo una sconfitta russa. Si tratta di un cambiamento radicale in Russia, di una presa di coscienza dell’intera popolazione, appunto dell’orrore radicale rappresentato dalla realtà della vita in Russia. Di quello che chiamo cedimento morale, incultura, oscurantismo, violenza costitutiva. Questa violenza è solo russa? Certo che no. Aumenta sempre di più ovunque, in tutto il mondo, e a una velocità vertiginosa. Ed è su questa che Putin fonda tutta la speranza della sua sopravvivenza. Vuole che tutto il mondo si trasformi a sua immagine e somiglianza. Appoggio, in assoluto, gli Stati Uniti? Chi mi legge qui da qualche anno sa bene che non è così. Sostengo il mercato delle armi… e sostengo i nazionalisti ucraini, sono un sostenitore di Bandera? Anche in questo caso, coloro che mi leggono sanno che ho denunciato, e che denuncerò sempre, ogni eroismo di coloro che considero fascisti. Ma, ancora una volta, ripeto e chiedo, perché Putin ha attaccato, ora, Zelensky, e non Poroshenko (che è molto più nazionalista)? Perché Putin, mi sforzo di ribadirlo, non vuole solo che non ci sia un’Ucraina indipendente, ma, soprattutto, che non si sviluppi un’esperienza democratica (anche se testarda, anche se principiante). Quello che non vuole è che la gente, ovunque sia, ma soprattutto ai suoi confini, conduca una vita normale, che cerchi solamente di vivere in modo pacifico. Ed è in questo che l’Ucraina si sacrifica per noi. Per questo bisogna aiutarla, con ogni mezzo possibile, anche con le forniture di armi (sebbene queste forniture di armi diano miliardi ai capitalisti che le producono). Poiché tutto ciò deve finire. Al più presto. Ecco perché coloro che oggi fanno appello alla pace sono, consapevolmente o meno, agenti di Putin. E tutti, senza eccezione alcuna, seduti tranquillamente nella loro poltrona e accomodati sulle loro certezze, uccidono, torturano, violentano, tutti, deportano le migliaia di bambini ucraini strappati ai genitori. Ognuno di loro, lo fa di persona. Sono tutti complici di questo. Alcuni, possono negare che sia successo, perché li rassicura di pensare che non lo sia. Ma è così. Almeno io lo dico. E poiché sono uno scrittore, e ci sono persone che mi leggono, voglio portare la mia protesta il più lontano possibile. Per farla sentire. E continuerò. E in definitiva, bisognerà negoziare, sì, per una pace duratura. Quando la sconfitta russa sarà consumata. Quando Putin sarà caduto. Ancora non ci siamo.

Lunedì 19 dicembre 2022
“Rendersi conto” Come tradurre il verbo “osoznat’”, che sempre più spesso affiora sulle labbra dei propagandisti russi? Sì, è questo, “rendersi conto” (di una situazione, di una realtà), “prendere coscienza” (di qualcosa di cui non si è stati a lungo consapevoli). Tigran Keassaïan, il marito di Margarita Simonian, uno dei peggiori, dei più volgari divulgatori del regime, ha usato questo verbo poco tempo fa, per parlare della situazione attuale. “Rendetevi conto che siamo in guerra”, ha ripetuto ai suoi telespettatori. Siamo in guerra! Per averlo detto, ci sono persone finite in prigione, perché la Russia non è ancora ufficialmente in guerra, come sappiamo. Si trova in una “operazione militare speciale” e la parola “guerra” è ufficialmente bandita dal vocabolario della Russia putiniana. La guerra è proprio tutta in questa parola. Questa “presa di coscienza”, per i propagandisti, è quella del carattere irrimediabile di ciò che è in gioco: non c’è, per nessuno, alcuna possibilità di ritirarsi, di tornare indietro. Bisogna prendere in considerazione questa realtà. E questa realtà, per i russi, è la realtà del disastro. “Rendetevi conto”… La Russia si sta rendendo conto di quanto esista solo all’interno di certe parole, solo in base a delle cifre falsificate, a delle menzogne. Nulla si è rivelato vero per questo esercito che si diceva “il secondo esercito del mondo”. Le armi russe sono tutte (tranne alcuni missili) infinitamente inferiori a quelle dell’Occidente; l’equipaggiamento dei soldati è catastrofico; senza menzionare il morale delle truppe. Tutto questo è vero. Ma anche noi prendiamo coscienza.
