Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/12/2022 a pag.26 con il titolo "A Taiwan la resistenza è digitale" l'analisi Anne Applebaum.
Anne Applebaum
Nel 2018 un forte tifone lasciò a terra migliaia di persone all'aeroporto internazionale di Kansai, vicino Osaka, in Giappone. Tra loro c' erano molti turisti taiwanesi. Di regola, una vicenda del genere non avrebbe avuto grande rilevanza politica e invece, a poche ore dall'incidente, un misterioso sito web di Taiwan iniziò a riferire notizie in merito a quello che sembrava essere un vero e proprio fallimento dei diplomatici taiwanesi nei soccorsi ai loro concittadini. Alcuni blogger postarono notizie anche sui social, elogiando con entusiasmo le autorità cinesi che invece avevano fatto arrivare autobus per aiutare le persone a evacuare l'aeroporto. Si disse che alcuni turisti di Taiwan avessero fatto finta di essere cinesi pur di salire a bordo. Le voci sull'incidente si sparsero rapidamente e iniziarono a circolare fotografie e video, che si presumeva arrivassero dall'aeroporto. Ben presto la vicenda arrivò sui media mainstream di Taiwan. I giornalisti si scagliarono contro il governo: perché i diplomatici cinesi avevano agito con rapidità ed efficienza? Perché i taiwanesi si erano rivelati invece così incompetenti? Gli organi di informazione di Taiwan descrissero l'incidente come motivo di grande imbarazzo nazionale, soprattutto per un Paese i cui leader sostengono di non aver bisogno di aiuti dalla Cina. Le indagini condotte in seguito portarono alla luce alcune stranezze. Si scoprì, per esempio, che molte persone che avevano postato notizie importanti e fornito dettagli sull'incidente non esistevano: le loro fotografie erano fotomontaggi. Aspetto più singolare ancora rispetto a qualsiasi altra cosa, il governo giapponese confermò che non si erano visti autobus cinesi e, quindi, non c'era stato nessun insuccesso da parte di Taiwan. In ogni caso, l'apparente fallimento fu rilanciato e ribadito dai giornalisti e dai conduttori televisivi, soprattutto quelli che volevano usarlo per attaccare il partito al governo. Questo, naturalmente, era proprio ciò che i propagandisti cinesi avevano voluto. L'anonimato dei social media, il proliferare di siti "di informazione" senza chiare origini e, soprattutto, la natura faziosa della politica taiwanese erano state manipolate con l'obiettivo di promuovere una delle narrazioni preferite del regime cinese: la democrazia taiwanese è debole, l'autocrazia cinese è forte. In caso di emergenza, il popolo taiwanese vuole essere cinese. In qualche caso, la pressione della Cina su Taiwan è stata militare e ha comportato minacce o il lancio di missili. Negli ultimi anni, tuttavia, la Cina ha abbinato alle minacce e ai missili anche altre forme di pressione, intensificando quella che i taiwanesi chiamano "guerra cognitiva": non si tratta solo di propaganda, ma di un vero e proprio tentativo di creare una mentalità arrendevole. Questo attacco su più fronti – militare, economico, politico e dell'informazione – dovrebbe ormai apparirci familiare, perché lo abbiamo visto in atto in Europa orientale. Prima del 2014, la Russia aveva sperato di conquistare l'Ucraina senza colpo ferire, semplicemente convincendo gli ucraini che il loro Stato era troppo corrotto e incompetente per sopravvivere. Adesso tocca a Pechino puntare alla conquista senza un'operazione militare su ampia scala, in questo caso convincendo i taiwanesi