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La Repubblica Rassegna Stampa
08.12.2022 La sorella di Khamenei denuncia il regime iraniano
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 08 dicembre 2022
Pagina: 15
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «La faida dei Khamenei, la sorella dell’ayatollah denuncia il regime»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/12/2022, a pag. 15, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "La faida dei Khamenei, la sorella dell’ayatollah denuncia il regime".

Festival Internazionale del Giornalismo
Daniele Raineri

La hermana del ayatollah Ali Khamenei pidió que el régimen iraní sea  derrocado: “El levantamiento es legítimo y necesario” - Infobae
Badri Hosseini Khamenei - Ali Khamenei


Una sorella del leader supremo iraniano Ali Khamenei ieri ha pubblicato una lettera aperta contro il regime, mentre il paese è agitato da quasi tre mesi da grandi proteste e da rivolte locali cominciate dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amini nelle mani della polizia morale. Scrive Badri Hosseini Khamenei, che vive in Iran: «Penso sia il momento appropriato per dichiarare che mi oppongo alle azioni di mio fratello ed esprimo la mia vicinanza a tutte le madri che piangono per i crimini commessi dal regime della Repubblica islamica ». Il testo è stato pubblicato ieri pomeriggio da suo figlio Mahmoud, che vive in Francia, ed è datato “dicembre 2022”. «Le Guardie della Rivoluzione islamica di Ali Khamenei e i mercenari dovrebbero deporre le armi il prima possibile, prima che sia troppo tardi – continua la lettera –. Il mio dovere di essere umano mi ha fatto portare molte volte la voce del popolo alle orecchie di mio fratello Ali Khamenei, decenni fa. Tuttavia, dopo aver visto che non ascolta e continua come Khomeini a sopprimere e uccidere gente innocente, ho tagliato i miei rapporti con lui». Martedì le Guardie della rivoluzione con un comunicato ufficiale avevano chiesto ai giudici iraniani di «non mostrare misericordia verso i rivoltosi, criminali e terroristi». La lettera non è una sorpresa. Badri si oppone al regime fin dagli anni Ottanta, come del resto faceva anche suo marito Ali Tehrani, che prima sostenne Khomeini e poi si pentì, passò vent’anni da esule all’estero, fu arrestato quando tornò in Iran ed è morto lo scorso ottobre a novantasei anni. C’è molto dissenso nella famiglia della Guida Suprema: il cugino di Khamenei fu uno dei leader della grande protesta del 2009, e la nipote è un’attivista contro la pena di morte che chiede pubblicamente ai governi stranieri di tagliare le relazioni con l’Iran. È la fotografia di un paese dove molti sono ancora attaccati al regime, altri si oppongono con forza e questa divisione attraversa famiglie e luoghi di lavoro. Il fatto nuovo di questi mesi è che la separazione diventa sempre più profonda. Da una settimana il regime iraniano ha cominciato una riflessione ufficiale sull’obbligo del velo per le donne, in vigore fin dall’inizio del potere khomeinista nel 1979. Uno degli organismi che si dovrà esprimere è la Commissione culturale del Parlamento e due giorni fa uno dei membri, Hossein Jalali, ha detto che una misura futura potrebbe essere il blocco del conto in banca di una donna se sarà sorpresa tre volte senza velo e che ci potrebbe essere un avvertimento con un messaggio sul telefono. In pratica la polizia morale sparisce - nel senso che non si dovrebbero vedere più agenti in giro per le strade che maltrattano chi non rispetta i codici di abbigliamento - ma ci saranno nuove punizioni. Jalali nota come tutti che in questi giorni di proteste molte donne a Teheran, soprattutto nei quartieri nord, non portano più il velo in pubblico e dice che si tratta di una situazione eccezionale che «finirà non appena finiranno i disordini». Una squadra di giudici iraniani incaricata di esaminare la legge che impone il velo e che ha già incontrato la Commissione culturale una settimana fa ha detto che si pronuncerà «fra una settimana o due» – ma entrambi, giudici e Commissione, sono controllati dai conservatori. Come il congelamento prima e la chiusura poi della polizia morale, anche questo processo di revisione fa parte delle misure del regime per placare e gestire in qualche modo le proteste. Per ora, come testimoniano il perdurare delle proteste e lo sciopero nazionale giunto ieri al terzo giorno, il tentativo di farle afflosciare non ha funzionato.

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