'Senza luce né acqua calda'. Il giorno di Anna nel buio di Kiev Cronaca di Paolo Brera
Testata: La Repubblica Data: 26 novembre 2022 Pagina: 17 Autore: Paolo Brera Titolo: «'Senza luce né acqua calda'. Il giorno di Anna nel buio di Kiev»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/11/2022, a pag. 17, con il titolo " 'Senza luce né acqua calda'. Il giorno di Anna nel buio di Kiev" l'analisi di Paolo Brera.
Il buio e le sirene. Anita trema, mamma Anna le dà la mano: «Vieni, piccola, stai tranquilla», e dritte in bagno con la coperta in testa, alla luce fioca della candela. Le notti di Kiev sono così, da quando Mosca stacca la corrente elettrica a suon di missili. E la giornata di Anna e dei suoi figli, come quella di tutta l’Ucraina, è diventata una gara di resistenza. «Il riscaldamento comunale centralizzato c’è, ma la temperatura è molto bassa», spiega Anna Khamitova, 40 anni, docente di sostegno. «Noi dormiamo vestite — racconta — io in tuta e Anita in pantaloni e maglione perché una volta hanno bombardato molto vicino e c’è voluto troppo tempo per fuggire. Ma fa comunque freddo, anche quando andiamo in bagno a rifugiarci per l’allarme aereo: ci nascondiamo completamente sotto la coperta per evitare le schegge delle piastrelle e dei calcinacci, se ci colpissero». «La sveglia — dice — non mi serve più. Ora mi sveglio da sola con l’ansia, poco dopo le sei. Resto a letto fino alle 6,30, poi se non c’è acqua prendo la bottiglia da 1,5 litri che mi deve bastare per lavarmi tutto il giorno. Non faccio prima colazione, troppo complicato, ma preparo una pappa per la bimba, grazie a Dio il gas c’è. Ruslan, l’altro mio figlio, è un ragazzone alto 1,95, non ha molte pretese: se trova un avanzo mangia quello. Poi sulla strada prendo il caffè a un chiosco». Stanotte Anna e Anita dormiranno fuori Kiev, nella casa in cui vive papà Timur: 50anni, «esperto cinofilo, fa il guardiano e l’addestratore dei cani di una famiglia che ha lasciato l’Ucraina. Lì c’è il generatore », dice Anna, ma è una soluzione solo il fine settimana, quando non deve andare a scuola. Per tre giorni Anna, Ania e Ruslan — che ha 19 anni e studia scienze motorie all’Università — sono rimasti a Kiev senza un minuto di corrente elettrica in casa.
«Ho imparato una lezione», dice. Andarsene? «Ma no, organizzarmi meglio. Power bank più potenti, e molta più acqua. Ne avevo una dozzina di litri, troppo poca». Senza corrente per le pompe, anche l’acqua sparisce: «Ce la siamo cavata con pioggia e nevischio, l’ho fatto sciogliere in un secchio per il bagno. E poi piatti di carta, tovaglioli per pulire a secco; acqua della pasta o delle patate riciclate più volte». Anche mangiare è complicato. Senza corrente, il freezer si scongela: «Il balcone non è abbastanza freddo. Per i latticini va bene, ma i ravioli sono diventati una palla mezza scongelata, li ho dati al cane. Da tempo ci toglievano la corrente in modo programmato, era sopportabile. Hanno iniziato con tre ore al giorno, poi quattro, sei e addirittura 18. Sempre peggio, fino al record di tre giorni ». Molto spesso, dice, «la luce la riattaccano di notte, quando non serve. Però siamo preparati, lasciamo sempre l’interruttore della camera acceso così ci svegliamo e mettiamo tutto in carica». Non lasciano nulla attaccato alla presa «per gli sbalzi di tensione, temiamo scoppi un incendio o si rompano». Ricaricano anche «i vecchi telefonini sepolti negli armadi, ora li usiamo come torce». La luce, in casa, serve anche d i giorno. «Torno dal lavoro alle 15, ma per il pericolo delle bombe abbiamo chiuso le finestre con plastica e legno». La giornata è prevenzione: «Preparo sempre qualcosa di cotto per il giorno dopo». In casa «vivo con le candele, ma è pericoloso. Torin, il cane, ne ha fatto cadere una dal mobile sul divano». È tutto più difficile, «Mio marito mi manda i soldi sulla carta via telefonino, ma senza corrente saltano connessione e pagamenti elettronici » e a Kiev quasi nessuno gira col contante. «I filobus sono fermi, senza corrente». A casa, poi, «Ania ha paura del buio, la devo accompagnare anche in bagno». Ma l’idea è resistere: «Ruslan e Timur sono qui: per questo non sono partita per la Polonia».
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