E’ vero, e nonostante tutto continuano a combattere. Certo, ci sono ammutinamenti, rifiuti di andare al fronte, ma si tratta, al massimo, di qualche decina di soldati. Questi rifiuti di partire al fronte sono sempre repressi in modo feroce: sia con delle sparatorie (e non si conta più la quantità delle esecuzioni), sia con delle incarcerazioni e delle torture (ho già parlato di questo). E i soldati continuano a lanciarsi negli attacchi, a Bakhmut. Gli ucraini parlano di assalti di “zombie”. Mikhail Podoliak, un membro della cerchia più vicina a Zelensky, racconta che i russi vanno all’assalto quasi come lo si faceva durante la Seconda guerra mondiale, in piedi, per schiere. Vengono abbattuti, e ci sono altri che salgono. E non serve a nulla, ma sono in tanti, e presto ce ne saranno ancora di più. Il numero dei morti russi arriva oggi a quasi 100.000 (e questo solo i morti!). Ma non importa, continuano ad accanirsi su questa sfortunata città. Senza andare avanti, a quanto pare. E’ una guerra, come si è detto, “di attrito”. Perché è così? Perché, mi si chiede, non si ribellano? Perché le persone subiscono? Come rispondere a una domanda del genere senza entrare nel luogo comune della “lunga pazienza del popolo russo”, e altre stronzate razziste di questo genere (i russi, un gregge affamato e totalmente acefalo, giusto? Mentre noi, invece, saremmo i “lumi” dell’Occidente!). E che dire dei cinesi e dei coreani del nord? Perché sopportano? Anche loro sono totalmente dementi? Sopportano perché c’è la miseria, perché c’è, soprattutto, l’apparato repressivo che non gli lascia altre opzioni a parte quella di sopportare. Ma c’è un limite. Questo limite, in Russia, non è forse ancora raggiunto, ma qualcosa mi dice che, in realtà, non è così lontano. Perché la propaganda del potere non funziona più. La grande idea del potere, oggi, è di decretare che non solo c’è la guerra, ma che è una guerra “Narodnaïa” (sia nazionale che popolare), una guerra che chiama in causa il popolo russo nella sua essenza profonda. Una guerra non contro l’Ucraina, ma contro i valori dell’Occidente, contro l’omosessualità, contro i transessuali, contro chissà cos’altro. Contro il melting-pot. Per esempio, con la Coppa del mondo, il grande cruccio della propaganda russa (Putin ha subito telefonato al presidente argentino per congratularsi con lui per aver sconfitto la Francia), era di sapere se restavano “francesi puri” in Francia, poiché, nevvero, i nostri giocatori, per la maggior parte, “non sono molto bianchi giusto?”… Sì, è questo il livello dei programmi televisivi o radiofonici russi di oggi. Solo che questa spazzatura non ha praticamente più alcun effetto sulla gente. Anche se da quando sono nati, a cominciare dalla scuola fino alle trasmissioni televisive, sentono solo questa roba, ovvero sermoni sulla “guerra del popolo di Dio, portatore dei valori della tradizione”, contro un Occidente dal sangue corrotto, degenerato dagli omosessuali. I propagandisti come Keossaïan vogliono a loro volta “far prendere coscienza” ai loro concittadini che la guerra è “nazionale”, cioè che è la continuazione della Seconda guerra mondiale. Ma no, tutti capiscono che qui non c’è niente di nazionale, che questa guerra è una catastrofe, nazionale sì, nata dalla follia di un solo uomo. E non c’è questa pretesa indifferenza nelle persone, c’è al contrario qualcosa di travolgente, e nel momento in cui scrivo, sembrerebbe sempre più