che la loro democrazia è irrimediabilmente destinata al fallimento, che i loro alleati li abbandoneranno, che un'identità "taiwanese" non esiste. Le autorità di governo di Taiwan e le autorità civili sono ben consapevoli del fatto che, per una molteplicità di ragioni, l'Ucraina costituisce un precedente. Durante una mia recente visita a Taipei, la capitale di Taiwan, mi è stato detto e ripetuto molte volte che l'invasione dell'Ucraina da parte dei russi è un'avvisaglia, un avvertimento. Anche se non hanno collegamenti di ordine geografico, culturale o storico, Taiwan e Ucraina sono due Paesi uniti dal potere dell'analogia. Il ministero taiwanese degli Esteri Joseph Wu mi ha detto che l'invasione russa dell'Ucraina fa riflettere la gente di Taiwan e le persone di tutto il mondo, inducendole a chiedersi: "Accidenti, un regime autoritario sta facendo guerra contro un Paese che ama la pace: potrebbe essercene un altro? Poi, guardandosi in giro, vedono Taiwan". In verità, un'altra somiglianza tra i due Paesi c'è. Le opinioni russe sull'Ucraina sono state così potenti che in Europa e in America molti ci hanno creduto. La raffigurazione dell'Ucraina fatta dai russi di essere una nazione divisa di dubbia lealtà, prima di febbraio ha convinto molte persone che gli ucraini non avrebbero reagito. Anche le narrazioni della propaganda cinese su Taiwan sono molto forti, e l'influenza cinese sull'isola è a uno stesso tempo molto concreta e molto divisiva. Sull'isola la maggior parte della popolazione parla mandarino, la lingua dominante nella Repubblica Popolare, e molti taiwanesi hanno ancora legami di famiglia, di lavoro e culturali con la madre patria, a prescindere da quanto si oppongano al Partito Comunista. Proprio come gli osservatori occidentali non sono riusciti a comprendere fino in fondo quanto seriamente gli ucraini si stessero preparando alla difesa– a livello psicologico, ma anche militare –, così non ci siamo accorti che Taiwan ha iniziato anch'essa a cambiare. Come gli ucraini, oggi i taiwanesi si trovano in prima linea nel conflitto tra democrazia e autocrazia. Anche loro ormai sono costretti a inventarsi strategie difensive. Quello che accade lì alla fine accadrà ovunque: le autorità cinesi stanno già cercando di espandere la loro influenza in tutto il mondo, anche all'interno delle democrazie. Le tattiche che i taiwanesi stanno mettendo a punto per combattere la guerra cognitiva cinese, le pressioni economiche e la manipolazione politica alla fine risulteranno indispensabili anche in altri Paesi. La strana vicenda degli autobus inesistenti all'aeroporto di Kansai ebbe una conseguenza inaspettata: ispirò gli attivisti taiwanesi Ttcat e Puma Shen a cofondare un gruppo di ricerca no-profit, Doublethink Lab.
Ttcat (il nome è uno pseudonimo) è un ex studente delle superiori che ha abbandonato gli studi, si è messo a giocare ai videogiochi, è stato ammesso all'università per studiare informatica, ha abbandonato ancora una volta i libri per scivolare infine nelle campagne ambientaliste. Il suo curriculum attesta una preparazione eccellente per quello di cui si occupa oggi: scopre e individua le operazioni cinesi della propaganda e progetta programmi per istruire l'opinione pubblica in merito. Ciò significa che insieme a Shen, avvocato e criminologo, può lavorare per conto dei taiwanesi mantenendosi a distanza dal governo taiwanese. Nessuno può accusare un attivista con un passato nei videogiochi di voler