Lo sapevate? E’ successo a Jenin
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
Jenin
Capoluogo del governatorato omonimo dell’Autorità palestinese, Jenin è continuamente al centro della cronaca. E’ che lì si trova il campo profughi, roccaforte del movimento terroristico “Brigate dei martiri di Al Aksa”, da dove partono dei cruenti attentati all’interno di Israele, ed è spesso oggetto di battaglie campali con le forze di sicurezza di Israele. Eppure con i suoi quasi 50.000 abitanti la città è anche un importante centro commerciale, molto frequentato dagli arabi israeliani dato che lì tutto è meno caro che in Israele. E così due giovani drusi di Daliat el Carmel, grande sobborgo del Nord di Israele, situato ad una trentina di km, avevano deciso di recarvisi per far riparare la loro auto. E’ necessario sottolineare che i Drusi sono degli arabi. Poco dopo il posto di controllo israeliano all’ingresso nei Territori palestinesi, i due giovani drusi sono rimasti vittime di un grave incidente. Uno ha potuto essere trasferito in un ospedale israeliano, ma l’altro, Titan Fero, in condizioni troppo gravi per essere trasportato, è stato ricoverato in ospedale a Jenin, e ben presto raggiunto da suo padre. Insomma, un semplice caso di cronaca che non meriterebbe alcun interesse presso le agenzie di stampa estera. Ma improvvisamente, è arrivata urlando nei corridoi dell’ospedale una banda di individui mascherati e provvisti di armi d’assalto. Secondo il racconto del padre e dello zio, rimasti testimoni impotenti sulla scena, i terroristi hanno staccato il moribondo dalle apparecchiature sanitarie e portato via il corpo. A quanto pare si tratta di coraggiosi per non dire eroici militanti del movimento terroristico Jihad Islamica venuti a infliggere un ennesimo duro colpo al nemico sionista sottraendo il corpo di Tiran che loro contano di contrattare per ottenere delle concessioni. Si tratta di un arabo come loro? Nessun problema.
In Israele ci si preoccupa ma le agenzie di stampa estere non trasmettono l’informazione.
Il governo israeliano esige dall’Autorità palestinese che si dia immediatamente da fare affinché il corpo sia restituito alla sua famiglia. Il fatto è che ci sono stati già dei precedenti. Dal 2014 il movimento Hamas di Gaza trattiene i resti di due ufficiali israeliani e pretende condizioni esorbitanti per la loro restituzione. Malgrado gli interventi discreti delle Nazioni Unite e quelli più sostenuti degli Stati uniti, il governo di Ramallah tergiversa, poco ansioso di affrontare i jihadisti. Il tempo stringe. La famiglia di Titan si spazientisce. Essa sente il sostegno di tutta la comunità drusa, che si mobilita e parla di rappresaglie. I suoi capi fanno sapere che centinaia di suoi uomini sono pronti a marciare verso Jenin con le armi in pugno. Nel contempo, tre operai palestinesi vengono rapiti da degli attivisti drusi che minacciano di ucciderli; terrorizzati, lanciano appelli disperati diffusi dai network arabi. E’ urgente farla finita. L’esercito israeliano fa allora sapere che sta preparando un’azione su vasta scala a Jenin. Tutto questo alla fine non sarà necessario. I coraggiosi jihadisti rivelano all’Autorità palestinese il luogo in cui hanno nascosto il loro “bottino di guerra”. Sul luogo arriva un’ambulanza, accompagnata da una forte scorta: e se un altro movimento terroristico cercasse di fare propria l’operazione? Ciò non accade e l’ambulanza arriva senza incontrare ostacoli in territorio israeliano dove l’attendono i membri della famiglia di Titan. L’incidente è chiuso. La stampa straniera non ne parlerà.