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La Stampa Rassegna Stampa
31.03.2003 Martiri in viaggio verso Baghdad,
Si moltiplicano le notizie sulla possibilità che squadre di terroristi suicidi possano unirsi all'esercito di Saddam

Testata: La Stampa
Data: 31 marzo 2003
Pagina: 2
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La nuova arma del dittatore iracheno»
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa lunedì 31 marzo 2003
Mentre l´esercito della Coalizione rivede la sua strategia alla luce del secondo attentato terrorista (più posti di blocco, meno familiarità con la popolazione, probabilmente più danni collaterali per i civili), Israele cerca di stabilire i nessi fra l´uso di questa arma micidiale: perché la firma della Jihad Islamica stavolta non era nuda e cruda, ma era accompagnata da un messaggio: «Questo è un regalo per l´Iraq». Le minacce di attentato ieri in Israele, secondo le autorità, sono state 56. Molte, si valuta, dovute al «Il giorno della Terra», durante il quale per altro una quantità di pacifici cortei di arabi israeliani ha avuto luogo: ma al di là di questo, il pensiero che attraversa la mente dei servizi israeliani e quella degli americani, è se non sia in preparazione un´offensiva di terrorismo, anche suicida, molto incrementata dalla larga esperienza di questa zona del Medio Oriente. Del resto l´arma strategica nel conflitto mediorientale è proprio lo «Shahid» (e il sostegno a Saddam si estende di giorno in giorno) predicato nelle moschee e pubblicizzato nei media. Tutto il mondo palestinese, come del resto il resto del mondo arabo, si sente direttamente investito dalla guerra a Saddam. Quando alla tv le notizie della guerra vengono diffuse, le strade si svuotano, e la gioia è grande se Saddam segna dei punti. Ma in queste ore si parla di qualcosa di molto peggio: della possibilità che squadre di terroristi suicidi possano unirsi all´esercito di Saddam. I segni di un´internazionalizzazione del terrorismo suicida non vengono solo dall´osservazione dei fatti di sabato, ma da una quantità di altri segnali. Prima di tutto, gli stessi portavoce di Saddam, hanno ripetuto che «decine migliaia di combattenti suicidi» sono giunti da fuori dell´Iraq in aiuto ai loro amici, e che provengono da tutto il mondo arabo; il vice presidente Taha Yassin Ramadan - che aveva lodato Alki Yaafar al Noamani, l´ufficiale suicida che col suo grado sta a indicare la forma organizzata assunta dal terrore suicida nella strategia di Saddam - ha seguitato a indicare nell´arma prescelta «una via di routine che useremo per colpire il nemico nella nostra terra e con cui lo inseguiremo nella sua terra» aggiungendo che l´Iraq «provvederà i volontari con tutto ciò di cui hanno bisogno». Da dove vengono i terroristi suicidi? Ci sono per ora due risposte: da Damasco e dal Libano. La pista di Damasco è quella della Jihad Islamica, che ha appunto uno dei sue più importanti leader nella capitale siriana: Ramadan Abdullah Shallah. Il capo del grande ufficio siriano dell´organizzazione ha dichiarato che l´attentato era stato preparato da tempo, che non è un´azione spontanea, che la guerra del mondo arabo contro gli americani è un tutt´uno con quella contro i sionisti, e che ogni arma deve essere usata e sarà usata per distruggere questo malefico fronte. Più preciso ancora è stato Munir Maqdah, un comandante di primo piano del movimento del Fatah in Libano, un tempo ufficiale del corpo di élite di Arafat, Forza 17, e successivamente molto critico verso il Raíss quando questi firmò l´accordo di Oslo. Maqdah ha la sua base a Ein el Hilwe, uno dei più agguerriti campi profughi palestinesi in Libano Maqdah, e comanda parecchie migliaia di uomini del Fatah in Libano. Ha dato un´intervista al settimanale di Nazareth «A Sennarah» in cui per la prima volta annuncia che i suoi uomini hanno deciso di unirsi alla lotta in Libano: «I miei uomini - dice in sostanza Maqdah - sono già arrivati a Baghdad e sono pronti a lanciare attacchi terroristi suicidi». Maqdah aggiunge anche che un nuovo gruppo di uomini è pronto a partire verso il l´Iraq, non appena i preparativi organizzativi saranno ultimati. «A Sennara» dice anche che, secondo Maqdah, Fatah ha deciso di attaccare gli interessi americani nel mondo. «Resistere all´aggressione americana aiuta la nostra causa - spiega Maqdah -: ciò che accade in Iraq è innanzitutto una battaglia per il nostro popolo e per l´Intifada, e per il mondo arabo e musulmano in secondo luogo». Queste parole sono certo molto estreme, di certo l´attuale leadership di Fatah non ne sarà soddisfatta, ed è possibile (lo si saprà nei prossimi giorni) che gli iracheni facciano uso soprattutto di unità suicide locali. E tuttavia in senso lato si può dire che fra il terrorismo palestinese e Saddam un legame è stato stabilito da quando il Raíss iracheno ha deciso di donare fino a 25 mila dollari alle famiglie degli «shahid» (giungendo a un importo complessivo che viene calcolato a 35 milioni di dollari). Una cifra molto più grande di quella donata dall´Autonomia Palestinese, per famiglia, che si aggira sui mille dollari circa.
Se è vero che migliaia di guerriglieri o di suicidi sono passati dentro l´Iraq, sarebbe logico pensare che questo sia avvenuto nell´ambito della grande simpatia dimostrata da Bashar Assad verso la causa irachena: una simpatia che si sostanzia, secondo gli analisti della zona (per esempio uno dei più famosi, Zeev Shiff, è di questo parere) nel libero passaggio in Iraq di volontari per Saddam attraverso il suo confine, addirittura attraverso i posti di confine. Shiff non li valuta a migliaia, ma ad alcune dozzine. Probabilmente l´autobus siriano in viaggio dentro l´Iraq che fu colpito da un missile americano domenica scorsa, era una un attacco intenzionale a un carico di clandestini. In un´intervista a Al Jazeera il 24 marzo, già l´analista militare Hitham al Kilani disse che «Il confine siriano è aperto a siriani, arabi, musulmani, che vogliano unirsi alla battaglia contro l´invasione americana». Turchia e Iran tengono invece i confini chiusi; la Giordania, li apre con il contagocce. A questa diversità della Siria, si aggiungono i discorsi infiammatori, ma soprattutto programmatici («Noi non staremo ad aspettare che gli americani aggrediscano anche noi») del Raíss siriano Bashar Assad, e le informazioni dei rifornimenti di armi e anche delle infiltrazioni di uomini per aiutare Saddam cui è seguita la dura reazione di Rumsfeld.


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