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La Stampa Rassegna Stampa
04.04.2003 Succede a un confine di Israele
Fiamma Nirenstein racconta il pericolo che arriva dagli Hezbollah

Testata: La Stampa
Data: 04 aprile 2003
Pagina: 7
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Hezbollah, la tigre in agguato»
Pubblichiamo il reportage di Fiamma Nirenstein dal confine libanese apparso sulla Stampa del 4.4.2003





BENVENUTI al nord di Israele, presso il confine libanese e quello siriano, orlati di alte montagne: una katiusha targata Hezbollah plana con uno scoppio potente sulla città di Kiriat Shmone proprio mentre parcheggiamo. La guerra infuria a qualche centinaio di chilometri di distanza, dall’altro capo della Siria un flusso di volontari penetra in Iraq, fra di loro uomini della Jihad Islamica, di Hamas, dei campi profughi palestinesi in Libano. E gli Hezbollah? Gli Hezbollah stanno acquattati, con qualche sortita.

Di là dal filo spinato c’è una baracca da cui entra e esce un uomo di guardia, sotto una costruzione riparata si trova quello che evidentemente è l’ufficio centrale su cui sventola la bandiera gialla della guerra senza quartiere del gruppo di Hassan Nasrallah. Nel 1983 iniziarono la loro carriera facendosi esplodere con autobombe presso le baracche americane e francesi a Beirut, fecero circa trecento morti, li buttarono fuori.

Arrivano fra i soldati senza divisa, con i berretti calcati, i baffi e i fucili alcuni alti ufficiali in visita: a differenza degli altri indossano qualcosa che assomiglia a una divisa, scendono, prendono nota, risalgono, i loro uomini intorno ci sorvegliano da lontano, siamo a pochi metri di distanza e loro fanno piani: chissà se riguardano spari alle finestre, bombe sulle strade, rapimenti. Ogni due mesi circa gli hezbollah compiono un’azione contro Israeliani civili o soldati, li feriscono, li uccidono. Si fanno vivi.

Un’altra macchina arriva con una giornalista televisiva araba e il suo cameraman, accompagnata da un uomo armato. Probabilmente è Al Manara, la tv degli Hezbollah che ieri ha mandato in onda immagini di lotta e vittoria e una sequenza animata in cui Bush e Hitler fanno le stesse mosse, parlano con la stessa voce e con le stesse parole. Hassan Nasralla a Beirut il 3 marzo ha detto: «Stiamo entrando nella fase dell’eliminazione di Israele dalla regione, dell’arroganza americana e del controllo sui nostri Paesi e le nostre ricchezze...

Il Libano è uscito dall’era israeliana. L’invasione americana porterà a un risveglio della regione..» Intanto Bashar Assad faceva una sua inaspettata uscita: «La Siria non se ne starà a braccia conserte aspettando un’aggressione sionista e americana». «Bin Laden è la squadra di serie B, gli Hezbollah quella di serie A», dice Richard Armitage, sottosegretario di Stato americano che ha studiato il problema a fondo.

L’impressione che danno, a vederli stanziati sul confine, è quello del controllo completo, della sfida, del volersi porre come modello per tutta la Jihad che invita il Medio Oriente alla riscossa antiamericana: nei mesi dell’Intifada hanno speso tempo e uomini nell’incrudelimento della guerra, adesso il colonnello Munir Maqdah, del Fatah, annuncia che dal Libano partono i suicidi dell’Esercito Popolare del Fatah, che opera nei campi profughi; gli Hezbollah sono il modello e la casa madre, senza di loro non c’è guerra, e soprattutto senza guerra loro non esistono. Per questo, anche quando Israele si è ritirato dal Libano, hanno dichiarato che non gliene importava niente.

Mentre i volontari della guerra in Iraq passano il confine, gli Hezbollah si conservano e lavorano: sono la tigre al guinzaglio di Assad e dell’Iran; acquattata, si limita a far sentire il suo ruggito. Contro lo sfondo del Libano e della Siria, nella loro base di là dal filo spinato, hanno alzato un cartellone di due metri per quattro: rappresenta varie scene per demoralizzare i soldati di Zipporen, il fortino di guardia a dieci metri da qui. Sul cartellone, la testa del soldato Itamar Ilja, piena di sangue, pende dalla mano di un hezbollah; un soldato prigioniero e ferito; un mucchio di morti israeliani; un gruppo di giovani in divisa che piangono.

«Sharon - dice la scritta in ebraico - i tuoi soldati non sono tutti in Israele». Il riferimento non è solo agli uccisi, ma anche ai rapiti, e ai pezzi di corpo che le milizie di Nasrallah usano per gli scambi. «Abbiamo varie volte tirato giù il cartello - dice il comandante israeliano del fortino, Hagai, 21 anni - o l’abbiamo dipinto. Ma lo rimettono su, ne hanno una riserva». Nella postazione israeliana e lungo quel confine si cerca soprattutto di evitare infiltrazioni: rapimenti, uccisioni nei kibbutz, incursioni per piazzare ordigni lungo le strade sono all’ordine del giorno.

