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La Stampa Rassegna Stampa
21.11.2022 Nelle camere della tortura
Cronaca di Rick Mave

Testata: La Stampa
Data: 21 novembre 2022
Pagina: 13
Autore: Rick Mave
Titolo: «Nelle camere della tortura»
Riprendiamo oggi, 21/11/2022 dalla STAMPA, a pag. 13, con il titolo "Nelle camere della tortura", il commento di Rick Mave.

RickMavePhotography | Sedition
Rick Mave

Israel reportedly leaning toward sending defensive military aid to Ukraine  | The Times of Israel

Un cavalcavia crollato ci costringe a scendere dall'automobile e fare un pezzo di strada a piedi. Tra la polvere dei fuoristrada che passano, vediamo dei militari legare la loro Lada a un'altra auto perché questa la rimorchi in salita. Mentre camminiamo di fianco alle macerie notiamo tra l'erba incolta un quadrato di terreno demarcato con del nastro bianco e rosso dove sono deposte le bombe, i missili e le mine ritrovate dalle forze speciali che stanno sminando l'area. Incontriamo la vice ministra ucraina degli Affari Esteri, afferma che finora almeno 100 persone sono state uccise o ferite dalle mine anti-uomo. Sono state ritrovate 2000 armi di vario genere abbandonate dai russi in fuga e 5000 ordigni inesplosi sono stati fatti brillare. Riferisce che all'interno della regione di Kherson sono stati sminati 200 km di territorio e anche la linea ferroviaria che collega Mykolaiv a Kherson, circa 50 km, è stata ripulita dalle mine. Ci vorranno, dice, tra i cinque e i sette anni per sminare tutta la nazione. Precisa, inoltre, che il loro lavoro si sta focalizzando principalmente sulle infrastrutture e sui centri abitati per assicurare quanto prima una normale ripresa della vita civile. Alla conta mancano tutte le zone boschive, i fiumi e, logicamente, tutti i luoghi ancora sotto l'occupazione russa. Raggiunto l'altro lato della strada interrotta, risaliamo sulla nostra automobile. Raggiungiamo un luogo nella periferia della città di Kherson, qui 17 Teroborona, forze di difesa territoriale, nei primi giorni dell'invasione russa hanno stoicamente opposto la prima resistenza al tentativo dei russi di arrivare in città, erano equipaggiati solamente di kalashnikov e amor di patria, tutti uccisi e schiacciati senza pietà dai mezzi blindati di Mosca. In un campo una croce con dei fiori e una targa in legno ricorda il loro sacrificio. Qui la polizia scientifica ucraina cerca le prove di possibili crimini di guerra. I loro corpi, abbandonati nel fango, sono stati in quel campo per due giorni prima che un prete coraggioso andasse a recuperarli tutti e gli desse una degna sepoltura. Li chiamano, a ragione, eroi, morti per la libertà. Abbandoniamo questo luogo sacro per gli abitanti di Kherson e ci dirigiamo in un centro di detenzione russo, dove, dicono, gli occupanti interrogavano, incarceravano e torturavano gli ucraini sospetti. Il luogo si trova all'interno di un centro abitato, in una zona popolare, vi è un grande portone sovrastato da filo spinato. Luogo prima anonimo, divenuto tristemente famoso per i residenti del quartiere che sentivano le urla disumane provenienti dall'interno a tutte le ore, raccontano, difficili da dimenticare. I motivi per cui si rischiava di essere detenuti in questo luogo, secondo gli abitanti della città, potevano essere di ogni genere e sempre futili: essere parenti di un soldato, indossare abiti tradizionali, avere un tatuaggio sospetto, essere al telefono al momento sbagliato e nel luogo sbagliato. Alcuni uscivano da lì dopo giorni di scosse elettriche e percosse, frastornati, altri sono scomparsi, forse deportati in Crimea. All'ingresso, buttata su una sedia, c'è una fotografia di Putin con il vetro distrutto, probabilmente il quadro era appeso in qualche stanza all'interno della struttura. I muri sono pieni di segni e scritte in russo, su uno si legge «Zelya, stiamo arrivando», riferendosi al presidente ucraino Zelensky. Visitiamo le stanze dove ci raccontano che i detenuti subivano torture con cavi elettrici, venivano picchiati e seviziati. Nelle celle che i militari ucraini ci mostrano c'è un gran caos, sporcizia, divise militari abbandonate, cavi per terra. Un uomo, Maksim di 45 anni, racconta di essere stato detenuto in questo luogo il 15 di marzo per due settimane e di aver subito torture con scosse elettriche, percosse e violenza psicologica. Anche lui ricorda le urla di sofferenza degli altri detenuti, soprattutto durante la notte. La sua unica colpa era quella di essere un ex soldato ucraino. In questi luoghi ci raccontano di torture e uccisioni che è impossibile non credere che siano avvenute, ma difficili da provare. La guerra abilita l'uomo a dare sfogo impune ai suoi istinti più brutali, porta alla disumanizzazione del nemico tanto da non provare più umanità nei suoi confronti. Né pietà, né empatia. Percorriamo i corridoi semibui, scendiamo al piano di sotto dove ci sono altre stanze, qui, ci dicono, si tenevano gli interrogatori e le torture. In una di queste troviamo su un tavolo fogli stampati in russo da compilare durante gli interrogatori, grandi «Z» coprono le pareti. Una camera ci colpisce particolarmente, è vuota, asettica, con una sedia al centro e null'altro. Una finestra rischiara la stanza con la luce che filtra attraverso le sbarre nascoste da una tenda. Un quadro appeso ad una parete spoglia annuncia minaccioso: «Mentire fa male alla salute».

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