Iran, l'arma dello stupro Analisi di Nicholas Kristof
Testata: La Repubblica Data: 22 dicembre 2022 Pagina: 19 Autore: Nicholas Kristof Titolo: «L’arma dello stupro nelle carceri iraniane per piegare le donne alla morale di regime»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/12/2022 a pag. 19 la cronaca di Nicholas Kristof dal titolo "L’arma dello stupro nelle carceri iraniane per piegare le donne alla morale di regime".
Una misura dell’ipocrisia del regime iraniano sta nel fatto che, secondo fonti credibili, per costringere donne e ragazze all’osservanza del suo rigido codice morale le arresta e le sottopone ad abusi sessuali. In uno scottante servizio sugli stupri ai danni delle manifestanti da parte delle forze di sicurezza, laCnnracconta di una ventenne arrestata con l’accusa di guidare le proteste e in seguito portata dalla polizia in un ospedale di Karaj tremante, con la testa rasata e un’emorragia del retto. La donna è stata poi ricondotta in prigione. Sia Human Rights Watch che Amnesty International hanno documentato numerosi casi di abusi sessuali. Hadi Ghaemi, del Center for Human Rights in Iran, un osservatorio con sede a New York, mi ha raccontato di una ragazza di 14 anni di un quartiere povero di Teheran che ha protestato togliendosi il velo a scuola. La ragazza, di nome Masoomeh, è stata identificata dalle telecamere della scuola e arrestata; non molto tempo dopo, è stata portata in ospedale con gravi lacerazioni vaginali.
La ragazza è morta e la madre, dopo aver dichiarato di voler rendere pubblico il caso della figlia, è scomparsa. I casi di violenza sessuale sono difficili da verificare perché le vittime si vergognano e hanno paura; secondo laCnn ,a volte le autorità filmano le violenze per poi ricattare le manifestanti e costringerle al silenzio. Ciò che appare invece ben chiaro è che continuano i ritrovamenti di manifestanti morti. Nika Shahkarami, per esempio, una ragazza di 16 anni che aveva dato fuoco al suo velo in pubblico. È stata catturata dalle forze di sicurezza e pochi giorni dopo le autorità hanno annunciato la sua morte. L’autopsia ha rivelato fratture al cranio, al bacino, a un’anca, alle braccia e alle gambe. Le manifestazioni che si tengono in tutto l’Iran non riguardano più soltanto il velo. Vogliono il rovesciamento di un regime incompetente, corrotto, repressivo e brutale. «Se un governo non si comporta bene, la nazione dovrebbe prenderlo a pugni in faccia», dichiarò l’ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979, quando la rivoluzione da lui guidata instaurò la Repubblica islamica. È esattamente quello che cercano di fare oggi gli iraniani. Il fatto che la rivoluzione popolare iraniana non ottenga un sostegno maggiore in America e nel mondo mi sorprende e mi delude. Credo che la ragione sia duplice. Primo, l’Iran ha vietato l’accesso alla maggior parte dei giornalisti stranieri, quindi non abbiamo troupe televisive nelle strade che documentino il modo in cui gli studenti rischiano la vita per affrontare gli sgherri del regime. Penso che noi giornalisti non stiamo dando a questa storia l’importanza che meritaperché non possiamo essere là. Secondo, gli americani provano una certa ostilità verso gli iraniani, li percepiscono come fanatici che inneggiano alla morte dell’America. In verità, a livello individuale, l’Iran è probabilmente il Paese più filoamericano del Medio Oriente. Durante uno dei miei viaggi in Iran ho portato con me mia figlia, all’epoca quattordicenne. Ho una fotografia di lei con delle donne che l’abbracciano: esemplifica bene quanto la gente comune sia entusiasta di incontrare degli americani. Una volta scambiai due parole con un giovane pasdaran che faceva la guardia a un museo antiamericano. Circondato da enormi striscioni che parlavano dell’America come del “Grande Satana”, mi chiese consiglio su come emigrare negli Stati Uniti. «Al diavolo i mullah», disse. In prima linea nelle protesteodierne ci sono ragazzine intrepide. Quando un membro del Basij – una delle forze paramilitari – ha fatto una conferenza in una scuola, le ragazze si sono tolte gli hijab e lo hanno interrotto. E in una scuola femminile di Karaj le studentesse hanno lanciato bottiglie d’acqua per cacciare via un ufficiale. Gli Usa e altri governi si stanno facendo sentire, e gli iraniani gliene sono grati. Nasrin Sotoudeh, avvocata iraniana per i diritti umani oggi in congedo per malattia dopo dieci anni di detenzione (una misura ridotta rispetto a quanto previsto in origine: 38 anni e mezzo e 148 frustate) mi ha detto di aver particolarmenteapprezzato l’espulsione dei rappresentanti iraniani da una commissione dell’Onu sui diritti delle donne. Ma lei e i suoi concittadini vorrebbero che l’amministrazione Biden facesse di più per delegittimare il governo ira niano e condannare le esecuzioni, e che i governi occidentali con sedi diplomatiche in Iran richiamassero gli ambasciatori. «L’amministrazione Biden non ha fatto abbastanza», mi ha detto Tala Raassi, una stilista iraniano-americana che ha conosciuto in prima persona la brutalità del regime: a sedici anni è stata arrestata e ha ricevuto quaranta frustrate per aver indossato una maglietta a maniche corte e una minigonna a una festa privata. Mi piacerebbe che Biden, in accordo con altri Paesi, alzasse il volume delle proteste internazionali contro la repressione. Amir Soltani, scrittore iraniano-americano, suggerisce: «Proprio come Kennedy con il suo “Ich bin ein Berliner ” e Reagan con il suo “Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!”, Biden potrebbe esprimere la posizione americana con un “Ayatollah, aprite le porte del carcere di Evin, restituite la libertà di espressione agli iraniani”». L’Occidente potrebbe anche cercare di inasprire le sanzioni contro i funzionari iraniani e i loro familiari che fanno festa all’estero o trasferiscono denaro oltreconfine. Al contempo, l’intelligence dovrebbe lavorare di più sulla repressione iraniana e far trapelare informazioni ogni volta che sia possibile, per mettere le autorità del Paese di fronte alle loro responsabilità. Fare pressione sull’Iran è difficile, perché il Paese è già isolato e ha già subito sanzioni pesanti. Tuttavia bisogna provarci, perché sta per cominciare una nuova fase: il governo ha iniziato a eseguire le condanne a morte, per terrorizzare la popolazione e costringerla alla resa. Finora sappiamo di due manifestanti impiccati e di almeno altri 35 condannati a morte o accusati di crimini capitali. Nel 1978, quando la rivoluzione di Khomeini prendeva slancio, ilNew York Times citò un avvocato che esprimeva dubbi ben fondati: «Spero che non usciremo da un fosso solo per cadere in un pozzo». Più di quarant’anni dopo, gli iraniani stanno disperatamente cercando di uscire da quel pozzo, guidati da studentesse che non si arrendono nemmeno davanti al rischio di arresti, torture ed esecuzioni. Hanno capito che una ragazza con i capelli scoperti non è più immorale del governo che la stupra e per questo meritano un sostegno internazionale ben maggiore.
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