Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/12/2022, a pag.3, con il titolo "Malley: 'Contro il regime un movimento coraggioso. Gli Usa sostengono i diritti' " l'intervista di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso
Robert Malley
Robert Malley è l’uomo che per due anni ha gestito il dossier più complesso, e strategico, per l’amministrazione Biden in Medio Oriente: riportare sotto il controllo internazionale il programma nucleare iraniano. I negoziati indiretti sono finiti su un binario morto, mentre la guerra in Ucraina e la nascita di un movimento pro-democrazia in Iran hanno cambiato le priorità Usa. «Ora siamo concentrati su altro: scoraggiare e interrompere la fornitura di armi iraniane alla Russia e sostenere i diritti fondamentali degli iraniani sanzionando i responsabili della repressione», dice l’inviato speciale Usa per l’Iran arrivato a Roma per partecipare ai Med Dialogues.
Donne e giovani guidano un movimento di protesta inedito nella storia recente dell’Iran. È una rivolta o qualcosa di più profondo? «È un movimento persistente, coraggioso e creativo. Ma non spetta a noi definirlo o dire quali siano le richieste dei manifestanti. Il nostro ruolo è sostenere i diritti e le libertà fondamentali degli iraniani, aiutarli sanzionando chi è responsabile della repressione, come abbiamo fatto, alleggerire le sanzioni tecnologiche in modo che possano rimanere connessi con il mondo esterno».
Le proteste sono una minaccia esistenziale per la Repubblica islamica, possono portare a un cambio di regime? «Non faccio previsioni. Il manuale tipico del regime è dire che quello che sta succedendo nel Paese è dovuto a interferenze esterne. Ma non c’è niente che gli Stati Uniti o altri Paesi possono fare per ispirare le proteste e la rabbia degli iraniani: stanno scrivendo la loro storia. Piuttosto che sparare alle persone che chiedono diritti di base, il regime ascolti la sua gente».
Si è aperta una discussione all’interno dell’establishment di Teheran sul velo e sulla polizia morale: la Repubblica islamica è riformabile? «Abbiamo ragioni per essere scettici sulla capacità del regime di cambiare ma continueremo a stare dalla parte dei diritti fondamentali».
Come? «Sanzionando anche i livelli bassi della catena della repressione, lavorando per far espellere l’Iran dalla commissione Onu sullo status delle donne, come abbiamo spinto perché l’Onu approvasse la commissione di inchiesta sulle violazioni dei diritti umani. Rispetto al passato anche la posizione dell’Europa è cambiata, c’è completa unità con gli Stati Uniti sulle sanzioni contro chi reprime le proteste e questo è un messaggio molto forte al regime».
La cooperazione militare con la Russia è al centro dell’agenda americana sull’Iran, dice. Teheran continua a negare di aver fornito droni a Mosca per usarli in Ucraina. Come stanno le cose? «Hanno cambiato versione diverse volte ma è incontrovertibile ed esistono le prove: l’Iran ha fornito droni che vengono usati dai russi per colpire civili e infrastrutture civili in Ucraina. E sappiamo che ci sono iraniani che addestrano i russi a usare i loro droni».
Istruttori dei pasdaran in Crimea? «Sì. E questo è un fatto straordinario. L’Iran è l’unico Paese insieme a pochi altri a sostenere materialmente la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina dopo aver ripetutamente denunciato di essere stato vittima di una violazione della propria sovranità nella guerra con l’Iraq. Aiutare l’aggressore in una guerra di violazione della sovranità va contro tutto quello che il regime iraniano ha sempre sostenuto. L’Iran ha fatto una scelta gravida di conseguenze».
Teheran sta fornendo anche missili a Mosca? «Abbiamo report che ci dicono che stanno considerando l’ipotesi di trasferire missili ai russi e di costruire di una linea di produzione dei droni in Russia. Queste mosse porterebbero il loro sostegno alla Russia a un livello ancora più pericoloso: siamo determinati ad agire in ogni modo per evitare che avvenga sanzionando qualsiasi entità coinvolta, anche in maniera tangente, nel trasferimento di armi».
Iran e Russia sono tra i Paesi più sanzionati al mondo eppure riescono a bypassare le sanzioni. Hanno l’aiuto di Paesi terzi? «Sappiamo che ci sono entità di Paesi terzi che aiutano i trasferimenti di armi e le abbiamosanzionate».
Gli Stati Uniti vogliono il Jcpoa, l’accordo nucleare con l’Iran? «Crediamo che la diplomazia sia sempre la strada migliore per risolvere il problema del programma nucleare iraniano. Il Jcpoa stava funzionando, lo conferma la stessa Aiea. Trump nel 2018 ha preso una decisione spericolata uscendo dall’accordo. Noi abbiamo provato per quasi due anni a riportarlo in vita. Ma Teheran è arrivata con richieste che non avevano nulla a che fare con il Jcpoa e non erano ragionevoli, dimostrando di non volere davvero una soluzione. Ad agosto hanno chiesto che venisse cancellata l’inchiesta dell’Aiea sulle tracce di uranio trovate in siti non dichiarati. Una richiesta insostenibile».
Dunque il Jcpoa è morto? «Noi siamo a favore di una soluzione diplomatica, ma l’Iran non ha dimostrato di voler tornare realmente all’accordo e nel frattempo sono intervenuti due fatti importanti: l’assistenza militare alla Russia e la repressione di proteste pacifiche. Sono queste le cose su cui siamo concentrati adesso. Sul nucleare la porta della diplomazia è aperta, ma se dovesse fallire abbiamo altre opzioni».
Compreso quella militare? «Non è quello che vogliamo, non è la nostra strada, non è quello che vuole Biden. Ma se tutte le altre falliscono, come ultima risorsa, c’è anche l’opzione militare. Il presidente è stato chiaro: non permetteremo all’Iran di acquisire un’arma nucleare e quando lo ha detto non bluffava».
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