Iran, il rapper più amato rischia la pena di morte Cronaca di Gabriella Colarusso
Testata: La Repubblica Data: 28 novembre 2022 Pagina: 19 Autore: Gabriella Colarusso Titolo: «Il rapper che contesta il regime iraniano rischia la pena di morte»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/11/2022, a pag.19, con il titolo "Il rapper che contesta il regime iraniano rischia la pena di morte", la cronaca di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso
Ali Khamenei - le proteste delle donne iraniane
La musica di Toomaj risuona nelle auto e sui telefonini, accompagna le discussioni nella notte di Teheran: “Il crimine di qualcuna è stata avere i capelli al vento, il crimine di qualcun altro è stato non tacere”. Questa musica potrebbe costare la vita a Toomaj Salehi, 32 anni, uno dei più amati rapper iraniani diventato voce e volto delle proteste divampate in tutto il Paese dopo la morte di Mahsa Amini il 16 settembre scorso. I suoi versi contro la corruzione, l’impunità, i soprusi delle forze dell’ordine e della magistratura hanno ispirato molti a scendere in strada, lui stesso si è fatto vedere in piazza accanto ai manifestanti chiamando alla «protesta pacifica, perché dobbiamo unire, non dividere». Il 30 ottobre è stato arrestato e ieri, dopo un lungo silenzio durante il quale la famiglia ha denunciato torture nei suoi confronti, la magistratura di Isfahan ha formalizzato le accuse: “corruzione sulla Terra”, reato che in Iran può essere punito con la pena di morte, per “aver cooperato con Stati ostili contro la Repubblica Islamica”, per “propaganda contro il sistema”, “formazione di gruppi illegali per minare la sicurezza” del Paese, “incoraggiamento a mettere in atto azioni violente”.
Toomaj Salehi
All’udienza non ha potuto presenziare l’avvocato scelto dalla famiglia. La prima volta che è stato in prigione Toomaj aveva pochi mesi: «Tra le braccia di mia madre, accusata di aiutare le famiglie dei prigionieri politici», ha raccontato, poi ancora nel 2021, poco dopo il rilascio di suo padre, anche lui dissidente, rinchiuso per otto anni in carcere a Teheran. Nella vita fa l’operaio, da musicista si è costruito un largo seguito - più di 800mila follower su Instagram, 300mila su Twitter, canali adesso gestiti da una persona di fiducia – e ha messo le sue piattaforme a disposizione del movimento. Avrebbe potuto riparare all’estero, come altri artisti finiti nel mirino delle autorità, ma ha scelto di restare in Iran: «Amici miei, se vengo arrestato, non sentitevi persi. Ho fatto il mio dovere, ho cantato per le strade. Tenete la testa alta e senza paura, avremo la nostra vittoria», scrisse nell’agosto 2021. La sua storia è per certi versi simile a quella di Hossein Ronaghi, un attivista per i diritti umani e blogger molto popolare in Iran, che dal 2009 ha passato 6 anni in prigione. Arrestato perché sosteneva le proteste, dopo 62 giorni di sciopero della fame è stato rilasciato ieri con un permesso medico. È arrivato in ospedale sulla sedia a rotelle. La famiglia aveva denunciato maltrattamenti nei suoi confronti accusando le forze di sicurezza di avergli rotto una gamba. In un video condiviso online, si vedono le infermiere accoglierlo con affetto: «Sii forte Hossein, Zan Zendeghi, Azadi » (“Donna, vita, libertà”) dice una voce fuori campo scandendo lo slogan del movimento pro-democrazia. In dieci settimane in Iran sono state arrestate più di 14mila persone, secondo l’Onu, 1.000 processi sono già stati avviati e ci sono già sei condanne a morte.
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