A sera gli Hezbollah si mobilitano, il freddo arriva dalla neve dell’Hermon sulla terrazza coperta di antenne, e anche di pietre gettate dagli hezbollah che beffardi, seguitano a usare la vicinanza inverosimile come arma di intimidazione. «Noi stiamo sul confine, come ogni stato. Loro stanno su un confine altrui, e sparano e tirano sassi. E Assad li manda fin qui, mentre il governo libanese ne farebbe volentieri a meno - dice il maggiore Avital Leibovitch, una giovane donna di stanza al nord - Stia indietro, a volte partono le fucilate. Ma noi non rispondiamo se non in casi estremi. Le provocazioni vengono da lontano, rispondere è una grossa decisione politica da quando nel maggio 2000 abbiamo compiuto il nostro ritiro unilaterale».

La guerra al nemico sionista è adesso un tutt’uno con la guerra al nemico americano: entrambi per gli Hezbollah, che si considerano i veri eredi della rivoluzione Khomeinista, sono invasori del sacro suolo dell’Islam e devono essere distrutti. «E adesso - dice al telefono un amico da Beirut - sono molto meglio armati, perchè hanno ottenuto quel deciso aiuto siriano che Assad il vecchio gli negava». Gli hezbollah sono rete a rete con le Forze di pace dell’Onu, che non muovono mai un dito: preparano da mangiare sotto le bandiere azzurre dell’Onu vicinissimo agli hezbollah, con i loro turbanti sikh.

E tuttavia, qui la fazione sciita di Nasrallah organizza la rivoluzione islamista, da qui si sparano cannonate continue sulle città e i kibbutz con le armi made in Siria e in Iran che passano da Damasco. L’esercito siriano ha tenuto esercitazioni congiunte con gli Hezbollah e con unità della guardia rivoluzionaria iraniana in dicembre; mentre si cominciava a parlare, ben prima dell’inizio della guerra, del passaggio di armi dalla Siria per l’Iraq, informazioni di intelligence sostenevano che gli Hezbollah avessero ricevuto dall’Iraq testate di 122 millimetri complete di materiali venefici.

Per ora, salvo sparare qualche colpo e starsene con i fucili in mano, i berretti calcati, la barba al vento e l’aria marziale, «hanno svolto un lavoro enorme per la guerra in corso - dice il professor Eli Karmon, esperto di terrorismo - se gli americani sono rimasti sorpresi dalla mancata buona accoglienza sciita (Saddam ha sempre oppresso e decimato la loro parte) è in buona parte dovuto agli Hezbollah». Lo sceicco Fadlallah, capo spirituale degli Hezbollah insieme all’ajatollah capo degli sciiti iracheni Sistani, ha visitato gli sciiti dell’Iraq per convincerli a rifiutare gli Usa. Intanto, inaspettatamente, il «complotto americano sionista» è stato oggetto di varie uscite molto evidenti da parte di Bashar Assad: «La lobby israeliana - ha detto Bashar - ha soggiogato gli USA che riorganizzano la regione per servire Israele. Ma i libanesi hanno mostrato, anche se qualcuno è corso all’accordo nel maggio, come si sconfigge Israele».

E chi è l’esempio vittorioso della lotta contro americani e sionisti? Gli Hezbollah, che hanno messo in fuga gli ebrei dal Libano e gli americani da Beirut. Ecco la katiusha su Kiriat Shmona: la popolazione corre nei rifugi, i bambini piangono. Intorno le montagne echeggiano: la katiusha può fare un buco in un tetto di una casa, di una scuola. Non genera larghe esplosioni; raramente uccide. Ben più pericolose sono le bombe che fanno saltare per aria veicoli militari e civili sulle strade lungo il confine... solo in dicembre hanno ammazzato un soldato e tagliato le gambe a un altro.

Così si fanno vivi gli Hezbollah, o con i rapimenti: spuntano dalla loro terra, dove l’esercito libanese non osa, dove Assad di Siria è il rais, con Nasrallah. Il filo spinato elettronico è tagliato: qualcuno è riuscito a infiltrarsi; di fronte a Misgav ha Ham, il kibbutz dove gli hezobollah riuscirono a penetrare in una scuola e uccidere i bambini nel 1980, vicino a Sujud, un grande faccione di Nasrallah illumina la strada e una elegante palazzina moderna registra un certo traffico di auto: è un centro televisivo, Nasrallah dà molta importanza alla comunicazione, al Manara è seguita da tutto il mondo arabo.

Gli Hezbollah sono un mondo, li vedo passare lungo i campi dei kibbutz, incontrarsi nei loro posti sul confine, attivi e silenziosi, mentre il giovane Assad anuncia: «Non staremo ad aspettare». Un hezbollah si arrotola una sigaretta appoggiato a un cubo di cemento: ne hanno accumulati parecchi dietro a certi larghi cancelli gialli sul confine (quello che vediamo si chiama Shin 358), per impedire l’eventuale cacciata dei palestinesi quando nella confusione della guerra «certamente gli israeliani se ne approfitteranno», dicono gli Hezbollah, sciiti filoiraniani che non disdegnano il vecchio nemico Saddam, perchè il nemico del mio nemico sionista è mio amico. Le onde di sabbia del deserto cambiano posizione, ma la sabbia resta uguale.


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