Se l’Europa aprisse finalmente gli occhi sui finanziamenti di molte ong
Analisi di Gerald M. Steinberg
(da Israele.net)
Gerald M. Steinberg
Nel corso degli anni in cui ho indagato e analizzato la politica e le finanze delle ong (organizzazioni non governative), ho ascoltato e letto numerose dichiarazioni di funzionari europei sull’importanza di sostenere e proteggere queste organizzazioni (note collettivamente come “società civile”). Quelle affermazioni servono per giustificare i miliardi di euro che l’Unione Europea e i singoli paesi riversano a tali organizzazioni ogni anno, spesso senza alcuna trasparenza. Le ong politiche palestinesi e israeliane godono di una posizione privilegiata presso i sovvenzionatori europei e ricevono complessivamente uno sproporzionato ammontare di sovvenzioni annuali, teoricamente allo scopo di promuovere i diritti umani, la democrazia, la pace e altre nobili cause. Quando ai rappresentanti europei viene chiesto di giustificare l’attribuzione di fondi a gruppi che conducono campagne di demonizzazione basate sulla calunnia dell’“apartheid”, i sovvenzionatori europei evitano il merito della questione e ripetono gli slogan generali. Persino quando un certo numero di funzionari di alcune delle ong beneficiarie sono stati implicati in attacchi terroristici, la cosa non ha convinto i governi a svolgere l’indispensabile due diligence (adeguata verifica) né a mettere in discussione il mantra della società civile. Ora, però, i rapporti dell’Europa con l’industria delle ong sono improvvisamente finiti sotto una nube scura che minaccia di imporre cambiamenti importanti e forse anche – ma è solo una possibilità – una revisione completa del sistema. A Bruxelles un certo numero di funzionari, tra cui influenti membri del parlamento europeo e loro assistenti, sono attualmente indagati per corruzione, nella forma di ingenti somme ricevute in segreto dal Qatar e/o dal Marocco. La presidente del parlamento europeo Roberta Metsola ha condannato “i malintenzionati legati a paesi terzi autocratici” che “hanno verosimilmente strumentalizzato le ong”.
A quanto risulta, la ong coinvolta si chiama Fight Impunity e, come molte nel settore, dichiara di promuovere i diritti umani affermando “il principio di responsabilità (accountability) come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale”. Fight Impunity ha account attivi sui social network e co-sponsorizza eventi con le agenzie dell’Unione Europea. I membri di alto profilo del Comitato d’onore ritratti sul sito web, tra cui Federica Mogherini, ex rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, conferiscono un’aura di autorevolezza e legittimità all’organizzazione e alla sua attività di raccolta fondi (dopo gli arresti, Mogherini e altri membri del Comitato d’onore hanno annunciato le dimissioni, cercando di prendere rapidamente le distanze). Tra gli attivisti delle ong figura Maria Arena, eurodeputata belga che promuove un’agenda anti-israeliana e che ha presieduto la sotto-commissione sui diritti umani del parlamento europeo (nel contesto delle indagini, Arena ha annunciato le sue “dimissioni temporanee”). Di particolare rilievo è il fatto che il sito web di Fight Impunity non fornisce alcun indizio sulle finanze della ong e non elenca alcun donatore. Tuttavia, i nostri ricercatori di “NGO Monitor” hanno scoperto un riferimento in un rapporto del dicembre 2020 redatto a seguito della decisione della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di formare un comitato etico indipendente incaricato di esaminare questioni relative al ruolo di un ex commissario della Commissione europea nel Comitato d’onore della ong. Una singola riga di quel rapporto di nove pagine afferma: “Il donatore più importante è la Sekunjalo Development Foundation”. A quanto pare, i funzionari dell’Unione Europea non si sono preoccupati di andare oltre e non hanno intrapresa alcuna iniziativa. Se i funzionari dell’Unione Europea avessero verificato (vale a dire, se avesse esercitato la necessaria due diligence sulle ong), loro e i giornalisti di base a Bruxelles, che pure hanno completamente bucato la notizia, avrebbero facilmente scoperto che della Sekunjalo Development Foundation, con sede in Sud Africa, si sa molto: compresi rapporti su finanziamenti dal Qatar. Sekunjalo Development Foundation è la “divisione filantropica” degli investimenti e degli accordi commerciali del potente gruppo Sekunjalo, e il suo coinvolgimento avrebbe dovuto accendere molte spie rosse a Bruxelles. Fra gli altri intrecci, il gruppo ha lavorato con la famiglia Gupta, profondamente coinvolta in inchieste per corruzione a carico dell’ex presidente sudafricano Jacob Zuma. In quanto proprietario della Independent Newspapers & Media SA, il gruppo Sekunjalo è stato accusato d’aver accondisceso alle richieste cinesi di censura delle notizie sull’internamento di massa degli uiguri. Stando a quanto riferito, la Cina è coinvolta in numerosi accordi commerciali con il gruppo societario sudafricano. Tutte queste informazioni erano immediatamente disponibili per gli esponenti europei coinvolti con la ong Fight Impunity, se si fossero presi il disturbo di esaminare i dettagli. Viceversa, finché le ong e i loro finanziatori santificano la “società civile” come una sorta di religione con un effetto aureola che protegge questi gruppi e il loro processo di finanziamento da qualsiasi analisi critica, le porte continueranno ad essere spalancate a corruzione e abusi. Forse questo scandalo di alto livello nell’Unione Europea si tradurrà finalmente in un cambiamento politico fondamentale, e da tempo atteso, anche per quanto riguarda il finanziamento all’ingrosso della rete di ong politiche pro-palestinesi, alcune delle quali collegate a gruppi terroristici. Il cambiamento dovrebbe iniziare con l’apertura dei documenti e dei protocolli delle riunioni in cui viene deciso il finanziamento delle ong, consentendo l’analisi di possibili influenze interne o corruzioni nel processo di autorizzazione di sovvenzioni che implicano decine di milioni di euro. Parallelamente, l’Europa dovrebbe creare meccanismi per la supervisione delle ong, ponendo fine al lasciapassare che consente a questi gruppi di esercitare un’influenza politica senza accountability (rendere conto). Come altre grandi crisi, questo scandalo di corruzione nell’Unione Europea che collega i finanziamenti neri alla facciata delle ong può essere l’occasione per riparare meccanismi inceppati e disfunzionali. Tenendo sempre presente che la “strumentalizzazione delle ong” non si limita a regimi autocratici lontani dall’Europa.
(Da: Jerusalem Post, 15.12.22)