dare la scalata a una carriera politica. Tcat mi ha raccontato che la vicenda dell'aeroporto lo ha costretto a riflettere a fondo su come contrastare quel tipo di attacco non-attacco. L'episodio, dopo tutto, non era altro che una menzogna. Era il tentativo, molto ben pianificato, di inserire un esempio della debolezza taiwanese nel dibattito pubblico di Taiwan. Dopo l'incidente, insieme a Shen ha messo insieme un team di persone che lavora proprio nel tipo di ambiente che è più facile immaginare: stanze buie, trasandate, piene di giovanissimi sempre connessi. Mi hanno mostrato una presentazione, basata in parte sul loro recente lavoro sulla propaganda cinese sull'Ucraina. Tra le altre rivelazioni vi sono, stranamente, quelle di alcune storie cinesi riguardanti un tale turista ucraino che si sarebbe presentato a Hong Kong durante le dimostrazioni politiche di massa del 2019. Le fotografie dell'uomo appaiono ripetutamente su tutti i media cinesi e taiwanesi, e inquadrano in modo particolare un suo tatuaggio, un simbolo dell'estrema destra. In qualche caso l'uomo è descritto come un neonazista, in altri come un provocatore spedito da qualcuno – la Cia? – a dare manforte ai manifestanti di Hong Kong. L'idea di fondo è quella di evocare timori di disordini, caos ed estremismo, e di collegarli a Hong Kong, oltre che all'Ucraina. Alcuni esponenti cinesi di primo piano hanno anch'essi promosso teorie del complotto su inesistenti bio-laboratori in Ucraina, le stesse invenzioni usate dalla Russia e dall'estrema destra internazionale per spiegare e giustificare l'invasione russa iniziata a febbraio. In modo alquanto insolito, invece, la rappresentante più famosa di questo mondo amorfo di attivisti online oggi fa parte del governo. Audrey Tang, Prima ministra digitale di Taiwan, non promuove soltanto il mondo dell'attivismo digitale: contribuisce a crearlo. Da ragazza prodigio, a soli 19 anni faceva la programmatrice nella Silicon Valley, e poi ha partecipato alla Rivoluzione dei Girasoli del 2014, un movimento giovanile costruito attorno all'opposizione a un trattato commerciale con la Cina. Oggi si descrive a uno stesso tempo "anarchica conservatrice" e "post-gender". (Ha anche detto che per lei è irrilevante quale pronome si usi per parlare di lei.) Il giorno che ci siamo incontrate, Tang indossava una maglietta con il tridente ucraino e mi ha detto di essere in contatto con l'innovativo ministro digitale dell'Ucraina. Mi ha ricordato che il suo impegno nei confronti della verità è assoluto: ogni intervista che concede, compresa quella con me, viene poi postata online. La filosofia di Tang è quella della guerra asimmetrica: lei crede che Taiwan non possa giocare con le stesse regole della Cina. Le tattiche centralizzate criminose e dalla mano pesante del Partito Comunista Cinese possono essere contrastate soltanto da qualcosa di completamente diverso: gruppi decentrati nati dal basso che usano software open-source e restano il più possibile invisibili. In conformità a questa filosofia, il numero di impiegati effettivi del ministero di Tang è molto esiguo. In verità, buona parte del lavoro necessario a contrastare le narrazioni dei cinesi ricade su gruppi come Doublethink e IORG. A Taiwan, mi ha detto, il settore sociale – le cooperative, le organizzazioni non governative, gli imprenditori sociali – godono di maggiore fiducia da parte dell'opinione pubblica rispetto ai partiti politici o al settore privato.
