Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/01/2023, a pag.19, con il titolo "Hamed Esmaeilion: 'Il regime iraniano mi ha ucciso la famiglia. Serve una Norimberga' ", l'intervista di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso
Hamed Esmaeilion
Hamed Esmaeilion non cerca vendetta, vuole giustizia: «La Repubblica Islamica non può cavarsela con l’impunità per tutti i crimini che ha commesso contro gli iraniani». La notte dell’8 gennaio 2020, due missili lanciati dai Guardiani della rivoluzione abbatterono il volo ucraino PS752: a bordo, insieme ad altri 174 passeggeri, c’erano anche sua moglie, Parisa, e la loro unica figlia Reera, di 9 anni. Cinque giorni prima, gli americani avevano ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani a Baghdad, l’Iran aveva colpito per rappresaglia una base americana in Iraq, e si preparava alla guerra. Ma lo spazio aereo del Paese era rimasto aperto. Da allora, questo medico e scrittore 43enne, già inviso ai mullah per i suoi scritti non conformi, ha iniziato la sua battaglia per la verità, in Canada, diventando un leader morale per molti iraniani. Quando sono scoppiate le proteste, a settembre, Esmaeilion si è fatto voce del movimento pro-democrazia mobilitando la diaspora iraniana in oltre 150 città del mondo.
Sono passati 3 anni dall’abbattimento del volo 756. Cosa sappiamo di ciò che accadde quella notte? «Molto poco, l’Iran ha cercato in tutti i modi di ostacolare la giustizia. Sappiamo che fu la difesa aerea iraniana ad abbattere il volo, che il consiglio di sicurezza nazionale della Repubblica Islamica decise di mantenere i cieli aperti, nonostante l’Iran si stesse preparando a una guerra vera. Ma non sappiamo chi ordinò l’attacco, e perché. Fu un crimine di guerra e contro l’umanità. Il 14 dicembre 2022 abbiamo presentato una causa alla Corte penale internazionale. Il 28, Ucraina, Regno Unito, Canada e Svezia hanno inviato all’Iran una richiesta di arbitrato. Tra sei mesi, se Teheran non risponderà, porteranno il caso davanti alla Corte di giustizia internazionale».
In questi anni abbiamo visto sempre più frequenti movimenti di protesta in Iran. Questa volta è diverso? «Nel 2009 il grande movimento di protesta dell’Onda verde chiedeva: “dov’è il mio voto?”. Oggi nessuno più crede nelle riforme. Per la prima volta questa rivoluzione mette in discussione il Sistema e finirà con la caduta della Repubblica Islamica».
La maggioranza però finora è rimasta alla finestra. Perché? «Per molte ragioni, la principale è che la Repubblica Islamica reagisce a ogni richiesta con i proiettili, uccidendo, e gli iraniani vogliono vivere. Donna, vita, libertà. (lo slogan del movimento, ndr ).Se non attaccassero i manifestanti, vedremmo milioni di persone in piazza».
Un movimento senza leader può fare la rivoluzione? «Molti iraniani chiedono che si formi una coalizione dell’opposizione, ed è un’idea giusta. A un certo punto ci sarà, ma è molto importante che sia costituita da un certo numero di attivisti all’interno dell’Iran, anche se so che c’è il rischio che li arrestino. La diaspora può sostenere questo processo. Una coalizione che tenga dentro tutte le anime del Paese, le diverse etnie, curdi, baluci, arabi, le minoranze religiose».
Con quale programma politico? «La richiesta principale è la libertà. Einsieme ad essa la giustizia sociale, lo stato di diritto che vuol dire tribunali indipendenti e legge uguale per tutti, la giustizia ambientale, la tutela delle minoranze, dei diritti lgbtq».
Nell’Iran futuro che immagina, chi oggi manifesta dovrà convivere anche con chi ha sostenuto o non criticato la Repubblica Islamica. I tempi sono maturi perché la rabbia lasci spazi alla riconciliazione? «Sento la rabbia, comprendo la rabbia dei ragazzi, è anche la mia. Quello che vediamo è solo violenza da parte della Repubblica Islamica contro manifestanti pacifici. Il processo della verità e della riconciliazione ha bisogno di giustizia. Dopo la rivoluzione, la giustizia di transizione sarà fondamentale, l’ Iran dovrà avere il suo processo di Norimberga. I responsabili dei crimini di massa contro gli iraniani, a cominciare dai massacri degli anni Ottanta e Novanta, dovranno rispondere alla giustizia. Se non lo faremo, le ferite resteranno aperte. Nessun innocente deve essere perseguito, ma a deciderlo saranno tribunali veri, uno stato di diritto in una repubblica democratica che abolisca la pena di morte».
Se glielo chiedessero, sarebbe disposto ad assumere un ruolo politico nell’opposizione? «Se ci sarà una coalizione io agirò come attivista civile. L’unico obiettivo che ho è vedere la caduta della Repubblica Islamica e la nascita di un nuovo governo democratico. Ma credo che il ruolo principale dovranno averlo gli attivisti all’interno dell’Iran».
Cosa si aspetta dalla comunità internazionale? «Che si prepari a un mondo senza la Repubblica Islamica. Un Iran democratico è un bene per tutta la regione. I Paesi occidentali devono richiamare gli ambasciatori, interrompere gli accordi economici, congelare i beni dei funzionari». L’Iran è già uno dei Paesi più sanzionati al mondo. «Teheran ormai fa affari con Cina e Russia, le sanzioni hanno un effetto relativo».
Ha pensato di tornare in Iran? «A fine novembre ci sono stato molto vicino: volevo fare la mia parte accanto ai coraggiosi giovani iraniani. Non ho nulla da perdere. Poi si è aperta la possibilità del processo alla corte internazionale di Giustizia e ho pensato che avrebbero potuto avere bisogno di me. Ma prima che la rivoluzione abbia successo tornerò in Iran per stare accanto alla mia gente».
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