Johnson e Kissinger Cronaca di Enrico Franceschini
Testata: La Repubblica Data: 16 dicembre 2022 Pagina: 17 Autore: Enrico Franceschini Titolo: «'La Crimea in cambio del negoziato'. Il consiglio a Kiev di Boris Johnson»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/12/2022, a pag. 17, il commento di Enrico Franceschini dal titolo " 'La Crimea in cambio del negoziato'. Il consiglio a Kiev di Boris Johnson".
Enrico Franceschini
Boris Johnson
Sarà la Crimea la moneta di scambio che apre un negoziato di pace tra Russia e Ucraina? A sollevare pubblicamente l’interrogativo sono un articolo di Boris Johnson sul Wall Street Journal e uno di Henry Kissinger sullo Spectator , settimanale filo-conservatore inglese. L’ex-premier britannico scrive che se le truppe russe si ritirassero fino al territorio ucraino che occupavano prima del 24 febbraio scorso, questa potrebbe essere una base per riaprire le trattative fra Kiev e Mosca. Johnson lascia intendere che l’Ucraina non porrebbe la liberazione della Crimea e di una parte del Donbass, occupati dalla Russiafin dalla precedente invasione del 2014, come precondizione per l’inizio di colloqui di pace. L’ex-segretario di Stato americano avanza una proposta simile, affermando che la Russia dovrebbe ritirarsi soltanto dai territori ucraini conquistati dal febbraio di quest’anno. Le terre occupate quasi un decennio fa, inclusa la Crimea, «potrebbero essere oggetto di un negoziato dopo il cessate il fuoco», afferma il veterano della diplomazia Usa, aggiungendo che, se il negoziato non riuscisse a risolvere la questione, si potrebbero indire «referendum con supervisione internazionale » sull’autodeterminazione dei popoli di quei territori. L’intervento di Johnson è particolarmente degno di nota, perchél’ex-primo ministro britannico era il leader occidentale più vicino a Volodymyr Zelensky. Ciò non vuol dire che il suo articolo sia concordato con il presidente ucraino, ma insieme alle parole di Kissinger è un segnale che qualcosa potrebbe muoversi dietro le quinte. Movimenti si registrano anche fra Vaticano e Russia: Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, riferisce di avere ricevuto le scuse della Santa Sede per le frasi con cui papa Francesco avevaattribuito alle truppe di ceceni e buriati le “maggiori crudeltà” in Ucraina. Incidente chiuso, indica Mosca. Il portavoce vaticano conferma che ci sono stati «contatti diplomatici in tal senso». Nel dibattito sulla Crimea, Zelensky ha più volte dichiarato che la guerra può finire soltanto quanto «tutta l’Ucraina» verrà liberata. È una posizione legittima, inevitabile mentre si combatte. Ma se Vladimir Putin fosse seriamente deciso a trattare, l’Ucraina potrebbe convincersi a non porre il ritiro da Crimea e Donbass come precondizione. Considerare la Crimea come moneta di scambio per portare Putin al tavolo del negoziato, del resto, è il classico “elefante nella stanza”: ciò che negli ambienti diplomatici occidentali tutti vedono, ma che nessuno può dire apertamente. In una trattativa si arriva per forza a concessioni reciproche. In questo scenario l’Ucraina perderebbe la Crimea e parte del Donbass, ma resterebbe indipendente, democratica, candidata a entrare nella Ue, assistita dalla Nato; la Russia perderebbe molto di più, vanificando tutti gli obiettivi dell’invasione lanciata nel febbraio scorso. Il problema è che convincere Putin a ritirarsi ai confini del 2014 sarebbe più difficile che convincere Zelensky a rinunciare a Crimea e Donbass. Il negoziato potrà iniziare solo quando il capo del Cremlino capirà che con la guerra non ottiene niente e che proseguendola rischia di perdere il potere.
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