L'appropriazione culturale e gli ebrei Analisi di Caroline Glick
Testata: Informazione Corretta Data: 08 dicembre 2022 Pagina: 1 Autore: Caroline Glick Titolo: «L'appropriazione culturale e gli ebrei»
L'appropriazione culturale e gli ebrei Analisi di Caroline Glick
(Traduzione di Maria Sole Croce)
Caroline Glick
L’appropriazione culturale e gli ebrei. Il reporter di un’emittente televisiva egiziana che seguiva i Mondiali di Calcio a Doha, in Qatar, è stato aggredito da una folla inferocita e costretto a scappare per non essere linciato. Si erano scagliati contro di lui perché lo avevano scambiato per un giornalista israeliano. Pare che l’incidente abbia provocato l’imbarazzo delle autorità qatariote, ma non per il violento antisemitismo della folla, bensì perché gli agenti locali non avevano creduto al povero egiziano quando affermava di essere uno dei loro e non erano intervenuti mentre la masnada gli somministrava il “trattamento israeliano”. Dal momento in cui hanno messo piede a Doha per documentare i Mondiali di Calcio, i reporter israeliani sono stati inondati dal livore e dal disprezzo. Tifosi urlanti “Palestina” impedivano loro di trasmettere le dirette, venivano insultati, minacciati e braccati mentre camminavano per strada. Venivano assaliti e buttati fuori dai taxi, i ristoranti si rifiutavano di servirli. I principali aggressori sono arabi di nazionalità qatariota, egiziana, libanese, giordana, marocchina, saudita, degli Emirati Arabi Uniti e di altri paesi, ma i tifosi europei si sono mostrati altrettanto ostili. Ogni volta che i giornalisti israeliani si qualificano come tali, i loro interlocutori partono con le invettive: “Palestina, Palestina, Israele non esiste! Solo la Palestina!”. Le bandiere palestinesi sembrano le più popolari in questo torneo. In un post pubblicato sul suo profilo Twitter, il reporter di Yediot Ahronot Raz Shechnik ha descritto il trattamento subito da lui e dai suoi colleghi nel corso del weekend e come questo abbia cambiato la sua prospettiva sulla natura del conflitto del mondo arabo con Israele. Così scrive Shechnik: “Qui, per la prima volta, ho aperto gli occhi. Sono sempre stato liberale e di centro, con una mentalità aperta e un grande desiderio di pace sopra ogni altra cosa. Ho sempre creduto che il problema [fra gli arabi e gli ebrei] fossero i governi, i leader – inclusi i nostri. Ma solo in Qatar ho capito quanto sia diffuso l’odio [arabo] fra la gente per strada, quanto desiderino cancellarci dalla faccia della terra. Fino a che punto tutto ciò che è legato a Israele scateni aspro rancore”. La testimonianza di Shechnik, insieme ai video delle vessazioni subite da lui e dai suoi colleghi, evidenziano una relazione tra il sostegno ai palestinesi da un lato e le intimidazioni e violenze di massa contro gli ebrei dall’altro. Perché chi attacca gli ebrei usa la “Palestina” per giustificare il proprio comportamento? E perché chi sostiene la “Palestina” ritiene giustificata la violenza contro gli ebrei? La ragione, benché difficile da accettare, è nonostante tutto ovvia. Le violenze di massa contro gli ebrei sono connesse con le posizioni filopalestinesi perché sono tutte manifestazioni della stessa cosa: l’antisemitismo. Questo è il motivo per cui gli attivisti filopalestinesi, da Parigi a New York, da Londra a Los Angeles, aggrediscono gli ebrei. Questo è il motivo per cui i politici e i magistrati che sostengono i palestinesi tendono ad evitare di perseguire queste aggressioni e per cui gli organi d’informazione schierati con la causa palestinese tendono a sminuirne la portata. Il fulcro della narrazione palestinese è essenzialmente l’appropriazione dell’identità nazionale, della cultura, della storia, del retaggio e della fede ebraici. Fra i progressisti, una persona è ritenuta colpevole di appropriazione culturale se svaluta oppure ignora le radici culturali di un fenomeno. Per esempio, chi parla di un piatto etnico senza citarne le origini, verrebbe considerato fazioso. L’appropriazione culturale messa in atto dai palestinesi nei confronti dell’ebraismo e del senso di appartenenza del popolo ebraico, porta l’appropriazione culturale a un livello completamente diverso. Negli ultimi 3.500 anni, l’eredità, la fede, identità nazionale