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La Stampa Rassegna Stampa
04.04.2003 Stato canaglia. adesso lo sa anche Bush
Come la Siria entra di fatto fra gli stati del terrore

Testata: La Stampa
Data: 04 aprile 2003
Pagina: 6
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Guerra anche alla Siria? E´ possibile»
Riportiamo un articolo di Maurizio Molinari pubblicato su La Stampa venerdì 4 aprile 2003.
La Siria con le dichiarazioni di Assad e l'aperto appoggio a Saddam Hussein
entra di diritto fra gli stati canaglia. Non è una novità per chi segue la storia mediorientale. L'intervista che segue ne parla diffusamente.

Il corrispondente da NEW YORK L´AMERICAN Enterprise Institute di Washington è uno dei pensatoi neoconservatori che contribuiscono a indicare il percorso dell'amministrazione Bush. Thomas Donnelly, esperto di strategia e sicurezza nazionale, è l'analista che segue l'evoluzione della crisi irachena interpretando le mosse tattiche del generale Tommy Franks come il lessico dei più stretti collaboratori del presidente George Bush. E' a Donnelly che si devono alcune delle più recenti e brillanti analisi sulla dottrina dell'attacco preventivo e la guerra al terrorismo contro l'«Asse del male». In questa intervista affronta il tema Siria.


Perché il ministro della Difesa, Donald Rumsfeld, e il Segretario di Stato, Colin Powell, a meno di 72 ore di distanza hanno ammonito la Siria a stare alla larga dal conflitto in Iraq?

«Perché l'Amministrazione tiene gli occhi bene aperti sulla Siria di Assad. Sin da prima dell'inizio del conflitto in Iraq».

Che cosa è che preoccupa di più Washington?

«E' noto che Damasco ha fatto arrivare a Baghdad quantitativi di armi, fra cui missili anticarro, e volontari provenienti da diversi Paesi arabi. Sono gesti che descrivono bene la posizione dei siriani, ma non si tratta di aiuti militari che possono evitare il crollo del regime di Saddam né cambiare l'esito del conflitto. Sebbene non sia in possesso di informazioni di intelligence particolari o recenti, ritengo che la maggior preoccupazione dell'Amministrazione non è su ciò che Damasco ha inviato a Baghdad, ma sul contrario».

Cioè?

«Le armi di distruzione di massa. Il forte sospetto è che Saddam Hussein ne abbia spostata almeno una parte in Siria prima dell'inizio della guerra, per sottrarle alle ispezioni delle Nazioni Unite».

Perché il presidente Bashar Assad avrebbe dovuto accettarle, sapendo del rischio?

«I rapporti fra Siria e Iraq sono molto solidi. Assad è senza dubbio il leader arabo più vicino a Saddam. I motivi non mancano: ricevere in cambio denaro, forniture militari, know-how sui missili e sulle stesse armi di distruzione di massa. Il possesso di queste armi è sempre stato per Saddam Hussein uno strumento di dominio regionale, Assad probabilmente ha intenzioni simili. Per quanto riguarda il denaro non dimentichiamoci che l'Iraq negli ultimi anni ha esportato illegalmente petrolio attraverso l'oleodotto che arriva al Mediterraneo attraverso la Siria. Si tratta di miliardi di dollari la cui sorte è ignota».

Ma quale interesse avrebbe la Siria a sfidare apertamente il presidente Bush in questo momento?

«A Damasco hanno un'idea particolare dell'America. Ricordo quando Assad padre fece fare una lunga attesa all'allora Segretario di Stato Warren Christopher prima di riceverlo. Il punto è che l'America di Bush è una cosa diversa, e se il giovane Assad ha realmente nascosto parte dell'arsenale proibito di Saddam ha fatto una scelta davvero rischiosa».

Crede che gli Stati Uniti potrebbero lanciare un attacco militare contro la Siria?

«Credo che se alla fine della guerra in Iraq una parte delle armi chimiche e batteriologiche non dovessero trovarsi e se Washington avesse elementi sufficienti per ritenere che si trovino in Siria, vi sarebbe ovviamente la richiesta di inviare ispettori internazionali nel Paese per effettuare dei controlli».

Come è già avvenuto in Iraq...

«La vicenda irachena non è occasionale. La politica americana è di impedire che Stati complici del terrorismo si impossessino di armi di distruzione di massa. La Siria ha noti e consolidati rapporti con organizzazioni terroristiche come gli Hezbollah, Hamas e la Jihad islamica palestinese, responsabili di attacchi suicidi che hanno causato la morte di cittadini americani. Se Damasco venisse in possesso di armi proibite queste potrebbero cadere nella mani di queste organizzazioni. Da qui la necessità che Damasco possa essere sottoposta a un regime di ispezioni internazionali».

Insomma, la Siria rischia grosso?

«Se Assad, o qualche generale siriano, ha nascosto armi di distruzione di massa irachene direi proprio di sì. Rischiano di essere i prossimi. Il Medio Oriente è cambiato. E' diventato un posto pericoloso per dittatori deboli, amici dei terroristi e con armi proibite. Nell'area gli Stati Uniti e gli alleati della coalizione hanno un'armata di 300 mila uomini che resterà da quelle parti per qualche tempo».

Eppure la Siria del giovane Assad dopo l'attacco all'America dell'11 settembre diede importanti segnali di cooperazione nella lotta ad Al Qaeda.

«Certo, come d'altra parte Assad padre mandò i propri soldati a combattere contro Saddam nella prima guerra del Golfo nel 1991. La Siria è uno di quei Paesi che capisce il linguaggio della forza. Quando percepisce la presenza di un pericolo vero fa un passo indietro. Proprio per questo Donald Rumsfeld e Colin Powell sono stati così espliciti: hanno fatto intendere che questa volta Damasco rischia grosso. Vedremo presto se il messaggio è arrivato a destinazione».

E l'Iran?

«E' un caso diverso rispetto alla Siria. Non vi sono, per ora, sospetti che nasconda armi di distruzione di massa e inoltre, sebbene sia legato a organizzazioni terroristiche, è militarmente più forte della Siria. Un attacco all'Iran sarebbe assai più complesso da un punto di vista militare che non alla Siria, assai più debole».

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