profondo. Rabbia, sempre più radicata, e non contro gli ucraini. Ma noi pure, cerchiamo di renderci conto. Accanto a questa “presa di coscienza” russa, l’avvenimento principale di questi giorni è stata l’intervista rilasciata dal capo di stato maggiore dell’esercito ucraino, Valéry Zalujny (ne parlerò più a lungo in una prossima cronaca). Per gli ucraini, in questo momento ci sono solo bombe e un inverno continentale. E anche se per loro, nella loro stragrande maggioranza, la guerra è, di fatto, una “guerra nazionale”, anche se tutta la nazione è compatta di fronte al terrore russo, noi qui non ci capacitiamo di cosa questo possa rappresentare realmente. Perché non abbiamo un’idea tangibile di cosa significhi vivere senza riscaldamento, con meno 15 fuori casa (e non parlo nemmeno delle bombe). E anche in questo periodo, come si suol dire, di festa, non sarebbe male, che con 19 (o più) gradi nelle case, non distogliessimo lo sguardo. Eh sì, prendiamo coscienza di quello che queste donne e questi uomini stanno subendo. E se lo subiscono, ancora per chissà quanto tempo, questo difende anche noi. Perché Putin, ancor più che gli ucraini, ce l’ha con noi, cioè con questi regimi, corrotti, degenerati, fragili, ingiusti e oppressivi, eccetera (mettete gli aggettivi che volete), che si chiamano “democrazie”. Ce l’ha con quei paesi che non guardano il colore della pelle dei giocatori che indossano le loro rispettive magliette durante le partite di calcio. Condividete, condividete senza sosta. Fate “prendere coscienza” intorno a voi. Continuiamo ancora e sempre.

Sabato 24 dicembre 2022
“Sul Natale, la stagione morta, o bassa stagione...” Della tregua di Natale ne riparleremo dopo... La situazione dell’esercito ucraino a Bakhmut è se ho ben capito critica da settimane, sebbene tutti gli attacchi, siano stati respinti uno dopo l’altro. Oggi, la situazione è critica per via dello sfinimento. Perché i russi usano la stessa tattica che usavano durante la guerra del 41-45, e la stessa che i cinesi usavano in Corea, cioè l’attacco frontale, ondata dopo ondata, senza preoccuparsi delle perdite. Ad ogni modo, quelli che ci lasciano la vita sono, per la maggior parte, i pregiudicati di Prigojine, o i mobilitati. Riguardo ai mobilitati, avevo letto appunto che, durante la battaglia di Stalingrado, la speranza media della vita di un soldato sovietico al fronte era di sole 24 ore. A Bakhmut non ne siamo lontani. Fino a pochi giorni fa c’era una specie di pausa che si stabiliva durante la notte, forse perché i soldati russi non avevano gli strumenti adatti per la visione notturna. Ma ora, ascoltando il rapporto quotidiano di Oleg Jdanov (uno degli specialisti ucraini più in vista), vengo a sapere che gli attacchi feroci avvengono anche di notte, e che dunque sembra certo che queste attrezzature siano state consegnate... e che questi assalti sono purtroppo ininterrotti. Prima era un’ondata dopo l’altra: un gruppo di un centinaio di soldati (spesso anche di meno) veniva lanciato all’assalto: si aspettava che questo fosse decimato e che i sopravvissuti indietreggiassero per lanciare l’assalto successivo. Adesso, l’assalto seguente viene lanciato mentre i soldati del primo ancora combattono, spesso corpo a corpo. Ovvero i soldati ucraini non hanno letteralmente più il tempo di respirare, di dormire, più il tempo di nulla, anche se, ovviamente, c’è una rotazione costante tra le truppe. Questa battaglia è diventata