Moldavia, la prossima vittima di Putin Analisi di Micol Flammini
Testata: Il Foglio Data: 20 dicembre 2022 Pagina: 1 Autore: Micol Flammini Titolo: «La visita a Minsk»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/12/2022, a pag. 1, con il titolo "La visita a Minsk", l'analisi di Micol Flammini.
Micol Flammini
Roma. Vladimir Putin è arrivato a Minsk e, alla fine della rampa posizionata per consentirgli di scendere dal suo aereo, ha fatto un balzo inaspettato. Si è poi diretto a ricevere i doni come da protocollo di benvenuto e poi ha salutato con un abbraccio il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka che era lì ad attenderlo. L’attenzione su quel salto girava tutta attorno alla sua interpretazione: avrà saltato perché gli ha improvvisamente ceduto la gamba ed è malato oppure perché è talmente in forma da poterselo permettere? Qualche ora dopo il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, si aggirava anche lui per Minsk senza divisa e con la mano destra in tasca. Le stesse domande sul perché avesse assunto una posa tanto forzata hanno tenuto gli osservatori occupati: sarà ferito? tremerà? è in imbarazzo? La visita congiunta del presidente russo e dei suoi ministri – c’era anche Sergei Lavrov – è stata inusuale, soprattutto per la presenza di Putin in Bielorussia: l’ultima volta che era stato a Minsk era il 2019. Il capo del Cremlino non si sposta volentieri per andare a trovare il suo alleato, uno dei pochi che ancora lo riceve con tutti gli onori, nonostante Putin storca spesso il naso in sua presenza. I due si sono incontrati per due ore e mezza, al termine delle quali, Putin ha detto che la chiacchierata è stata “molto produttiva”. Lukashenka è stato più vago ancora: “Penso che le persone apprezzeranno le decisioni che abbiamo preso oggi e la nostra strategia”. Hanno comunicato di essere soddisfatti di come stanno combattendo insieme le sanzioni occidentali e Putin ha aggiunto che durante il colloquio a porte chiuse sono stati affrontati tutti i punti più sensibili sulle forniture di gas e petrolio. Putin persegue l’idea di rendere la Bielorussia sempre più dipendente, ieri ha detto che non ha intenzione di assorbire nessuno, ma ha rivendicato che l’integrazione tra i due paesi è a buon punto: sono state attuate circa seicento misure di integrazione su mille, sono avanti sia quelle in campo energetico, per la creazione di un mercato unico del gas, e soprattutto nel campo militare, nell’incremento di “uno spazio di Difesa unico”. Il timore è che la visita di Putin a Minsk sia stata architettata per far cedere Lukashenka anche su un altro punto: l’ingresso diretto della Bielorussia nella guerra contro l’Ucraina. Finora il dittatore bielorusso è riuscito a procrastinare un intervento diretto del suo esercito poco numeroso e non molto addestrato, ma da mesi i militari ucraini avvertono del rischio di un nuovo attacco da nord, da quel confine che già il 24 febbraio, giorno di inizio dell’invasione, era stato violato per puntare sulla capitale Kyiv. La Russia ha trasferito nuovi mezzi militari sul territorio bielorusso, ieri sono iniziate nuove esercitazioni congiunte e proprio nel febbraio scorso, l’invasione era stata preceduta da manovre militari che Mosca e Minsk hanno condotto insieme. Prima del colloquio, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, aveva definito “sciocchi e infondati” i racconti di pressioni su Lukashenka per convincerlo a intervenire in guerra, ma a Minsk Putin ha parlato di passi avanti anche nell’integrazione degli armamenti. Ha raccontato che i piloti bielorussi vengono addestrati dai russi, che gli aerei di Minsk sono stati riequipaggiati e dotati della capacità di trasportare “testate speciali”, mentre i missili Iskander e gli S-400 sono stati messi a disposizione dell’esercito bielorusso. Gli ucraini temono che si riapra il fronte nord, mentre hanno concentrato le loro forze altrove e sanno che adesso dovranno cambiare di nuovo strategia, rimanere in allerta per bloccare, eventualmente, una nuova offensiva contro Kyiv. Questo nuovo fronte potrebbe rallentare le conquiste ucraine, costringere i soldati a spostarsi e quindi dare respiro ai soldati russi che cercano di non perdere i territori conquistati a sud e a est. La partecipazione attiva della Bielorussia difficilmente cambierebbe gli equilibri in favore di Mosca: Lukashenka non ha armi sue, quelle che i suoi soldati potrebbero utilizzare vengono dalla Russia, e soprattutto non ha un esercito numeroso da mettere al servizio di Putin. Il New York Times ha pubblicato un rapporto dettagliato sui fallimenti dell’esercito russo e sul loro perché. Ci si sarebbe aspettati l’arrivo di un esercito famelico che avrebbe sbaragliato gli uomini di Kyiv, invece si è scoperto che i soldati russi avevano in dotazione mappe vecchie, medici poco esperti e generali poco accorti. Il Cremlino negli ultimi vent’anni ha effettivamente speso molto in Difesa, ma si è attrezzato per fare una guerra a distanza, diversa da quella che ha dichiarato all’Ucraina, e, nonostante questo, Nikolai Patrushev, il segretario del Consiglio di sicurezza russo, avrebbe detto al capo della Cia, Bill Burns, che l’America doveva capire che Mosca era tornata. Si trattava però di una Mosca poco consapevole dei suoi mezzi, non attrezzata per una guerra d’invasione e con ingranaggi rotti nella catena di comando. Un nuovo attacco dalla Bielorussia potrebbe essere l’ulteriore errore. Ieri, la Moldavia ha detto che sarà la prossima vittima, che tutto dipenderà dalla guerra in Ucraina. Il capo del servizio di informazione e sicurezza di Chisinau ha avvisato: “La questione non è se, ma quando: se all’inizio dell’anno, o più tardi”. Non ci sono state conferme da parte di altre agenzie di intelligence internazionali.
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