Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/12/2022, a pag. 6, con il titolo "Mohamed Bazoum: 'Per gestire i migranti serve un nuovo accordo tra Europa e Africa' " l'intervista del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Mohamed Bazoum
Mohamed Bazoum è seduto su un vulcano. Nel Sahel infestato da gruppi jihadisti, mercenari russi e trafficanti diuomini il Niger è uno dei pochi partner con cui l’Europa può lavorare per promuovere stabilità e sviluppo. Se la Nato nel summit di Madrid ha identificato il Sahel in una delle principali aree di crisi del “Mediterraneo allargato” è per i motivi che il presidente nigerino, classe 1960, ci spiega di persona: i jihadisti proliferano nelle aree periferiche, i russi si fanno largo con sofisticate operazioni di influenza e i migranti vengono sfruttati da ogni sorta di traffici illeciti. Arrivato a Roma per la conferenza “Italia-Niger, Europa-Africa, due continenti un unico destino” della Fondazione Med-Or, Bazoum è grato all’Italia per l’invio della missione militare e guarda all’Europa in cerca di aiuti strategici, a cominciare da una nuova ricetta «per contenere in maniera legale il flusso di migranti attraverso il Mediterraneo».
Di che ricetta di tratta? «Serve un accordo assai diverso da quello siglato alla Valletta nel 2015, l’idea che possano bastare degli investimenti europei in Africa per portare allo sviluppo e bloccare i migranti nei Paesi di origine è irrealistica. Lo sviluppo dell’Africa è qualcosa di assai più complesso del tema dell’immigrazione».
E allora quale accordo può aiutare Africa ed Europa a contenere i migranti? «Un accordo basato sul numero di africani dei quali ogni Paese europeo ha bisogno per il suo mercato del lavoro. In Francia, Spagna e Italia avete molti posti in settori dell’occupazione dove gli africani possono lavorare. Bisogna stabilire questi numeri, Paese per Paese, e poi affidare ai consolati la responsabilità di farli rispettare. Così avremo un accordo fra Stati, africani ed europei, per regolare l’immigrazione regolare e non avremo più a che fare con quella irregolare che alimenta i peggiori traffici. In attesa che ciò avvenga il Niger fa rispettare in maniera severa gli accordi sul transito delle persone: chi non ha i documenti in regola viene rimandato nel Paese di origine».
Il Niger è al 189° posto su 191 nell’indice di sviluppo umano dell’Onu. Come combattete la povertà? «L’indice di sviluppo umano dell’Undp è calcolato sulla base di tre parametri: il reddito nazionale pro capite, l’aspettativa di vita e l’efficienza del sistema educativo. Tra questi il coefficiente assegnato al terzo parametro è di gran lunga il più alto ed è proprio quello in cui il Niger ha ottenuto un punteggio molto basso. Se vogliamo combattere la povertà, dobbiamo investire nel nostro sistema educativo per renderlo più efficiente, in modo da garantire una buona formazione ai giovani, per consentire loro di acquisire le competenze che daranno loro accesso a posti di lavoro e redditi dignitosi. Investire nell’istruzione, soprattutto per le ragazze, è il modo migliore per combattere l’altissimo tasso di natalità che è la causa principale della povertà nei Paesi del Sahel. L’Italia e l’Unione Europea potrebbero sostenerci aiutandoci, ad esempio, nell’attuazione del grande programma di riforma che stiamo portando avanti per migliorare il nostro sistema educativo».
Quali le prospettive della partnership con l’Italia? «La cooperazione con l’Italia è cresciuta negli ultimi anni. Vogliamo invitare le aziende italiane a guardare all’Africa in modo diverso, svincolandosi dalla visione classica secondo cui l’Africa è solo un luogo di conflitti e la terra d’origine dei migranti».
Il Niger è circondato da Paesi instabili. La pressione dei gruppi jihadisti aumenta in Mali e Burkina Faso. Chi sostiene i gruppi terroristici e come intendete combatterli? «I gruppi terroristici stanno conquistando territori sempre più vasti in prossimità dei nostri confini e questo ha un impatto negativo sulla sicurezza dei cittadini del nostro Paese che abitano in quelle aree. Questo ci costringe a dispiegare più truppe. Un tale impegno ci impone di assumere più personale all’interno delle forze di difesa e di sicurezza, di investire molto denaro nella loro formazione, nella loro assistenza e soprattutto nel loro equipaggiamento, che è molto costoso. In tempo di pace, questo denaro sarebbe stato speso per i settori sociali. Ovunque vi siano gruppi armati, essi creano un ambiente propizio per lo sviluppo di un’economia criminale da cui traggono sostegno. Nel Sahel, i gruppi terroristici sfruttano il traffico trans-sahariano della droga, il contrabbando di carburante e di cibo, il traffico di armi. Inoltre, questi gruppi terroristici sono, non dimentichiamolo, propaggini dello Stato islamico (Isis) e di Al-Qaeda e quindi ricevono finanziamenti da queste organizzazioni, presumibilmente dalle loro roccaforti in Libia».