simbolica. Simbolica per gli ucraini, indizio della loro capacità di resistenza, del fatto che cercano di non indietreggiare (perdono, quando li perdono, 100 metri, 200 metri al giorno, e a volte li riguadagnano; ieri ne hanno riguadagnati quasi 500). Si scontrano con un’energia che rasenta la rabbia. Ed è una battaglia essenziale, non dal punto di vista strategico (ho già parlato di questo), ma proprio per la popolazione ucraina stessa. Perché è un confronto fisico. Una lotta in cui la superiorità del materiale della Nato, in realtà, non conta: le linee sono troppo vicine per utilizzare i cannoni Caesar o gli Himars. Non è l’artiglieria che fa la differenza. Solo la capacità di continuare, il fatto di non crollare per la fatica. E simbolico anche per i russi. In primo luogo, come ho già detto, perché è l’immagine che Prigojine vuole dare di una “nuova” Russia: la Russia mitica dell’esercito sovietico, esercito che aveva iniziato la guerra del ‘39 contro la Finlandia, nonché la guerra del ‘41, con dei disastri, e che, senza contare le sue perdite, era riuscito a conquistare Berlino. L’idea è di resistere indefessamente, di mostrare che i russi sanno lottare, che non si ritirano – anche se gli uomini di Prigojine fucilano tutti coloro che, per una ragione o per un’altra, protestano contro le loro condizioni di vita (bisognerebbe dire le loro “condizioni di morte”?). E poi, c’è questo sospetto. Cioè, che i russi (tutti i commentatori sono d’accordo per dirlo) stiano preparando una seconda fase della guerra, una seconda ondata di attacchi, e che diciamolo, il peggio debba ancora venire. Con cosa stanno preparando questa seconda ondata? Con tutto quello che possono. Sacrificando, per esempio, due vecchi carri armati per assemblarne un terzo (quindi avrebbero più di 3000 carri funzionanti al momento in cui scrivo). Mobilitando tutte le risorse del mercato nero internazionale, dalla Cina fino alla Turchia (Erdogan gioca decisamente su tutti i fronti, e il vero vincitore di questa carneficina è proprio lui, il tiranno) e, per quanto strano possa sembrare, persino l’Estonia, per via dei chip elettronici. E’ attraverso questa seconda battaglia, questo secondo fronte, forse ancora più cospicuo del primo, che i russi cercano di aggirare le sanzioni. E chi li sta aiutando? L’Iran non esporta più (o quasi più) droni dal suo suolo: non ne ha più bisogno, perché le catene di produzione sono oggi basate in Russia stessa, con del materiale iraniano. Ufficialmente, la Cina non sta aiutando l’esercito di Putin. Malgrado ciò, quando la Corea del Nord fornisce del materiale militare, è quasi certo che non è di provenienza coreana, ma cinese (poiché tutto il materiale militare della Corea del Nord viene da lì). Insomma, il regime di Putin usa tutti i mezzi che ha a disposizione. Uguale sul fronte interno. Innanzitutto, l’età della coscrizione sarà estesa ai trentenni (il che vuol dire che ci saranno nuovi reclutamenti massicci, malgrado quello precedente non sia ancora terminato). Poi due leggi sono state varate, quasi di soppiatto, le quali non sono neppure vere leggi ma decreti, per il controllo della popolazione. Il primo sembra aneddotico: i taxi avranno ormai l’obbligo di tenere un registro nominativo dei loro clienti, e questo registro sarà collegato, in tempo reale, ai servizi del Fsb. Poi, con il pretesto di lottare contro la pedocriminalità, l’accesso a Internet sarà sottoposto, di nuovo, a