Efraim Inbar spiega le strategie militari americane Fiamma Nirenstein intervista Efraim Inbar, direttore del Begin-Sadat center for strategic studies israeliano
Testata: La Stampa Data: 25 marzo 2003 Pagina: 6 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Perché questa corsa verso Baghdad senza retrovie sicure»
Riportiamo un'intervista di Fiamma Nirenstein a Efraim Inbar pubblicato su La Stampa martedì 25 marzo 2003. GERUSALEMME IN Israele l´esperienza cinquantennale di guerra in Medio Oriente ha generato un superesercito al di là dell´esercito: strategia, intelligence, guerra psicologica, osservazione del mondo arabo, balistica e aereonautica, tutte queste scienze qui dispongono di esperti che dedicano la vita intera a capire qualsiasi conflitto scoppi nella zona. Il professor Efraim Inbar è il direttore del Begin Sadat Center for Strategic Studies, un punto di riferimento a livello internazionale.
Professore, che succede? Per esempio, perché questo rapido avanzamento delle truppe americane verso Baghdad senza che le retrovie siano assicurate, lasciando le città dietro di sè intatte quanto a infrastrutture e a uomini di Saddam?
«E´ una novità strategica che rende le cose più difficili: gli americani hanno come pensiero dominante il domani dell´Iraq. Baghdad è l´obiettivo perché è la sede di Saddam, e lo scopo della guerra è soltanto, si ricordi, quello di esautorare il Raíss, non di distruggere l´Iraq. Gli americani vogliono combattere lui, non gli iracheni. Il tentativo degli alleati è quello di conservare il Paese il più intatto possibile, e anche quello di fare meno vittime possibile mentre ci si avvicina a Baghdad, di usare il negoziato».
Beh, se si decide di farlo attraversando un deserto non è così difficile. Inoltre, non è una scelta solo tatica quella di non fare vittime che sarà contraddetta una volta dentro Baghdad?
«Primo punto: non bisogna sottovalutare la grande prova di potenza organizzativa e logistica che sta dando quell´immenso numero di carri armati in movimento, col tempo avverso, con i soldati in condizioni inconsuete, col caldo ormai incombente, che percorrono centinaia di chilometri forniti logisticamente di tutto, e pieni di motivazione: è un´impresa in sè strategicamente molto complessa. Secondo: non uccidere senza scopo, è comunque un classico delle guerre non di conquista, e quindi mi va bene».
Ma la battaglia di Baghdad, ammesso che lo scopo di questa lunga marcia senza crearsi retroguardie sia salvaguardare la popolazione, potrebbe vanificare del tutto la scelta compiuta fin qui: a Baghdad gli iracheni possono ingaggiare una battaglia durissima, combattere casa per casa, con grandi perdite umane da ambedue le parti.
«Il disegno americano non è quello di entrare nelle strade e nelle case della capitale irachene, ma di costringere alla resa la Guardia repubblicana che Saddam ha posto a qualche decina di chilometri dai suoi accessi, poi agire in modo puntuale contro obiettivi strategici che riguardano Saddam Hussein e i suoi uomini, e basta».
Professore, dalle immagini in tv si vede un supporto popolare per Saddam.
«Il popolo iracheno è un popolo arabo con il suo orgoglio nazionale, certo non ha in simpatia gli americani, ma questo non vuole dire che sia disposto a sostenere un dittatore come Saddam fino in fondo».
Per ora non si sono viste le scene di giubilo che accolgono i liberatori, come prevedevano gli Usa.
«Gli Usa non hanno mai contato solo sulle folle festanti, bensì su un processo di liberazione a stadi. Vede, la cultura politica mediorientale non ama il vuoto: l´Iraq non vede ancora all´orizzonte una nuova leadership, una nuova vita. E quindi si aggrappa alla vecchia».
Quanto conta l´elemento religioso, che ieri Saddam ha evocato in continuazione?
«In questo momento moltissimo, perché l´Islam è l´unico fattore comune a sunniti, sciiti, curdi, turcomanni... E conta molto l´elemento anti-israeliano, anche quello evocato due volte nel discorso di ieri. Gli ebrei, ha detto, sono i burattinai degli americani e degli inglesi».
Torniamo alla guerra. La vittoria americana non sembra a portata di mano. I prigionieri, i morti, gli incidenti da fuoco amico galvanizzano gli uomini Saddam, e sembrano corrodere il morale indebolito dell´Occidente.
«Intanto, vedo che, anzi, il sostegno aumenta sia in Inghilterra sia in America. Inoltre vorrei far notare che sono passati solo quattro giorni, che complessivamente mi sembra le cose vadano secondo i piani, e si ricordi che è già un miracolo che gli americani abbiano ricevuto qualche buona accoglienza: non dimentichiamo l´esperienza degli iracheni nel `91, l´abbandono di chi aveva defezionato, le eliminazioni di massa. E poi, come funziona una dittatura? E´ chiaro che in ogni villaggio e in ogni città la Guardia Republicana e i Fedayn non mancano. Sparano perché temono di finire davanti a un tribunale di guerra. Ma non tutta la popolazione è nello stesso stato d´animo, e qualche segno si è visto».
Lei crede che Saddam sparerà su Israele?
«Finché pensa di potere utilizzare il sostegno internazionale non lo farà. Ma con le spalle al muro farà di tutto: l´ha già fatto».
Lei pensa che in Iraq sia possibile la democrazia?
«Non sono certo: ma sarà comunque un progresso enorme per la stabilità del Medio Oriente e del mondo se Saddam lascerà il posto a un potere meno squilibrato».
Quello che abbiamo visto in tv ieri è Saddam?
«Non lo so al cento per cento. Ma sembra la stessa persona apparsa all´inizio della guerra. E comunque, se fosse morto le cose andrebbero diversamente: il suo esercito riceve ordini dal centro. Se il centro sia lui, chissà».
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