Storie (stra)ordinarie in un paese sotto costante attacco del terrorismo
Meital Mizrahi
Meital Mizrahi, 28 anni, venne gravemente ferita quando lo scorso aprile un terrorista palestinese si mise a sparare sulla gente che trascorreva la serata in un affollato pub di Tel Aviv. Oggi, dopo molte terapie e una lunga riabilitazione, ha accettato di parlare a YnetNews dei momenti di tensione e della lunga strada verso la guarigione. L’attentato avvenne verso le 21.00 del 7 aprile all’Ilka Bar, nella vivace Via Dizengoff di Tel Aviv, quando un terrorista palestinese originario di Jenin aprì il fuoco a raffica sugli avventori, uccidendo tre israeliani e ferendone altri 13, tra cui Meital Mizrahi. Alla fine, dopo una caccia all’uomo durata ore, il terrorista venne raggiunto dalle forze di sicurezza israeliane vicino a una moschea nel quartiere Giaffa (Tel Aviv sud) e ucciso in uno scontro a fuoco. Mizrahi si trovava nel pub con il marito quando venne colpita al collo da una pallottola che mancò di poco l’arteria principale, lasciandola sospesa tra la vita e la morte. “Penso ancora che sia stato il destino o la divina provvidenza a salvarmi, quando i tre uomini che sedevano accanto a me sono stati uccisi – dice – Il calvario che ho attraversato è stato scioccante e doloroso, ma ha anche fatto del bene. Ha avvicinato strettamente me e i miei famigliari, mi ha spinto a inseguire i miei sogni e mi ha dimostrato che sono più forte di quanto avessi mai pensato possibile”. Mizrahi venne trasportata d’urgenza in ospedale con ferite multiple alla parte superiore del corpo. “I dottori hanno lottato per salvarmi – racconta – Ero uscita per un drink e mi sono ritrovata in una stanza d’ospedale piena di ferite dolorose, tra cui fratture al torace, un polmone perforato e una mano che non si muoveva”. Nonostante le difficoltà, Mizrahi ha rifiutato di arrendersi. “In una delle mie prime notti in ospedale, io e mio marito abbiamo parlato di quello che era successo nell’attentato e io gli ho promesso che non mi sarei arresta e che continuerò a lottare”. “Quando sono arrivata all’ospedale per la riabilitazione – continua il racconto – ho dovuto esercitare molta autodisciplina e ho scelto di credere che tutto accada per una ragione, e che ho ricevuto una seconda possibilità nella vita. Mi sono resa conto che lamentarmi della mia sorte non mi avrebbe portato da nessuna parte e che avevo la possibilità di ristabilirmi, quindi l’ho fatto”. Mizrahi è stata dimessa dall’ospedale ad agosto, ma dice che deve tutt’ora fare i conti con le cicatrici fisiche e mentali, oltre a gestire la sua ansia nella vita di tutti i giorni. E conclude: “Ho aperto uno studio di architettura e design di interni. Ho capito che se posso affrontare quello che ho passato, posso affrontare tutto. Così ho deciso di inseguire il mio sogno”. Due delle vittime dell’attentato, Tomer Morad ed Eitam Magini, erano amici d’infanzia che avevano frequentato la stessa scuola superiore. La terza vittima, Barak Lufan, era un 35enne padre di tre figli. (Da: YnetNews, 18.12.22)
***
Un agente scelto della polizia di frontiera israeliana racconta di essere miracolosamente scampato alla morte quando un proiettile mirato alla sua testa è stato bloccato dalla sua stessa arma. “Questa settimana, quando Israele accenderà candele e celebrerà il miracolo di Hanukkà – dice il sergente O. – io celebrerò il mio miracolo personale. Un proiettile sparato alla mia testa è stato intercettato dalla mia arma personale e mi ha salvato la vita”. L’incidente è avvenuto la scorsa settimana quando la sua unità era stata mandata nel campo palestinese di Jenin durante un’azione volta ad arrestare dei ricercati per terrorismo. “Sono consapevole del pericolo e dei rischi insiti nostre attività operative – dice l’agente scelto– ma questo incidente mi ha mostrato quanto fossi vicino alla morte e come sia stato salvato da una forza maggiore: il mio personale miracolo di Hanukkà”. E spiega: “Il nostro compito era quello di identificare l’origine del fuoco diretto contro le nostre truppe che operavano nell’area”. “A un tratto – rievoca D., il comandante dell’unità – ho sentito un forte rumore e subito dopo un vetro andare in frantumi. E immediatamente ho capito che qualcuno ci stava sparando. In quello stesso momento il sergente O. veniva buttato all’indietro e io ho pensato, ecco, ho perso uno dei miei uomini”. “Ho pensato che ci avessero sparato – riprende l’agente scelto – o che qualcuno ci avesse lanciato una carica esplosiva. Ho iniziato a esaminarmi e ho trovato solo una piccola scheggia di vetro nella zona della guancia. Il mio comandante mi ha chiesto se stavo bene, ho detto subito di sì e ci siamo sdraiati a terra per metterci al riparo”. Il comandante dice d’aver cercato di trovare il punto in cui il proiettile aveva colpito, ma ha deciso rapidamente di lasciar perdere per non tenere esposta la sua unità, visto che comunque non c’erano stati feriti. Diversi giorni dopo l’agente scelto si è reso conto che la sua arma non funzionava correttamente. La sorpresa è stata scoprire che c’era un proiettile conficcato al suo interno. “Se la mia testa fosse stata inclinata appena un po’ più di lato, il proiettile mi avrebbe ucciso” conclude. (Da: YnetNews, 19.12.22)