Questa dinamica si deve a una storia precisa: gli attivisti civili negli anni Ottanta esercitarono pressioni per porre fine al regime monopartitico del KMT e per rescindere i rapporti economici con la Cina nel 2014. Dato che la gente ricorda che gli attivisti hanno contribuito a dar vita alla moderna democrazia di Taiwan, Tang pensa che adesso si fidi di loro per monitorare l'insidioso mondo di vetro della disinformazione cinese, o quanto meno si fida più di quanto faccia nei confronti del governo da quel punto di vista. Invece di rivolgersi alle autorità al governo, per esempio, i taiwanesi che dubitano di qualcosa che hanno sentito o letto possono rivolgersi a Cofacts, un sito web open-source che permette agli utenti di contribuire al dibattito generale con i loro controlli fattuali. Per mantenere la collaborazione degli utenti, il sito fa uso anche di espedienti come quelli dei videogiochi, come le ricompense e le sfide di livello. Billion Lee, uno dei fondatori del gruppo, ha scritto che le influenze ufficiali sono escluse di proposito: "Quando i governi sono troppo coinvolti nella lotta alla disinformazione, può sembrare quasi che ci sia una violazione della libertà di espressione." Stando ad alcuni resoconti, dentro al partito al governo Tang non gode ancora dell'influenza necessaria per promuovere tutte queste idee – e non deve sorprendere che molti politici oppongano resistenza al livello di trasparenza che lei auspicherebbe – ma può pur sempre indicare alcuni risultati concreti. Durante la pandemia, il ministro digitale ha incoraggiato una sorta di gara scherzosa tra le persone che ricevevano il vaccino Moderna e quelle che ricevevano il Pfizer come strumento per promuovere la vaccinazione in generale. Tang definisce "umorismo delle dicerie" quel tentativo e altri fatti per trasformare in barzelletta le teorie della cospirazione, e fa notare che a Taiwan non si è mai sviluppato un forte movimento no-vax. Sotto la sua leadership, il governo di Taipei ha sperimentato anche l'uso di Polis, una piattaforma online di dibattiti che permette di discutere meglio a livello di opinione pubblica. Poter prendere parte ai dibattiti nazionali è complesso per i taiwanesi: l'identità online degli utenti, infatti, è collegata alla loro iscrizione al sistema sanitario nazionale. Se alcune conversazioni condotte su Polis possono sembrare alquanto banali – per esempio, un dibattito nazionale sull'uso dei monopattini elettrici – i loro obiettivi non potrebbero essere più importanti. L'idea di fondo, infatti, è che se tutti parlano in modo equilibrato, rispettando regole trasparenti per i dibattiti online, allora le teorie del complotto non potranno diffondersi tanto rapidamente. La visione di Tang è incredibilmente razionale: conversazioni migliori, democrazia migliore, più trasparenza contraddiranno anche la più subdola campagna di informazione cinese. Non tutti i metodi ai quali ricorrono i cinesi però sono fatti per passare inosservati. Quando Pechino inviò navi da guerra, caccia e missili a sorvolare e girare attorno al perimetro di Taiwan dopo la visita di Nancy Pelosi, il punto non era tanto quello di creare insicurezza, quanto quello di scatenare terrore e preoccupazione. In pratica, naturalmente, sia gli attivisti taiwanesi che organizzano la difesa civile sia coloro che cercano in vario modo di contrastare la narrativa cinese stanno facendo una grande scommessa. Stanno puntando sul fatto che la democrazia e la trasparenza possano sconfiggere sul serio l'autocrazia e l'omertà, che la fiducia possa avere la meglio sulla polarizzazione, che la società possa riuscire a organizzarsi da sola, dal basso, per sconfiggere ogni minaccia. Stanno facendo tutto questo in un Paese che è collegato al suo peggior nemico in vari modi complessi – la lingua, la storia comune, le parentele, gli investimenti – e nutre comprensibilmente ansia in relazione all'affidabilità di alleati lontani. La loro battaglia contro la guerra cognitiva cinese, nondimeno, non consiste soltanto nell'aggirare i bot su internet e nel farsene beffa. I russi hanno invaso l'Ucraina in parte perché hanno creduto, erroneamente, che gli ucraini non avrebbero reagito con le armi. Se i cinesi ritenessero che i taiwanesi reagiranno, potrebbero pensarci due volte prima di attaccare. Da questo punto di vista, vi è una connessione profonda tra il lavoro del mondo degli attivisti sociali taiwanesi in genere – quelli che vigilano sulla disinformazione cinese online e quelli che difendono l'indipendenza giudiziaria, fanno campagna per i diritti dei cittadini di Hong Kong e le minoranze etniche, promuovono la trasparenza del governo – e il lavoro delle forze armate, che tengono i cannocchiali puntati sullo Stretto di Taiwan. Rafforzando la democrazia, smussando la polarizzazione, coinvolgendo sempre più cittadini in un impegno attivo nella vita pubblica, sperano tutti di convincere la Cina che un'invasione è troppo costosa e rischiosa. Il futuro di Taiwan? Dipende dal fatto se hanno ragione o meno.
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