una verifica dei documenti d’identità (devo ammettere che non capisco come questo funzioni, e cosa significhi veramente). Lo scopo comunque è chiaro: il controllo della popolazione sarà sempre più ferreo. Perché mai la Russia si inoltra nel terrore? Per un motivo più che evidente. Sapete bene cosa penso dell’utilizzo dei sondaggi in Russia, responsabili della massiccia complicità con il sistema di Putin. Sono proprio quegli stessi istituti di sondaggio a pubblicarne ora uno nuovo, nel quale si scopre che solo il 12 per cento degli intervistati pensa che la vittoria sia possibile, o dichiara di appoggiare il regime. Se in una dittatura in cui si rischia l’arresto per un niente, si ottiene un simile risultato, ciò vuol dire che il sostegno della popolazione è davvero prossimo a zero. Il vero pericolo per Putin ha origine qui, e ancora una volta è Prigojine che dà il la: se ci vuole il terrore per mantenere il potere, allora che sia terrore totale. Questo terrore è innanzitutto esercitato sui detenuti politici. Alexey Navalny scrive un diario, quasi giornaliero, di come il sistema penitenziario russo cerca di schiacciarlo. I suoi avvocati si occupano di diffondere le sue pagine, in russo e in inglese, su tutti i social network, e in particolare su Facebook (seguitelo, è importante!). Alexéï Gorinov, consigliere comunale di Mosca, che era stato condannato a sette anni di carcere per essersi dichiarato contro la guerra, non possiede una pagina FB. Ora è malato, senza alcuna cura, mantenuto al freddo e con una razione alimentare insufficiente, ha sempre fame, dice, ed ha freddo. Non può coricarsi prima degli altri detenuti, e i medici della prigione si rifiutano di visitarlo. Senza parlare delle migliaia di altri detenuti, anonimi per me e per quasi tutti, torturati nelle viscere del sistema carcerario. E dunque, in questa bassa stagione, o anche stagione “morta”... Buon Natale.

Mercoledì 28 dicembre 2022
Il museo russo Putin e Lukashenka continuano a fare “vertici” l’uno con l’altro. Il più delle volte è Lukashenka che va al Cremlino, ma qui, di recente, è la montagna che è andata da Maometto, voglio dire che dapprima Putin si è recato a Minsk, e poi Lukashenka si è reso (anzi “arreso”, in tutti i sensi del termine) a Mosca, e, per completare il tutto, hanno fatto una visita davvero inattesa al Museo russo di Pietroburgo. Il Museo russo di Pietroburgo è un museo straordinario, tragico per natura, nonostante la narrativa ufficiale, perché vi è rappresentato tutto ciò che è “l’arte russa” in Russia. E proprio lì scopriamo una foto di Putin e Lukashenka seduti davanti a uno dei tesori di questo museo, “L’apparizione del Cristo al popolo”, di Alexander Ivanov (1806-1858), un quadro, certo, molto bello eccetera, ma che è famoso per come è stato realizzato: le prove che hanno costruito, nel filo degli anni, questa opera sono più belle, più emozionanti della tela finale. Ivanov vi ha lavorato per vent’anni (nella sala, queste prove sono esposte proprio accanto al quadro)... e non ci ha lavorato in Russia, ma in Italia (perché Ivanov rifiutava cocciutamente di tornare nella Russia di Nicola I). Insomma, ci sarebbe ancora molto da dire su quest’opera, la quale possiede une peculiarità molto significativa: nel quadro, Cristo non è che una frivola figurina nello sfondo, e tutto è, si direbbe, concentrato sul “popolo” al quale questo Cristo appare. Cristo lo si vede appena. C’è, sì, ma... lontano.
