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israele.net Rassegna Stampa
15.01.2023 Evitare discorsi apocalittici, da una parte e dall’altra
Analisi di Gil Troy

Testata: israele.net
Data: 15 gennaio 2023
Pagina: 1
Autore: Gil Troy
Titolo: «Evitare discorsi apocalittici, da una parte e dall’altra»
Evitare discorsi apocalittici, da una parte e dall’altra
Analisi di Gil Troy

(da Israele.net)

Gil Troy (@Gil_Troy) / Twitter
Gil Troy

Oggi è dura essere sionisti di centro. Siamo intrappolati nella guerra fra le opposte paure. La sinistra teme che la democrazia in Israele sia spacciata, la destra teme che l’ebraicità di Israele sia condannata, e noi centristi temiamo che le paure di chi si ha paura peggiorino le cose. Speranza e disperazione sono spesso profezie che si auto-avverano, il che spiega perché i discorsi apocalittici possono essere così dannosi. Le strutture formali di una democrazia distribuiscono il potere statale, ma il potere della gente in una democrazia si fonda su regole informali, tacite intese e aperture alla speranza. Sono questi legami invisibili quelli che ci fanno continuare a cooperare, seguire la legge, accettare i risultati delle elezioni, legittimare i leader e rispettare le istituzioni. Le grida che Israele sta diventando l’Ungheria o che il governo regolarmente eletto sta facendo un colpo di stato, sono sproporzionate. Questo genere di veleni inquina il pozzo democratico. Si critichino, anche con forza, le singole proposte. Ma l’isteria va a scapito della credibilità e mina la comune fiducia nella democrazia. Continuare a definire debole la democrazia israeliana rischia di indebolirla. I profeti di sventura indeboliscono la fiducia reciproca e fiducia nelle strutture che ci permettono di discutere, lavorare e vivere insieme. Ma ancora più oltraggiose dei prematuri necrologi per la democrazia israeliana sono le affermazioni del tipo “questo o quello aumenterà il terrorismo palestinese”. Questa sorta di veto esercitato agitando la minaccia della violenza palestinese presuppone che i terroristi palestinesi si regolino caso per caso in base alla vita politica israeliana: presupposto perlopiù sbagliato e comunque immorale, giacché tratta il terrorismo palestinese come se fosse una risposta valida e razionale alla politica israeliana, mentre in realtà è espressione del rifiuto spietato e viscerale di accettare l’esistenza stessa di Israele. Trucidare innocenti non è una legittima forma di una protesta. L’indottrinamento necessario per spingere degli umani ad assassinare innocenti a sangue freddo è di natura esistenziale, non politica. I terroristi palestinesi non sono degli “opinionisti armati”, sono dei fanatici che rifiutano il diritto degli israeliani alla vita stessa (anche se alcuni assassini, che languono nelle paludi della società palestinese, vengono ricattati con la violenza). I demagoghi della “causa palestinese” coltivano da generazioni questo odio radicale, che prescinde da torti e ragioni ed è totalmente svincolato dalle politiche di sinistra o di destra di qualsiasi governo israeliano. Certo, può accadere che dei politici israeliani intraprendano azioni incendiarie che fanno saltare la relativa calma che generalmente prevale da quando Israele ha respinto e sconfitto il feroce terrorismo contro la pace scatenato da Yasser Arafat nei primi anni Duemila. Ma quest’ultima ondata di attentati è iniziata lo scorso marzo, quando ultra-ortodossi e ultra-nazionalisti erano all’opposizione. Detto questo, poiché la politica di un governo democratico raramente è così cattiva come teme l’opposizione né così buona come immagina la maggioranza, può essere utile provare a capire quali sono le ossessioni che animano gli apocalittici estremi di oggi. La destra israeliana teme principalmente gli estranei, e vede nemici ovunque. La sinistra israeliana teme soprattutto i connazionali, e non ha fiducia che i suoi rivali politici vogliano preservare la democrazia. Per ironia della sorte, i timori esagerati della destra rischiano di indebolire Israele incoraggiando i nemici esterni, e la sdegnosa sfiducia della sinistra indebolisce il suo appeal presso i suoi concittadini. Una campagna tutta “noi contro loro” ha riportato al potere la destra israeliana. Il loro “noi” contrappone gli ebrei israeliani al resto del mondo. Radicata in millenni di traumi generati