Putin prepara un nuovo attacco Cronaca di Gianluca Di Feo
Testata: La Repubblica Data: 24 dicembre 2022 Pagina: 3 Autore: Gianluca Di Feo Titolo: «Putin deve ammettere: 'Siamo in guerra'. Verso un nuovo attacco»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/12/2022, a pag. 3, con il titolo "Putin deve ammettere: 'Siamo in guerra'. Verso un nuovo attacco" il commento di Gianluca Di Feo.
Gianluca Di Feo
Guerra. Dopo 302 giorni di bombardamenti, battaglie e soprattutto disfatte, Vladimir Putin ha rotto l’ultimo tabù: per la prima volta ha pronunciato la parola «guerra». Ormai la propaganda non riesce più a nascondere come “l’operazione militare speciale” sia in realtà un conflitto sanguinoso. Sottolinea però che la colpa è tutta della Nato, schierata compatta contro la Russia, rendendosi conto che anche l’evocazione della grande guerra patriottica non basta a risollevare il morale di un popolo che sta pagando un prezzo altissimo. Il Cremlino e i suoi generali sanno che una vittoria sul campo è difficile, se non impossibile, ma hanno bisogno di dimostrare la propria potenza: devono riprendere l’iniziativa, quantomeno per negoziare un armistizio che salvi la faccia del regime. La vigilia di Natale vede gli ottocento chilometri di linea del fronte animati da un’ordinarietà di combattimenti. Una routine di piccoli attacchi e contrattacchi, villaggi conquistati e persi, con i tiri delle artiglierie che non si fermano mai. In alcune zone le puntate russe sono più incisive e nei giorni scorsi ci sono stati assalti nella regione di Karkhiv e nel Lugansk: l’unico scontro su larga scala continua ad avvenire a Bakhmut, dove l’intervento di due brigate di parà ucraini sembra abbia duramente provato i mercenari della Wagner. A Kiev però hanno capito che queste sono schermaglie, perché dietro la frontiera Mosca raduna altri corpi meccanizzati, mettendo insieme reduci e reclute. Ai russi non mancano mezzi, né munizioni e i raid contro le città testimoniano che l’industria bellica non ha rallentato la produzione neppure delle armi più sofisticate, come i missili cruise. Al Cremlino servono invece tattiche che riescano ad avere ragione dell’efficienza dei reparti ucraini, molto più flessibili, e della loro “supremazia informativa” ossia l’intelligence che li informa dettagliatamente sui movimenti. La domanda è: dove e quando ci sarà l’attacco? L’attenzione è concentrata sulla Bielorussia, terminale dei treni che hanno ricominciato a trasferire tank e semoventi in quantità. È da lì che 10 mesi fa è scattata la disastrosa marcia contro Kiev e in quel settore i russi possono tentare nuove offensive, facendo perno sulla città di Mazyr e cercando di non ripetere gli errori. Avrebbero il vantaggio di affidare ai soldati di Lukashenko il presidio delle retrovie e mettere gli ucraini davanti a un dilemma: per colpire le basi degli invasori sarebbero obbligati a fare fuoco sul territorio bielorusso, creando un casus belli inequivocabile. Tutti i piani russi vengono studiati in base a due fattori: tenere i depositi fuori dal raggio d’azione dei micidiali razzi Himars e costringere i difensori a dividere le loro forze scelte, ingaggiando battaglia in zone molto lontane fra loro. Per questo assieme alla manovra danord potrebbero esserci assalti simultanei verso Karkhiv e Lugansk.
Nulla di paragonabile all’invasione del 24 febbraio, perché il prezzo pagato dall’armata russa è enorme: le brigate d’élite sono state decimate e gli equipaggiamenti migliori distrutti. Al massimo, l’obiettivo può essere quello di tagliare le arterie di collegamento a ovest di Kiev, tenendo sotto pressione la capitale per imporre condizioni negoziali al governo Zelensky: un’operazione militare per ottenere risultati politici. Per questo la campagna di raid contro gli impianti energetici non si fermerà, lasciando le città senza corrente e limitando l’attività delle officine belliche ucraine. Il comando di Mosca sa però che un successo anche limitato dipende dalla sorpresa e farà di tutto per ottenerla. Ci sono indizi di nuovi sistemi elettronici per accecare i satelliti gps – indispensabili per la guida delle armi di precisione e dei droni ucraini – e per disturbare le trasmissioni della rete Starlink. Anche l’aviazione, l’unica forza rimasta praticamente intatta, potrebbe avere un ruolo più incisivo. Impossibile stabilire quando i tank si metteranno in moto: l’ipotesi è che non siano in grado di entrare in campo prima di fine gennaio. Gli ucraini ovviamente non stanno a guardare. Anzitutto, potenziano i ranghi: istruttori americani, britannici e presto europei stanno addestrando altre brigate, privilegiando la formazione di sergenti capaci di gestire in maniera autonoma i combattimenti, all’opposto di quanto fanno i russi. Poi cercano di aumentare la disponibilità di blindati e cannoni, con donazioni estere e la riparazione delle armi danneggiate. E vogliono capire come anticipare le iniziative del nemico. A sud il fiume Dnipro è una barriera difficile da valicare; nel Lugansk e nel Donetsk le fortificazioni sono robuste: un’occasione potrebbe venire dalla zona di Zaporizhzhia, come trampolino di lancio degli Himars per bersagliare Melitopol e mettere in crisi le reti di rifornimento degli occupanti. Qualsiasi mossa sulla scacchiera porta però allo stesso esito: nessuno dei due contendenti è in grado di cogliere una vittoria definitiva. Nei prossimi due mesi, azioni e reazioni riusciranno solo a causare morte e distruzione: logoreranno l’avversario, senza un trionfo determinante. Di più: un’altra sconfitta di Putin renderebbe ancora più concreto il rischio di escalation nucleare. Ed è in questa drammatica certezza che può aprirsi un varco per l’iniziativa diplomatica statunitense.
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