Insomma, non era del quadro che volevo parlare, ma di Putin: durante le vacanze di fine anno, ha privatizzato il museo, lo ha chiuso al pubblico, e ha portato a passeggio Lukashenka nelle sue gallerie. Ha fatto installare due poltrone davanti al dipinto, si sono seduti, e gli ha detto “caro Alexander Grigoryevich, abbiamo parlato una settimana fa, abbiamo parlato ieri, e ora ci siamo messi d’accordo, e siamo qui. Siamo nel museo russo”. Perché il museo russo? Perché, alla fine dell’anno, Putin ha espresso più volte un’idea che determinerà – se ne avrà il potere – tutta la sua strategia politica per gli anni a venire. Si tratta di “riunificare il popolo russo”. La guerra in Ucraina fa quindi parte di una vasta opera. Gli ucraini non sono ucraini, sono russi. Non tutti gli ucraini, probabilmente (non quelli occidentali, forse?), ma tutti potenzialmente ucraini. Ecco perché questa guerra, secondo Putin, di “riunificazione”. Di cosa hanno parlato con Lukashenka? Di un intervento dell’esercito bielorusso a fianco dell’esercito russo durante una prossima offensiva? Più che probabile. Ma l’essenziale non era probabilmente questo, o meglio, se si dovesse pensare a un intervento bielorusso, sarebbe sotto il segno di una fusione dei due eserciti o qualcosa del genere. Perché quando Putin afferma alla stampa che non vede “l’utilità” di annettere la Bielorussia da parte della Russia (lo dice proprio accanto a Lukashenka, e l’altro neanche fiata), è che la Bielorussia è, di fatto, già annessa, e che non è una questione di nuovi passaporti da fabbricare per cittadini bielorussi. La frase di Putin, ripetuta più volte nelle ultime settimane, annuncia ben altre minacce. Perché ci sono dei russi in molti paesi dell’ex Urss, e, in particolare, ce ne sono quasi quattro milioni in Kazakistan (più o meno il 20 per cento della popolazione), soprattutto nel nord (e nella capitale). Putin vuole mettere sul tavolo il “diritto all’emancipazione” di questa minoranza? Una minoranza che, in Kazakistan, non è oppressa da nulla e che, per quanto sappiamo, è ben felice di non dipendere dalla Federazione russa. Cosa significa questo desiderio di riunificazione della Russia? E’ senz’altro la minaccia di una nuova guerra. E poi ci sono le minoranze russe dei paesi baltici (circa un quarto della popolazione totale), e qui la propaganda russa continua a diffondere le denunce (spesso, devo dire, comprensibili, soprattutto, qualche anno fa) , dei lettoni, cioè di persone che si sentono calpestate nei loro diritti. Ancora una volta, è un pericolo. Certo, non un pericolo di invasione russa, ma di disordini interni provocati da Mosca, disordini abbastanza violenti da giustificare repressioni armate. Putin ha i mezzi delle sue ambizioni... Diciamo che ha certamente mezzi sufficienti per aggiungere un altro grado all’escalation, ed è pronto a spargere la guerra ovunque può, in nome del “mondo russo”, o dell’ortodossia, senza dimenticare (altro tema scottante) il conflitto in Kossovo tra serbi e albanesi. Gli rimarrà il tempo di farlo? Sapendo che la Nato, e l’Occidente in generale, sono la sua migliore garanzia (la Nato, ripeto, cerca con tutti i mezzi possibili di mantenerlo al potere, puntando sul fatto che assicura quella che si chiama “stabilità” di una parte strategica del mondo), si potrebbe. Solo che il Kazakistan oggi non è più la Russia, si trova ormai nella sfera cinese, e chissà cosa vuole la Cina... Diciamo che la minaccia c’è, e il piano strategico è stato disegnato: si tratta di ricreare, anzi no, di creare di sana pianta un impero russo, etnicamente parlando, slavo, ortodosso, e tutto russofono. L’idea che l’Occidente ha sulla stabilità non ha nulla a che vedere né con la morale, né con i diritti umani, né con la difesa di una nazione aggredita. I politici occidentali pensano che sia meglio Putin che il rischio di un vuoto politico, dal momento che Putin assicurava l’approvvigionamento delle risorse naturali, da un lato, e, dall’altro, manteneva l’ordine interno... Putin non fornisce più le risorse naturali all’Occidente, e l’ordine interno in Russia è una messa in scena sanguinosa. Il paese intero sopravvive solo ed unicamente attraverso il suo apparato repressivo. Putin dev’essere sconfitto. Il più presto possibile. Salvo che questo “presto” giungerà solo lentamente, e quindi il peggio è ancora tutto davanti a noi. La pace, come nel quadro di Ivanov, è ancora molto lontana.