e la storia ebraiche – nella loro totalità – sono state cementate dalla connessione del popolo ebraico con la Terra d’Israele. Semplicemente, gli ebrei non possono concepire e nemmeno comprendere se stessi senza la Terra d’Israele. Basta scavare per pochi centimetri in ogni angolo della Terra d’Israele per trovare testimonianze archeologiche dei legami millenari degli ebrei con quella terra. Basta andare in qualsiasi sinagoga o scuola ebraica del mondo per trovare testimonianze di questa basilare realtà. La narrazione nazionale palestinese si fonda sia sulla negazione generalizzata della storia, l’eredità, l’identità e la fede ebraiche, sia sull’appropriazione di questo intero patrimonio da parte dei palestinesi. Il capo dell’OLP e leader dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas continua a sostenere che i palestinesi sono i Cananei della Bibbia. Il suo predecessore Yasser Arafat diceva che i palestinesi sono i Gebusei. Poco importa che questi due gruppi non esistano più da 3.000 anni. Contemporaneamente, però, contestano che ci siano legami tra gli ebrei della Bibbia e gli ebrei attuali. I palestinesi distruggono sistematicamente i siti archeologici di tutto il territorio d’Israele per cancellare le testimonianze del passato. In tal modo possono riscrivere la storia secondo le loro esigenze politiche e propagandistiche, creando una nuova storia, completamente inventata, dei palestinesi di oggi. È questa la ragione per cui i palestinesi rifiutano categoricamente di accettare il diritto di Israele a esistere. La loro storia fittizia sarebbe indifendibile se riconoscessero che gli ebrei sono autoctoni di quel territorio, che Israele non è un avamposto coloniale ma l’unica patria che gli ebrei abbiano mai conosciuto, alla quale sono rimasti tenacemente legati per oltre 2.000 anni di esilio e una lunga storia di spoliazioni da parte di potenze imperiali. La causa palestinese ha senso solo se si nega la storia, l’identità nazionale, il retaggio e la fede degli ebrei, che vengono demonizzati perché rifiutano di accettare la loro cancellazione. Questa totale appropriazione culturale dell'esistenza ebraica da parte dei palestinesi è l’atto supremo dell’odio per gli ebrei. E chi sostiene i palestinesi, sostiene la cancellazione dell’esistenza ebraica dalla storia. Ormai la narrazione palestinese si è talmente radicata nella vita culturale delle élite e dei progressisti occidentali, che spesso è difficile riconoscere l'odio annichilazionista per gli ebrei che ne è alla base. Per chiarire questo aspetto, si può ricorrere a un'altra forma di antisemitismo fondata sull'appropriazione culturale dell'esistenza ebraica. L'odio antiebraico degli Israeliti Neri, della Nation of Islam e dei loro sostenitori si basa, anch’esso, sul furto dell'identità ebraica. La Nation of Islam e gli Israeliti Neri sostengono che gli ebrei sono “figli di Satana” e che gli unici veri ebrei sono i neri americani. La scorsa settimana, oltre un migliaio di Israeliti Neri in uniforme hanno marciato per le strade di Brooklyn dalla Grand Army Plaza al Nets Stadium cantando “Ehi Giacobbe, è ora di svegliarti. Ho una buona notizia per te. Noi siamo i Veri Ebrei!”. Questa marcia, con la sua moltitudine di manifestanti carichi di odio per gli ebrei, ha attraversato la più grande comunità ebraica al di fuori d’Israele. Gli Israeliti Neri marciavano a sostegno della star dei Brooklyn Nets, Kyrie Irving, sospeso dall'NBA per aver fatto propaganda antisemita basata sull’ideologia degli Israeliti Neri, segnalando anche un film antisemita che, fra le altre cose, negava l’Olocausto. La tempesta scatenatasi tra gli antisemiti neri in risposta alla sospensione di Irving fa capire quanto l'antisemitismo sia centrale non solo nella narrazione degli Israeliti Neri, ma anche nella vita di quanti si identificano come Israeliti Neri o danno credito alla loro falsificazione della storia nera d’America. Questa massa di persone manifestava il proprio sostegno non solo a Irving e al suo mondo antisemita, ma anche al rapper Kanye West. Un tempo considerato coraggioso per la sua pubblica condanna dell’aborto e il suo appoggio all’allora presidente Donald Trump, nelle ultime settimane ha sostituito il suo conservatorismo con l'antisemitismo