Cade il tabù americano sulle armi a lungo raggio Analisi di Cecilia Sala
Testata: Il Foglio Data: 14 gennaio 2023 Pagina: 1 Autore: Cecilia Sala Titolo: «Soledar chiama Biden»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/01/2023, a pag.1, con il titolo "Soledar chiama Biden", l'analisi di Cecilia Sala.
Cecilia Sala
Churchill & Zelensky
Roma. I russi stanno conquistando Soledar, il villaggio a 20 minuti di auto da Bakhmut che ormai non esiste più. Soledar è famosa per la miniera di sale e per due foto satellitari messe a confronto: una di agosto con ogni cosa al suo posto, e una di adesso, in cui la superficie del paesino corrisponde a una concentrazione scura di crateri nel terreno innevato. Prendere Soledar non serve a nient’altro che a prendere Bakhmut, scendendo giù verso sud-ovest e stringendola in una morsa. Non è una conquista importante dal punto di vista militare, ma lo è dal punto di vista simbolico per Mosca: sono mesi che non conquista niente. “E’ tutto così vicino qui che i nemici, a volte, confondono le loro posizioni con le nostre”, e viceversa. “I nemici sono intelligenti, questi non sono ragazzi inesperti”, dice il soldato ucraino Yaroslav. I mobilitati russi poco addestrati ci sono, ma vengono mandati a suicidarsi, senza copertura in mezzo alle strade deserte, per distrarre gli ucraini dalle operazioni delle forze speciali della Wagner: la battaglia corpo a corpo si fa con loro. “Usano abilmente il bilinguismo, dicendo: ‘Ciao, siamo amici’”, tentano imboscate e di mescolarsi con gli ucraini. “Una buona difesa non si basa solo sulla capacità di tenere in mano un’arma, devi capire la psicologia degli altri. Devi saper riconoscere gli inganni dalle smorfie, dal tono di una voce lontana”. Sono parole degli uomini della 46esima brigata dell’aviazione ucraina schierati a Bakhmut, raccolti da un loro compagno ferito sul gruppo Telegram della brigata. Sono gli stessi che hanno fatto pressione in direzione di Kherson fino a quando i russi non si sono ritirati. Sono stati decorati con la medaglia Khmelnytskyi da Volodymyr Zelensky. Hanno firmato con il pennarello la bandiera ucraina che il presidente ha portato al Congresso americano. Accovacciati dietro a una difesa bassa di calcestruzzo formata da una serie di guard rail, sdraiati sul ghiaccio: “Ascoltiamo il fiatone di un uomo dall’altra parte – un nemico? Uno di noi? – nelle pause tra i colpi dell’artiglieria”. C’è un buco nel calcestruzzo. “Ci accoltelliamo senza neanche alzarci in piedi, con i pugnali, attraverso il buco, in una scena selvaggia”. La battaglia di Bakhmut è spaventosa. Assomiglia a un suicidio di massa perché il corpo a corpo è un metodo di combattimento primitivo che implica una carneficina di tutti, dei russi che l’hanno imposto e di chi si difende. Per evitarne altre, bisogna stravolgere di nuovo i metodi di conduzione della guerra come è già stato fatto con le battaglie per le zone di Kharkiv e Kherson. Rinfoderare i pugnali e allontanare i due eserciti. La Casa Bianca sta prendendo in considerazione di inviare armi a lungo raggio a Kyiv che colpiscono al doppio della distanza di quelle che gli ucraini hanno oggi (150 chilometri invece degli attuali 70): si chiamano Glsdb. Finora la possibilità di mandare armi a lungo raggio è stata un tabù per evitare che venissero usate per colpire in Russia (in realtà in diversi punti agli ucraini bastano le munizioni americane che hanno oggi per farlo, ma non lo hanno mai fatto). Secondo un’esclusiva pubblicata ieri dalla rivista Foreign Policy, il tabù è caduto. Le armi a lungo raggio servono a evitare battaglie mostruose che si sostanziano in un corpo a corpo lungo quattro mesi in cui si sacrificano circa 10 mila vite di soldati – che è il modo in cui Mosca sta per conquistare Bakhmut. Le bombe Glsdb sono un compromesso tra il mantenere le cose come sono (con gli Himars che sparano a poco più di 70 chilometri) e le munizioni Atacms che Kyiv chiede da sempre. E un compromesso perfettamente nel mezzo: le Glsdb sparano esattamente alla metà della distanza degli Atacms e pesano la metà (cioè contengono la metà dell’esplosivo, 110 chili). Il governo di Zelensky si aspetta che vengano inserite nel prossimo pacchetto di aiuti militari dell’Amministrazione Biden. Per Foreign Policy, il timore dello staff del presidente americano non è davvero quello di un’escalation, ma che sia ormai troppo tardi per questo invio. Un parlamentare degli Stati Uniti ha detto alla testata: “Stiamo perdendo tempo”, e che il problema non è politico – quindi la volontà ci sarebbe – ma solo burocratico. Secondo alcuni esperti del Pentagono è un’operazione lunga e complicata perché bisogna montare le bombe sui motori che permettono di volare sugli obiettivi, e poi spedirle. La previsione è che per far arrivare a Kyiv i primi due sistemi di lancio e 24 bombe ci vogliano nove mesi, per poi arrivare a 12 sistemi di lancio e 750 bombe entro la fine del 2024. Sono armi estremamente precise, come gli Himars, e per questo ne bastano poche per fare la differenza. Colpiscono solo bersagli strategici ad altissimo potenziale, non servono a causare danni generali. Sono agili e maneggevoli, facili da nascondere rapidamente per evitare che vengano distrutte. Per quanto tempo ci possa volere, dice a Foreign Policy l’analista Rob Lee, “se ottieni un’arma a guida di precisione che porta munizioni più pesanti, quando arriverà ti sarà utile”, e nessun segnale da Mosca o da Kyiv indica che questa guerra sia destinata a durare poco. L’emergenza è – di nuovo – allontanare i due eserciti perché larghe porzioni di territorio (di migliaia di chilometri quadrati) si vincano o si perdano con operazioni mirate a distruggere snodi ferroviari o ponti strategici, scorte di armi e centri di comando, operate da grandi distanze e che fanno meno vittime – come è successo a settembre e novembre. Non con diecimila morti per conquistare quarantuno chilometri quadrati, come a Bakhmut.
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