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La Repubblica Rassegna Stampa
15.01.2023 Ucraina: diario di un massacro
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 15 gennaio 2023
Pagina: 14
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Tra i superstiti di Soledar: 'I russi come automi li colpisci e vanno avanti'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/01/2023, a pag. 14, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Tra i superstiti di Soledar: 'I russi come automi li colpisci e vanno avanti' ".

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Daniele Raineri

NYKYFORIVKA (DONBASS) — «Sono drogati». I soldati ucraini della 46esima aviotrasportata tentano di spiegare, mentre tornano dal turno sulla linea dei combattimenti a Soledar, il mistero di questi ultimi tre mesi di guerra nel Donbass: i russi che avanzano in schiere compatte come se nessuno gli stesse sparando addosso anche quando prendono proiettili da distanza ravvicinata. «A uno gli abbiamo fatto saltare la mano, ha continuato a correre verso di noi – dicono aRepubblica – se non lo vedi è difficile da capire. Li chiamavamo con disprezzo “carne” quando in Russia è cominciata la mobilitazione. Poi li abbiamo visti qui: si comportano davvero come se non avessero più il cervello. Stavamo in posizione con la mitragliatrice, abbiamo abbattuto un primo gruppo di russi, il secondo gruppo ha cominciato a correre incontro alla nostra posizione che ancora non avevamo finito di sparare al primo». I soldati ucraini si danno il cambio con quelli che reggono l’onda d’urto dell’esercito di Mosca, fanno i turni, Soledar ormai è persa ma c’è una linea di difesa a ovest della città per impedire che la sconfitta si allarghi. Vanno e vengono su blindati e furgoni, si fermano qualche ora e poi tornano avanti. Uno ha una garza insanguinata al posto della punta del naso, ridacchia e fuma una sigaretta: «Ho fatto un piercing». Anche lui deve essere sotto l’effetto di farmaci. I soldati hanno espressioni caute, rispondono a voce bassa, fanno pochi gesti. Sanno che Soledar è una città minuscola che a stento appare sulla carta, ma è pur sempre una vittoria russa. Per due volte alcuni di loro sono colti da un pensiero improvviso, tornano sui loro passi e chiedono di fare una foto assieme, perché si rendono conto di avere risposto a domande su Soledar e temono – a dispetto dell’accredito appeso al collo – di avere parlato con una spia russa e la procedura vorrebbe che si prendesse una foto al passaporto ma sarebbe macchinoso e allora fanno questa scena improbabile, perché la temperatura è sotto zero e tutti hanno i berretti di pile calcati sulla fronte e i baveri alzati fino al naso. Le colline dietro Soledar fanno da barriera temporanea con le loro strade senza asfalto e i fianchi innevati all’avanzata verso ovest dei russi. Al mattino i loro cannoni cominciano a sparare forte, cercano le case e i blindati fra gli alberi, è una cosa che non fanno mai prima delle nove. Dalle radure in cima alle colline gli ucraini rispondono con i camion lanciarazzi, sui tetti dei fuoristrada hanno le parabole degli Starlink per connettersi a internet via satellite. Anche soltanto il rumore di questo bombardamento incrociato fa tremare, immaginarsi cosa voleva dire per i russi trovarcisi in mezzo e avanzare a gruppi verso l’origine del fuoco, in campi dove i cadaveri dei loro compagni dell’ondata precedente giacevano “one on one”, come dice un soldato ucraino, uno sopra l’altro. «Devono essere le metanfetamine, quelli che catturiamo vivi sono drogati, parlano a vanvera, hanno gli occhi spalancati. Hanno più paura di quello che li aspetta alle loro spalle che di quello che hanno davanti». Alludono alle voci di torture, esecuzioni e spari alle spalle che farebbero parte delle tattiche del Gruppo Wagner e degli altri reparti russi nella zona per far funzionare la guerra. Altrimenti, continuano gli ucraini, non c’è spiegazione, è impossibile razionalizzare quello che hanno visto nella battaglia urbana per la piccola città mineraria di Soledar e nelle trincee che – per ora – proteggono la città di Bakhmut, poco più a sud. Uno di l oro con le mani annerite e gli occhi azzurri si annusa in modo esagerato un’ascella, per far capire che da più di un mese non si leva l’uniforme. «Sono pazzo, non so come sono sopravvissuto – dice a Repubblica – sono l’unico vivo della mia squadra. Abbiamo perso tre palazzi da cinque piani in un giorno. Ci dicevano di non arretrare, ogni giorno ci spostavamo da una casa all’altra. Ho sparato otto granate a razzo in quaranta minuti. Otto! Venivano da qui, da lì, da sotto, hanno fatto un buco nelle pareti per entrare. In mezz’ora fanno un buco e entrano in un palazzo. Ho sentito due esplosioni, venivano dal piano sotterraneo. Esco e ci sono due pederasti che salgono, gli sparo da vicino e salvo i miei». Pederasti è l’insulto che nel gergo dei soldati indica i russi – e la propaganda di Mosca sostiene che è necessario invadere l’Ucraina per impedire che le perversioni omosessuali degli ucraini siano imposte alla Russia. Non è un pranzo di gala. Ci sono anche i ceceni del battaglione Dzokhar Dudayev nella zona (da non confondere con gli estremisti del jihad). Uno di loro, in passamontagna, dice a Repubblica che irussi questa volta hanno vinto perché erano «dieci a uno contro di noi». Sono ceceni che odiano Kadyrov, l’alleato di Putin, in molti sono tornati per combattere dall’esilio in Europa e i loro comandanti sono veterani delle guerre cecene contro la Russia. Quanti siete? «Il numero totale non lo posso dire, il gruppo dei sabotatori ha cento uomini». Questa battaglia nel Donbass è soltanto un battito di ciglia nella «lotta di 400 anni per l’indipendenza del Caucaso », spiega il ceceno. «La guerra in Ucraina è un passaggio verso la futura partizione della Federazione russa. Sarà fatta con la supervisione dei governi occidentali, per evitare il caos e di perdere le armi nucleari, ma a quello arriveremo: alla fine una volta dell’imperialismo russo e nella partizione ci sarà spazio per l’indipendenza del Caucaso». Parla come se la performance russa a Soledar fosse un accidente transitorio, che non merita attenzione.

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