Lunedì 16 gennaio 2023
La barca vacilla Da un lato ci sono i bombardamenti, e non si possono definire “ciechi” perché sono tutto fuorché ciechi. Sono dichiaratamente dei crimini di guerra, ma non cercano solo di distruggere le infrastrutture civili e demoralizzare la popolazione: ci vogliono anche significare che il regime di Putin è consapevole che la guerra cesserà solo (e semmai) con la sua propria capitolazione, che non ci sarà alcun tipo di negoziato, poiché i responsabili di questi crimini (migliaia e migliaia di crimini) possono finire unicamente davanti ad un tribunale internazionale, o in una bara. Dall’altro, ci sono Soledar e Bakhmut. Spulciando, come lo faccio spesso, i commenti degli ucraini, appare una nuova preoccupazione, che non è direttamente collegata alle operazioni militari, ma che è, come dire, accompagnata dallo stupore. Ho infatti l’impressione che nessuno capisca veramente a che serva questa battaglia, ma che in questi ultimi giorni sia emersa una verità. Perché, anche se possiamo ammettere che Soledar è su di una strada che controlla l’approvvigionamento di Bakhmut, questo percorso non rappresenta l’unica opzione; e poi, perché accanirsi tanto su Bakhmut, fino a perdere migliaia e migliaia di soldati (si parla di diecimila russi morti già, e chissà quanti ucraini)? Bakhmut, in fondo, non ha un’importanza strategica, e ogni città che i russi incontreranno nel futuro sarà fortificata e difesa allo stesso modo. Al ritmo con cui l’esercito russo avanza, potrebbe metterci ancora dieci anni. Insomma, a che pro questo accanimento sanguinoso? La battaglia di Bakhmut non ha granché da spartire con la questione ucraina. E se vogliamo proprio essere onesti, è più opportuno parlare di politica interna russa, di lotta per il potere tra fazioni rivali. Quali fazioni? Da un lato, l’esercito e il ministero dell’Interno, che alcuni giudicano (probabilmente non a torto) responsabile dell’impreparazione, poi della serie di sconfitte che ha subito la “seconda armata del mondo” per opera dell’Ucraina. Dall’altro, il cosiddetto clan dei “falchi”, impersonificato da dei veri signori della guerra, mister Prigojine e il generale Kadyrov. Qual è, in questo scontro intestino il posto di Putin, non saprei dirlo, ma la mia impressione, già da qualche mese, è che Putin non è più saldo come prima, e che fa di tutto per evitare che questa guerra intestina divenga troppo pubblica: la prova di ciò è questo valzer incessante di nomine alla testa dell’esercito. Prima c’è stato il caso del generale Guerassimov, insieme a quell’altro, il generale Lapin, il quale dopo le sconfitte si era fatto insultare pubblicamente da Prigojine e da Kadyrov, ed era stato rimosso dalle sue funzioni; poi è arrivato il generale Surovikin, presentato, inizialmente, come un amico di Prigojine e Kadyrov, il che faceva pensare che fossero loro, ma soprattutto Prigojine (Kadyrov, negli ultimi tempi, si è fatto stranamente un po’ da parte) i nuovi padroni del Cremlino. Ma ecco che Surovikin, a sua volta, è stato rimosso, e che i Lapin e i Guerassimov sono tornati, e che quindi Shoigu, il ministro della Difesa, ha ripreso le cose in mano. Tutti questi sono tornati proprio nel momento in cui la battaglia di Soledar è condotta dai Wagner, e che si svolge secondo certe modalità che nessuno cerca neanche più di nascondere. I Wagner sono composti oggi in grande maggioranza da detenuti, liberati e graziati per decreto, certo un decreto firmato da Putin, ma deciso da Prigojine, in totale spregio del ministero della Giustizia, e quindi dell’ultima parvenza di legalità, o di costituzionalità che rimane in Russia. Questi detenuti sono letteralmente carne da cannone, proprio come furono quelli che, arrestati da Stalin, si offrivano volontari per combattere nel 41-45. Sono fucilati alla minima defezione, e se feriti non sono evacuati dal campo