Perché i gruppi jihadisti proliferano nel Sahel, quali sono le condizioni che li favoriscono? «I cambiamenti climatici hanno modificato l’economia pastorale nel Sahel. Il fatto che i giovani di alcune comunità pastorali abbiano una moto e un kalashnikov e possano mangiare meglio è vissuto come una vera e propria emancipazione sociale. Questo spiega il gran numero di reclutamenti all’interno di queste comunità. Anche le vittorie relativamente facili sugli eserciti statali contribuiscono ad accrescere il potere di attrazione sui giovani da parte dei gruppi terroristici. A queste motivazioni va aggiunto il fatto che questi giovani sono analfabeti e possono facilmente cedere alla promessa del paradiso dopo il martirio».
Quanto teme Boko Haram nella regione del Lago Ciad? «Boko Haram è molto indebolito, è diventato un gruppo più di tipo criminale, almeno in Niger. Questo vale anche per gli altri tre Paesi del bacino del Lago Ciad: Nigeria, Ciad e Camerun. La Forza congiunta multinazionale (Multinational Joint Task Force, Mjtf) compie sforzi di coordinamento su larga scala, più o meno ben organizzati a seconda della situazione, per combatterli».
Quali sono le conseguenze in Sahel della fine dell’operazione “Barkhane”, guidata dai francesi, in Mali? «Negli ultimi tempi, in Mali, si è verificata una recrudescenza dell’insicurezza nelle regioni di Gao e Menaka. In particolare nella regione di Menaka, dalla fine di marzo, la situazione è peggiorata e il gruppo terroristico Isgs (Stato islamico del Grande Sahara) ha commesso crimini su larga scala che hanno fatto migliaia di sfollati, molti dei quali si sono rifugiati in Niger. I terroristi hanno rubato migliaia e migliaia di capi di bestiame, lasciando così la popolazione in unasituazione umanitaria drammatica. E la violenza è lungi dal placarsi. Personalmente temo che la situazione che ho appena descritto non sia estranea al ritiro dell’operazione “Barkhane” dal nord-est del Mali».
Qual è l’impatto della presenza dei mercenari russi della Brigata Wagner in Mali e che lettura dà delle manifestazioni popolari filorusse in Mali e Burkina Faso? «Dietro questa “domanda” di Russia nei Paesi saheliani afflitti dalla violenza terroristica, che si traduce poi nella presenza di bandiere russe nelle manifestazioni di piazza, deve esserci un business di influenza. La Russia è un Paese assente in Niger: non c’è un’ambasciata, né un progetto, né una presenza culturale o mediatica. Tuttavia, ogni volta che c’è una manifestazione della società civile, si vede qualche bandiera russa sventolata da persone che spuntano dal nulla. È un’osservazione basata sui fatti, senza esprimere il minimo giudizio nei confronti della Russia, con la quale il Niger ha relazioni molto amichevoli».
In Niger c’è una presenza significativa di truppe europee, con l’Italia in prima linea: quali sono le sue prospettive? «I soldati europei presenti in Niger, ad eccezione di quelli francesi, sono qui in base ad accordi che mirano principalmente a fornire addestramento per le forze speciali di cui il nostro esercito ha grande bisogno nella lotta al terrorismo. Le forze italiane stanno facendo un lavoro eccellente che è molto apprezzato dal nostro esercito».
In Niger una grande percentuale di ragazze si sposa prima di raggiungere la maggiore età, e ciò ha un impatto significativo sul tasso di natalità: come invertire questa tendenza? «Il nostro piano si basa sulla modernizzazione del sistema educativo. Abbiamo un programma che consiste nella costruzione di collegi femminili annessi alle scuole di campagna, da cui le bambine sono tradizionalmente escluse in tenera età. L’obiettivo è creare un ambiente protetto che permetta loro di continuare a frequentare la scuola. Una ragazza che termina la scuola secondaria raggiunge i 18 anni ed è quindi protetta da una media di due gravidanze precoci, altrimenti le ragazzine sono spesso costrette a matrimoni molto precoci».
Cina, Turchia e Russia sono sempre più influenti in Africa. Avviene anche in Niger? «Cina e Turchia sono presenti con aziende che investono in Niger, a differenza delle aziende europee che ritengono che i nostri Paesi non offrano loro l’indispensabile contesto di sicurezza legale e di sicurezza in senso generale di cui hanno bisogno. In questo, gli europei si sbagliano completamente».
Alcuni esperti ritengono che il Sahel abbia un grande potenziale di energie rinnovabili. È d’accordo? «Sì, il Niger dispone di grandi quantità di acque sotterranee con un tasso di soleggiamento molto elevato. Ma questo non è sufficiente. Il sistema finanziario internazionale funziona in modo tale che non avremo mai accesso ai capitali necessari per gli investimenti nelle energie rinnovabili. Le attuali condizioni del credito sono un ostacolo importante per questi investimenti. È di conseguenza improbabile che vengano attuate le cosiddette misure di adattamento. Come si vede, la battaglia sul cambiamento climatico è tutt’altro che conclusa».