Così le partigiane ebree guidarono la prima insurrezione antinazista Analisi di Mirella Serri
Testata: La Repubblica Data: 07 gennaio 2023 Pagina: 33 Autore: Mirella Serri Titolo: «Così le partigiane ebree guidarono la prima insurrezione antinazista»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/01/2023, a pag.33 con il titolo 'Così le partigiane ebree guidarono la prima insurrezione antinazista' l'analisi di Mirella Serri.
Mirella Serri
Il silenzio era profondo. Poi fu rotto dal rumore degli stivali dei tedeschi che salivano le scale del caseggiato di via Zamenhof e irruppero nella stanza. Zivia Lubetkin e altri quattro compagni erano seduti intorno al tavolo. Acquattati negli armadi, nascosti dietro le porte e in ogni angolo della casa c’erano però anche numerosi uomini e donne, con quattro bombe a mano e altrettanti fucili da caccia. A dare il via alla sarabanda fu Zivia, il cui nome di battaglia era Celina: i ragazzi, che avevano tutti tra i venti e i venticinque anni, fecero fuoco. Quindi, usando bastoni e tubi metallici, massacrarono i nazisti che volevano mettere in atto una nuova Aktion, ovvero retata, per deportare gli ebrei dal ghetto di Varsavia verso il campo di concentramento di Treblinka. Contemporaneamente altri pugnaci rivoltosi, mescolandosi a un gruppo di prigionieri, avevano messo in fuga un reparto di SS. Era il 18 gennaio 1943 e i nazisti — da quando nel 1940 avevano creato il ghetto di Varsavia, il più grande d’Europa — non avevano mai dovuto fronteggiare alcuna reazione. Ora si trovavano a contare le vittime. A sconfiggerli erano stati dei giovanottelli quasi imberbi. E non solo: i tedeschi rimasero basiti dalla presenza femminile: «Non erano umane, forse demoni o dee. Calme.
Agili come artisti circensi. Spesso facevano fuoco contemporaneamente con le pistole in entrambe le mani», così descriverà le protagoniste della sommossa di Varsavia il comandante Jügen Stroop che diresse con spietatezza le operazioni di repressione. La resistenza nel ghetto della capitale polacca ebbe il suo battesimo nella fatidica data di gennaio di cui quest’anno ricorrono gli 80 anni. In questa occasione non solo si verificò la prima rivolta degli ebrei contro Hitler ma anche la prima insurrezione antinazista in Europa. La sommossa vide schierate moltissime giovani donne ebree. Eppure gli storici hanno dimenticato per decenni i loro nomi e le loro vicissitudini. Gravissimo oblio, perché la sollevazione nella capitale polacca avvenne proprio grazie al contributo femminile. A dare il primo segnale che bisognava agire furono proprio le ragazze che appartenevano alle organizzazioni giovanili, come la Zob (?ydowska Organizacja Bojowa) la quale aveva tra i suoi leader una donna, la ventinovenne Zivia. Le polacche svolgevano delicati compiti di staffette: avevano fatto parte di gruppi sionisti, credevano nel socialismo, nel lavoro manuale, nella parità dei sessi, erano spesso molto colte, parlavano un polacco fluente e, a differenza dei compagni maschi circoncisi, e dunque riconoscibili, erano le uniche che potevano viaggiare liberamente. Spostandosi da Bldzin, Vilnius, Bialystok, Cracovia, Leopoli e Czestochowa, interloquivano, sorridevano, chiacchieravano con funzionari della Gestapo e militari. Raccolsero così informazioni segretissime: era in atto il programma della Soluzione finale dopo le deportazioni che nel 1942 avevano fatto sparire da Varsavia 300.000 correligionari. Per questo si doveva agire immediatamente. Grazie a staffette come Frumka P?otnicka — che morì il 3 agosto 1943 dopo essere stata catturata dalla Gestapo — , Tosia Altman, bellissima che morì tra le fiamme nell’incendio del ghetto, Idzia Pejsachson, severa e autoritaria che celava un revolver in una pagnotta, Irena Adamowicz, ricca borghese cattolica simpatizzante del sionismo, e a tante altre, furono informati tutti i vari schieramenti della resistenza polacca. Quando si accese la scintilla della nuova fiammata insurrezionale, il 9 aprile, Zivia-Celina combatté senza risparmiarsi. Solo dopo quattro settimane di scontri, Stroop comunicò a Berlino che il quartiere ebreo di Varsavia era stato raso al suolo. Celina il 10 maggio spuntò da un tombino nella parte tedesca della città, tutta coperta di liquami: aveva percorso chilometri nelle fogne. Dopo aver partecipato alla rivolta della capitale polacca del 1944, approdò in Israele, fondò un kibbutz e scrisse, come fece anche la partigiana Renia Kukie?ka, un memoir. Queste e altre testimonianze, a lungo rimaste ignorate, solo di recente sono riaffiorate e attraverso molte pubblicazioni, soprattutto negli Stati Uniti. Anche in Italia adesso si riscopre il classico Diario dal ghetto di Varsavia di Emanuel Ringelblum (Castelvecchi) il primo ad affermare alla fine del conflitto mondiale che «la storia della donna ebrea costituirà una pagina gloriosa della guerra attuale», mentre adesso arrivano d’oltreoceano importanti ricerche, come quella di Judy Batalion, Figlie della Resistenza. La storia dimenticata delle combattenti nei ghetti nazisti (Mondadori). Come mai c’è stata questa lunga rimozione del ruolo femminile? Le giovani vissute per anni sull’orlo del baratro e della morte non sono state considerate un punto di riferimento dagli studiosi che hanno sottovalutato il messaggio globale rappresentato dalla rivolta, un segnale per tutto il mondo coinvolto nella seconda guerra mondiale. Il monito era che all’esercito con le svastiche ci si poteva ribellare. I primi a farlo erano stati gli ebrei, e più precisamente le loro eroiche combattenti le quali non lottavano esclusivamente per la libertà ma pure per la democrazia e per i diritti di tutte le donne.
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