dall’antisemitismo, rafforzata dalle ferite sempre riaperte dall’antisionismo e dai terroristi palestinesi, la loro identità è eccessivamente rigida e, ai loro occhi, costantemente sotto attacco. Nel 2018, quello che oggi è il ministro della giustizia, Yair Levin, lamentava “il processo in corso di erosione dello status del paese come stato nazionale del popolo ebraico”. Temeva che una Corte troppo potente, votata a difende l’eguaglianza, minacciasse l’ebraicità di Israele. Il mondo democratico, oggi, è fortemente agitato da un dibattito su quanto potere debbano avere i tribunali. E Levin ha alcuni buoni argomenti. Ma lui e i suoi alleati sbagliano quando trattano l’eguaglianza, il rispetto degli estranei e la tolleranza delle diversità come se fossero valori stranieri importati. In realtà sono valori profondamente ebraici e sionisti. Agli eccitati tifosi dell’ebraicità sfugge quanto Israele sia già profondamente ebraico, dall’uso quotidiano della rinata lingua ebraica alle festività condivise. Ma come i bulli da cortile, gli estremisti politici esagerano le accuse in modo caricaturale. Israele non è né “haredi-stan” (haredim = ultra-ortodossi ndr) né “Putin-grad”. Imporre una visione ristretta dell’ebraismo e della sicurezza a una maggioranza con punti di vista diversi rischia di diventare un boomerang. Gli stessi elettori del Likud non staranno volentieri imbottigliati nel traffico la domenica affinché gli haredim possano vantarsi d’aver bloccato i lavori di manutenzione delle ferrovie di sabato. I contribuenti israeliani non andranno volentieri in bancarotta per sovvenzionare chi vive a spese dello stato. E la maggior parte degli israeliani, compreso il primo ministro, preferisce costruire legami con gli Emirati Arabi Uniti anziché umiliare inutilmente i palestinesi. Alla fin fine, proprio gli eccessi arroganti potrebbero porre fine al predominio politico di ultra-religiosi ed estrema destra, anziché consolidarlo. Ma la sinistra non trarrà beneficio dal contraccolpo se i liberal trattano ogni proposta della coalizione come un attentato all’anima stessa di Israele. I liberal temono che una maggioranza aggressiva imponga la propria visione di Israele a tutti gli israeliani. Questo incubo riflette un profondo senso di insicurezza e ignora le numerose rivoluzioni sociali, culturali e politiche che hanno modernizzato, diversificato e democratizzato Israele, anche senza l’intervento giudiziario. L’Israele degli anni ’50 e ‘60 omogeneo e uniforme, dominato dall’ideologia socialista, non esiste più. Gli israeliani hanno stili di vita, affiliazioni tribali e ideologie diverse, pur rimanendo molto più intrecciati e uniti fra loro rispetto alla maggior parte degli occidentali. Proprio come l’Israele democratico non è stato costruito dall’oggi al domani, non può nemmeno essere smantellato così facilmente. Con il sacro diritto di denunciare il governo, le libertà civili delle minoranze in continua espansione, i profili pubblici in crescita, la democrazia israeliana è oggi più resistente che mai. Questo è il messaggio inviato da Benjamin Netanyahu, e che la maggior parte degli osservatori stranieri ha trascurato, quando ha permesso che la famiglia LGBTQ di Amir Ohana (primo presidente della Knesset dichiaratamente gay ndr) gli rubasse la scena del ritorno al potere. In definitiva, le realtà sul terreno di Israele dovrebbero calmare i seminatori di panico sia a sinistra che a destra. Si ascolti il tono della strada israeliana, si guardi a come vivono gli israeliani giorno per giorno. Si assaporino le libertà che diamo per scontate e a cui non rinunceremmo facilmente, e si presti attenzione a quell’eterno metastorico senso di comunità che ci unisce in così tanti modi, nonostante le divisioni politiche temporanee. Non possiamo starcene tranquilli. Le forze potenti, a volte controbilanciate fra loro, che mantengono vivo e fiorente Israele come stato ebraico-democratico richiedono una manutenzione e un aggiornamento costanti. Ma per salvaguardare il nostro futuro dobbiamo cercare di comprendere le paure dei nostri concittadini, scendere a compromessi quando possibile e accettare le sconfitte insieme alle vittorie, come è necessario fare, confidando nei processi storici e nei duraturi valori ebraici e democratici che ci sostengono.
 (Da: Jerusalem Post,11.1.23)

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