Morto Paul Johnson, biografo di Churchill Ritratto di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 15 gennaio 2023 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «'La cosa più utile che ho fatto? Distruggere l’imperialismo sindacale'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/01/2023, a pag. 2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo 'La cosa più utile che ho fatto? Distruggere l’imperialismo sindacale'.
Giulio Meotti
Paul Johnson
Roma. “Ho contribuito a distruggere l’imperialismo sindacale negli anni 80”. Così Paul Johnson, storico popolare che è diventato un’icona intellettuale per i conservatori negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, scomparso a 94 anni, rispondeva a chi gli chiedeva quale fosse la cosa più utile che avesse fatto nella vita. Il cattolico dai capelli rossi di Manchester divenne uno dei più importanti intellettuali di sinistra che si spostarono a destra negli anni 60, passando da direttore della rivista New Statesman (dove aveva eloquentemente predicato la causa del socialismo) a editorialista dello Spectator e del tabloid di destra Daily Mail. Ha scritto più di 50 libri su argomenti che vanno da Socrate alla regina Elisabetta, oltre a dozzine di tomi di storia religiosa, arte e architettura, romanzi, memorie e viaggi. Era amico di molti primi ministri, in particolare Margaret Thatcher. Durante il periodo in carica della signora Thatcher, Johnson è stato il suo più accanito sostenitore nella stampa britannica e talvolta anche il suo autore di discorsi. In seguito ha stretto un’amicizia con Tony Blair. “Avevo conosciuto Margaret a Oxford. Non era una persona da partito. Era una che aveva deciso da sola. La gente direbbe che è stata molto influenzata da Karl Popper o Frederick von Hayek. Il risultato è stato che la Thatcher ha seguito tre princìpi guida: veridicità, onestà e mai prendere in prestito denaro”. Richard Nixon era solito regalare i suoi libri per Natale e verrà insignito della Medaglia presidenziale della libertà degli Stati Uniti da George W. Bush.
La copertina del libro su Churchill
A Papa Giovanni Paolo II diede una copia in polacco del suo volume di seicento pagine sulla storia del cristianesimo. “Negli anni 70 la Gran Bretagna era in ginocchio e sindacati troppo potenti la stavano distruggendo”, ha ricordato in seguito. Nel 1977, Johnson pubblicò “Nemici della società”, un attacco agli intellettuali di sinistra degli anni 60, da Ivan Illich a Herbert Marcuse. Nello stesso anno si dimise dal Labour, sostenendo che i suoi leader avessero sposato una filosofia di “corporativismo” e “autoritarismo” simile all’Italia di Mussolini. La sua apostasia divenne virale nel mondo della cultura inglese. Nel 1975 indignò i lettori del New Statesman con un articolo che descriveva i sindacati come “gangster, uomini potenti che cospirano per spremere la comunità”. L’ultima goccia arrivò nel 1977, l’anno dei picchetti di Grunwick, dove ai lavoratori non sindacalizzati era stato impedito con la violenza di entrare nella tipografia dove lavoravano. Per Johnson fu “il marchio di Caino”. In un discorso pronunciato in Virginia, Stati Uniti, sempre nel 1977, sostenne che il capitalismo, lungi dall’essere il sistema oppressivo che aveva pensato, era una forza liberatrice compatibile con il cristianesimo. Amava l’America, dove era tra gli scrittori britannici più celebrati, venerato dai conservatori come Henry Kissinger, per il quale l’ultimo grande libro di Johnson, “A History of the American People” (1997), era “di portata maestosa come il paese che celebra”. Aveva il gusto della provocazione. Di Cézanne scrisse che “ha una certa rilevanza per un’epoca di travestiti, trans, sex-op, transessuali e gender-bending”. Riservava il più feroce disprezzo a quello che chiamava “relativismo morale”. Per lui non c’era conflitto tra princìpi in competizione. Giusto era giusto e sbagliato era sbagliato, in grammatica come nella morale. “Di tutte le figure imponenti del Ventesimo secolo, sia buone che cattive, Winston Churchill è stato il più prezioso per l’umanità e il più simpatico”, rispondeva. E a Churchill, oggi esecrato come imperialista, razzista e islamofobo in certi dipartimenti di humanities britannici, Johnson dedicherà uno dei suoi libri più belli.
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