basato sul furto da parte della Nation of Islam e degli Israeliti Neri dell'eredità, della storia e della fede ebraiche e sull'attribuzione di tali eredità, storia e fede ai neri americani. L'aspetto più notevole del comportamento di West è che, mentre Irving si è scusato per il suo sfogo antisemita, West lo ha moltiplicato. In ogni apparizione pubblica da quando ha apertamente difeso l'antisemitismo di Irving, West ha non solo ribadito, ma ulteriormente ampliato le sue posizioni antisemite, e ha intensificato i suoi attacchi agli ebrei come popolo, come comunità in America e come individui. Definendosi prima di tutto come antisemita e poi come rapper e personaggio pubblico, West ha scelto di associarsi più strettamente ad altri antisemiti, in particolare al suprematista bianco Nick Fuentes. La decisione di West di fare da ponte tra l'antisemitismo nero, generalmente associato al campo politico progressista, e l'antisemitismo suprematista bianco, generalmente associato all'estrema destra, mette in luce un aspetto assai ignorato ma fondamentale dell'antisemitismo: non è una posizione politica ma una visione culturale, un modo di intendere il mondo. Gli antisemiti provengono sia dalla sinistra politica che dal centro e dalla destra. Appartengono a tutte le religioni. È il loro antisemitismo ad orientare la loro politica. Di conseguenza, le politiche antisemite hanno sostenitori in tutti gli schieramenti. Questo ci riporta ai reporter israeliani a Doha. Gli Israeliti Neri e la Nation of Islam, che costruiscono la propria identità appropriandosi di quella ebraica, rappresentano una piccola ma potente minoranza della comunità nera americana. Hanno un impatto sul Congressional Black Caucus e su altri centri di potere neri, che a loro volta hanno un impatto sul Partito Democratico. Il loro potere culturale e politico sta crescendo, ma resta ancora limitato. Al contrario, l'adesione alla narrazione palestinese è pressoché universale in tutto il mondo arabo, in tutto il mondo musulmano e in ampie fasce del mondo occidentale. È quasi universalmente accettata in Europa e dai progressisti in America. Tutti coloro che accettano e sostengono la narrazione palestinese accettano la validità di una causa politica che si basa interamente sull'appropriazione dei fondamenti dell’identità ebraica. Shechnik e i suoi colleghi giornalisti sono rimasti sbalorditi nello scoprire la verità sulla guerra contro di loro in quanto ebrei e contro il loro Stato. L'antisemitismo che anima i loro antagonisti a Doha non ha nulla a che vedere con chi guida il governo di Israele o con ciò che l'esercito israeliano fa in una determinata guerra o operazione. Il sostegno ai palestinesi, e al loro obiettivo di cancellare Israele dalla carta geografica, è radicato nell'odio per gli ebrei, condiviso da miliardi di persone in tutto il mondo. I palestinesi sono popolari perché forniscono uno strumento per esprimere e promuovere questo odio, anche nelle stanze del potere di tutto il mondo. La resistenza di Israele è inaccettabile, perché semplicemente sopravvivendo, semplicemente avendo giornalisti da inviare a Doha per seguire i Mondiali di Calcio, lo Stato ebraico dimostra che la narrazione palestinese è falsa e basata sul rifiuto della realtà osservabile e della documentazione storica, non sulla giustizia o sulla verità. Analogamente, gli ebrei americani sono stupiti nello scoprire che l'antisemitismo nero, come le aggressioni di matrice palestinese contro gli ebrei da Peoria a Miami, non ha nulla a che fare con chi è al potere in Israele o con il fatto che gli ebrei americani si identifichino con politici e cause progressiste oppure conservatrici. Non ha nulla a che fare con la disponibilità o meno degli ebrei americani ad accettare la “colpa bianca”. Irving, West, gli Israeliti Neri, la Nation of Islam e i loro simili non odiano gli ebrei a causa di qualsiasi cosa un particolare ebreo possa o meno pensare, dire o fare. Odiano gli ebrei perché ne hanno rubato la storia, il patrimonio, l’identità nazionale e la cultura e se ne sono appropriati. Dopo averlo fatto, non hanno altra scelta che demonizzare gli ebrei, perché la resistenza e la legittimità ebraica smascherano la frode alla base della loro identità inventata.