Intervento in Iraq: un obbligo morale Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, spiega perchè sostiene la politica interventista di Bush
Testata: La Stampa Data: 24 marzo 2003 Pagina: 1 Autore: Elie Wiesel Titolo: «Non marcerò con i pacifisti»
Riportiamo un articolo di Elie Wiesel pubblicato su La Stampa lunedì 24 marzo 2003. IN circostanze normali avrei potuto unirmi a quei manifestanti per la pace che, negli Usa e altrove, sono scesi in piazza contro un’invasione dell’Iraq. Dopo tutto, ho vissuto abbastanza la brutalità, l’orrore della guerra per oppormi ad essa anima e corpo. Non è forse la guerra sempre crudele, la forma estrema di violenza?
Inevitabilmente non solo causa la morte di innocenti ma è anche portatrice di afflizioni e dolore senza fine. Come si può non ripudiare la scelta della guerra? Eppure in questo caso io sostengo la politica interventista del presidente Bush rivolta ad estirpare il terrorismo internazionale, che, come ritengono la maggior parte delle nazioni civilizzate, è la più grande minaccia che affrontiamo oggi. Bush ha posto la guerra in Iraq in questo contesto. Saddam Hussein è il capo spietato di uno Stato canaglia che va disarmato con ogni mezzo si reputi necessario. Se falliamo, ci esporremo a conseguenze spaventose. In altre parole: sebbene io mi opponga alla guerra, sono a favore di un intervento quando non restino alternative, come in questo caso.
Il recente passato mostra che solo con l’intervento militare si sono fermati gli spargimenti di sangue nei Balcani ed è stato abbattuto il regime dei taleban in Afghanistan. Inoltre, se la comunità internazionale fosse intervenuta in Ruanda, le vite di 800 mila uomini, donne e bambini sarebbero state risparmiate. Se le grandi potenze europee si fossero opposte alle intenzioni offensive di Adolf Hitler, invece di avallarle nel 1938 a Monaco, l’umanità si sarebbe risparmiata gli orrori senza precedenti della seconda guerra mondiale. Tutto ciò vale anche per il caso iracheno? Sì. Hussein deve essere fermato e disarmato. In certi ambienti politici si odono ancora richieste di dimostrare che Hussein è in possesso di armi proibite. Evidentemente alcuni governi europei non credono al segretario di Stato Usa Colin Powell quando afferma che Hussein è ancora in possesso di queste armi. Ma io gli credo e qui spiego il perché: Powell è un grande soldato e un uomo che non ama la guerra. Nel 1991 fu la sua linea del non ingresso a Baghdad che prevalse su quella del presidente Bush di allora. E' stato lui a consigliare all’attuale presidente di non aggirare le Nazioni Unite. Se dice che ha le prove del criminale mancato rispetto delle risoluzioni Onu da parte di Hussein, gli credo. Credo che un uomo della sua levatura non metterebbe a repentaglio il suo nome, la sua carriera, il suo prestigio, il suo passato e il suo onore. Sappiamo da lungo tempo che il despota dell’Iraq è un assassino di massa. A fine Anni 80 ordinò di uccidere con i gas decine di migliaia di suoi cittadini. Nel 1990 ha invaso il Kuwait. Dopo la sua sconfitta ha dato fuoco ai pozzi petroliferi provocando il maggior disastro ambientale della storia. Ha anche lanciato missili Scud contro Israele, paese che non prendeva parte alla guerra. Avrebbe dovuto essere indiziato per crimini contro l’umanità. Il serbo Slobodan Milosevic è stato arrestato e condotto in tribunale per molto meno. Da allegare al fascicolo delle prove contro Saddam Hussein ci sarebbe sicuramente l’intervista concessa al giornalista della Cbs Dan Rather. Ascoltandolo affermare che nel 1991 l’Iraq non fu sconfitto, viene da dubitare della sua salute mentale. Sembra che viva in un mondo di fantasia e di allucinazione.
La spaventosa questione di cosa possa fare un uomo di questo tipo con un arsenale di armi non convenzionali è la ragione per la quale, oggi più che mai, alcuni di noi appoggiano l’intervento. Da questo discorso consegue l’obbligo morale di intervenire laddove regni il Male. Oggi quel luogo è l’Iraq.
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