Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 29/11/2022, a pag.14, con il titolo "Il reduce di Tienanmen: 'Questo potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione' " l'intervista di Gianni Vernetti.
Gianni Vernetti
Wu’er Kaixi
Wu’er Kaixi è stato uno dei leader della protesta studentesca di Tienanmen ed uno dei volti più noti di quella stagione politica. Da più di 30 anni vive in esilio a Taiwan, dopo essere fuggito dalla violenta repressione che il 4 giugno del 1989 mise fine alla rivolta studentesca. Oggi è segretario generale della Commissione Diritti Umani del Parlamento di Taiwan e non ha mai smesso di occuparsi dei diritti violati nella Cina continentale. Lo raggiungiamo telefonicamente a Washington Dc dove si trova per partecipare ad una conferenza. Una nuova rivolta si sta diffondendo in tutta la Cina.
Ci può raccontare cosa stia succedendo alla Urumqi Road di Shanghai, a Guanghzhou ed alla Tsinghua University di Pechino? «Potrebbe anche essere l’inizio di una rivoluzione. Le proteste si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese e in pochi giorni potrebbero diventare un movimento in grado di innescare un reale cambiamento».
Come descriverebbe questa protesta nata contro le politiche del cosiddetto Zero-Covid e che sta diventando sempre più una critica a tutto campo al regime di Xi Jinping? «Da molti anni la Cina è diventata una specie di “pentola a pressione” all’interno della quale 1,3 miliardi di esseri umani sono stati costretti a vivere. Il Partito Comunista guida un regime totalitario che non conosce altri linguaggi al di fuori del controllo più ferreo sulla società. La politica Zero-Covid è dunque coerente con questo regime. Ma c’è anche di più: la consapevolezza del ritardo scientifico sui vaccini e sulla loro inefficacia».
Era prevedibile questa rivolta cosi diffusa? «Chi sta scendendo in piazza non sopporta più di essere considerato unsoggetto insignificante, senza diritti e rispetto. Per questo i morti del condomino di Urumqi hanno suscitato tanta indignazione. Il regime non tratta la popolazione come cittadini ma come oggetti di cui disporre a piacimento».
Per la prima volta siamo inondati di video e messaggi sulla rivolta. La grande muraglia informatica (“the great firewall”) si sta sgretolando? «Gli strumenti di controllo e sorveglianza sono sempre attivi e l’esercito di censori è all’opera. I giovani hanno però iniziato a usare nuove tecnologie (come il Vpn) per rompere la muraglia della censura e poi c’è un fatto di scala: la quantità di video, informazioni, post sui social è tale che sta travolgendo i tradizionali meccanismi di controllo».
La Cina ha sempre legato la propria stabilità interna alla crescita economica. Ora tre anni di Zero-Covid, il crescente confronto con l’Occidente, la guerra dei chip, stanno rallentando la locomotiva cinese. Qual è la sua opinione? «L’Europa e gli Usa hanno fatto la scelta giusta a reagire a una Cinasempre più aggressiva sul piano internazionale. Il progressivo “decoupling” ha prodotto una riduzione degli investimenti esteri e una crescente rilocalizzazione di molte attività manifatturiere verso paesi più affidabili. L’industria hi-tech cinese ha perso di competitività e leadership. Tutto ciò ha avuto un impatto molto maggiore sulla vita della Cina delle politiche Zero-Covid: se il regime non è più in grado di garantire la crescita economica, perché i cinesi dovrebbe continuare a stare in silenzio?».
Nel 1989 durante i fatti di Tienanmen una parte del Partito si schierò con gli studenti. Crede che oggi qualche voce del regime potrebbe rompere l’unanimismo intorno a Xi? «Xi Jinping con la forzatura del terzo mandato ha eliminato ogni forma di dissenso interno e costruito un regime di fedelissimi. Per raggiungere questo obiettivo si è creato un grande numero di nemici. Qualche voce di dissenso emergerà di sicuro».
I fogli bianchi di Shanghai sono gli stessi dei manifestanti contro la guerra a Mosca e i giovani in piazza a Pechino gridano slogan simili ai loro coetanei di Teheran. Crede che stia nascendo un movimento globale contro le dittature? «Credo di si. Le dittature hanno generato paura per decenni e il massacro di Tienanmen è solo uno degli esempi nella storia recente. Ma la paura non si trasmette da una generazione all’altra. La voglia di libertà è scritta nel Dna degli esseri umani. Dobbiamo mandare un messaggio chiaro a tutti i dittatori: “Noi non abbiamo paura di voi”. Siamo una comunità globale e interdipendente e abbiamo il diritto a interferire nei vostri cosiddetti “affari interni”, che hanno a che fare con i nostri valori fondamentali, con la nostra sicurezza, con la nostra economia».
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