Una giornata qualunque in Israele L'attentato di Haifa raccontato da Angelica Calò Livné
Testata: Tempi Data: 19 marzo 2003 Pagina: 1 Autore: Angelica Calò Livné Titolo: «Come si vive in Israele?»
Riportiamo un articolo di Angelica Calò Livné pubblicato su Tempi mercoledì 19 marzo 2003 Entro nella palestra del kibbutz, sono circa le tre del pomeriggio, metto in moto il rullo di marcia e inizio a camminare. Una donna del kibbutz mi dice: «C’è stato un altro attentato, un’ora fa! A Haifa, all’ora di punta, un terrorista si è fatto saltare su un autobus di linea che parte da una delle scuole più grandi della città e fa capolinea all’Università. Era pieno di ragazzini e di studenti!». Scendo come un automa, accendo la Tv e torno a camminare. Sullo schermo le immagini dell’autobus sventrato. Gli sguardi sgomenti della gente e io inizio a correre. Fisso lo schermo e mi sento rabbrividire dalla nausea. Per cosa corro? Per dimagrire un altro kg? Per essere più bella? Inizio a pensare alle madri dei ragazzi che erano nell’autobus che in quel momento staranno impazzendo di preoccupazione, corro e penso che posso restare là a correre perché né il mio compagno, né nessuno dei miei figli si trova a Haifa. Corro e sento che la vita non ha nessun valore. Che la vita di un israeliano, ebreo, cirkasso o cristiano che sia, non ha nessun valore ed è in mano del destino. Essere al posto sbagliato al momento sbagliato significa che in un attimo non ci sei più! Altre 50 famiglie domani mattina si risveglieranno disfatte e penso a Suha Arafat... chissà se anche lei piange per il ventenne palestinese che si è suicidato un’ora fa o per la sua famiglia. Chissà se le mogli dei capi palestinesi che mandano quei ragazzi a devastare Israele, si vergognano o sentono la nausea come tutti qui in Israele dopo ogni attentato? Dopo dieci minuti chiudo e me ne vado a casa. Tra i primi volti che appaiono tra le vittime c’è un ragazzo di Zfat dove è situato il Liceo dove insegnamo il mio compagno e io. A scuola la foto di Daniel Harush è attaccata al muro e sotto decine di lumini del ricordo. Il preside chiama tutti i docenti in Sala professori: «Oggi è il primo giorno del mese di Adar, il mese del carnevale ebraico. Alle 11.00 ci sarà uno spettacolo di musica e danze del Brasile, abbiamo deciso di lasciare il programma inalterato. Ciò che vogliono i nostri nemici è distruggere il nostro spirito, toglierci la voglia di vivere e noi, come educatori, abbiamo il dovere di essere forti ed aiutare i nostri ragazzi a continuare a vivere normalmente». Nel corridoio mi avvicino a un’insegnante che cammina a testa bassa con gli occhi gonfi, le poso una mano sulla spalla, mi dice: «Dobbiamo sostenere i ragazzi... ma a noi chi ci sostiene?». Al termine, un’altra docente: «Era lo spettacolo giusto... anche se mi è stato difficile accettare questa decisione. I brasiliani sanno qual è il valore della musica, della danza... chi soffre, chi ha poco di tutto sa amare tutto di più!» Sorrido anch’io, sento ancora una volta il nodo in gola e penso a tutti coloro che mi chiedono come si vive in Israele. Ecco. In Israele si vive cosi!
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