di battaglia, sono finiti dai loro stessi “compagni”. E poi, cosa del tutto inaudita, non combattono sotto la bandiera russa, ma sotto la loro propria bandiera, che si può vedere in tutte le loro foto: con sopra un teschio... Per farla breve, da mesi e mesi, i pirati di Prigojine si accaniscono contro Bakhmut, per significare che, se l’esercito è incapace, loro invece sanno combattere. Solo che, nemmeno loro, alla fine, sono arrivati a nulla. Ed eccoci ora alla sconfitta della vittoria. Un susseguirsi di comunicati vittoriosi di Prigojine che dichiarano che Soledar è stata “liberata” dai suoi uomini. Proprio mentre gli ucraini, (anche se la maggior parte della città, rasa al suolo, è occupata), pubblicano dei video dalle piazzaforti del centro, per mostrarci che invece no, Soledar non è ancora totalmente sconfitta. E poi di nuovo, arriva un comunicato ufficiale del ministero della Difesa, che annuncia la presa di Soledar, senza nemmeno menzionare i Wagner. E l’incapace Guerassimov, emanazione del ministero della Difesa e del Fsb, cosa fa? Rimuove il non meno incapace Surovikin, un fantoccio di Prigojine. Si direbbe che l’esercito stia cercando di rubare la vittoria ai mercenari. In effetti, se i russi sono avanzati, è anche grazie al fatto che i suddetti mercenari sono stati raggiunti dai residui delle truppe d’élite dell’esercito regolare, sebbene in realtà, sono stati i Wagner che hanno fatto il grosso del lavoro (e sofferto la maggior parte delle perdite). E se tutta questa carneficina fosse servita solo a questo, a lasciare che i mercenari si facessero massacrare? Come se l’esercito, in reazione all’umiliazione subita, avesse deliberatamente lasciato che gli assassini di Priigojine fossero uccisi. Cioè, come se la distruzione di queste città senza importanza strategica, Bakhmut e Soledar (con i villaggi circostanti) fosse solo una specie di danno collaterale... Come se la lotta faziosa tra i due clan mafiosi fosse arbitrata non dal loro confronto diretto, ma attraverso i combattenti ucraini, cosa che ha il vantaggio aggiunto di annientare questi ultimi. Tanto che gli importa, a questi clan, delle vite distrutte di decine di migliaia di civili… Prigojine ha fatto molti schiamazzi su Telegram, contestando questa “vittoria rubata” (a proposito della quale decine di “inviati sul campo” avrebbero anche loro, secondo lui, protestato contro il ministero della Difesa... tutto questo in tempo di guerra!). E poi, si è pentito, sostenendo che si sarebbe trattenuto dal far ulteriori commenti, perché “la barca vacilla” già abbastanza così, e che le “lotte interne”, sono più pericolose degli americani stessi… e che lui, ed i suoi Wagner, lottano invece contro la “corruzione, la burocrazia e i funzionari che vogliono solo e unicamente mantenere il loro posto”. Un vero e proprio slogan politico per il dopo Putin…. Ha pubblicato il suo post, e poi ha detto ciao alle miniere di sale di Soledar, nelle quali fin lì si era fatto filmare senza sosta, per andare a Pietroburgo, dove, nonostante il sindaco, ed in spregio a tutte le regole urbanistiche, si è costruito già da tempo un edificio ultra-moderno dove ospita tutte le sue aziende. Guarda caso, anche Putin è andato a Pietroburgo. Ufficialmente da nessuna parte è annunciato che si incontreranno. Ma... potrebbero incontrarsi per caso. E se lo faranno lì, e non a Mosca, non sarà per caso. Nel frattempo, l’esercito ha diffuso un nuovo comunicato, in correzione di quello precedente, che informa che Soledar è stato presa dalle “forze congiunte”, dall’esercito regolare e da Wagner… Mi pare dunque che la posta in gioco qui non sia giusto la lotta per una miniera di sale, ma una puntata particolarmente saliente della lotta per il Cremlino. Come se si dovesse scegliere chi farà da scudo all’altro al momento opportuno.

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