La rivolta popolare farà nascere un Iran democratico? Analisi di Antonio Donno
Testata: Informazione Corretta Data: 21 novembre 2022 Pagina: 1 Autore: Antonio Donno Titolo: «La rivolta popolare farà nascere un Iran democratico?»
La rivolta popolare farà nascere un Iran democratico?
Analisi di Antonio Donno
Ciò che scuote oggi la precaria stabilità del Medio Oriente è la massiccia rivolta delle nuove generazioni, donne e uomini, in Iran. Questa rivolta dura molto più delle altre occasioni in cui il popolo iraniano – soprattutto giovani – ha contestato duramente il regime assassino degli ayatollah. Il fatto è la dimostrazione che la libertà repressa e le gravi condizioni di vita della popolazione potrebbero essere giunte al limite della sopportazione. Più il regime si irrigidisce nella persecuzione e nella negazione delle più elementari libertà – è il caso del governo di Raisi – più il popolo iraniano prende atto che la situazione del Paese è insostenibile. Nonostante che i governanti assassini continuino a sostenere che l’unità dell’Iran non è in gioco, le attuali sommosse che si sviluppano quotidianamente da nord a sud stanno a dimostrare il contrario.
Qual è la reazione delle democrazie occidentali di fronte a tanto scempio? Mentre nelle precedenti rivolte i dimostranti avevano sostenuto la loro indipendenza dalle influenze occidentali, in questo caso appare chiaro che l’insurrezione ha acquisito un fortissimo rilievo anti-religioso, perché esse sostengono apertamente che i principi islamici sono utilizzati dai governanti per reprimere, perseguitare, uccidere coloro che invocano libertà e pane, ma non coinvolgono in alcun modo le basi religiose della loro società. In sostanza, I rivoltosi accusano i loro governanti di servirsi della religione per conservare il potere sanguinario di cui dispongono e per alimentarlo con la repressione.
Sarà in grado questa rivolta di rovesciare il regime di Teheran? Finora i dimostranti non hanno fatto alcun uso di armi al fine di non far esplodere una repressione su vasta scala; d’altro canto, benché ormai la rivolta abbia portato all’uccisione di centinaia di giovani dimostranti da parte della polizia morale governativa, il governo non ha alcun interesse a mettere in atto una repressione sanguinaria su vasta scala. Quest’impostazione porterebbe a una guerra civile e alla reazione della comunità internazionale. Un evento, questo, che, accanto ai fatti di Ucraina, creerebbe una situazione internazionale di enorme gravità. Il regime sostiene a gran voce, e non è una novità, che dietro la rivolta vi siano gli Stati Uniti e il mostro sionista. Ma la ripetizione ossessiva di questo slogan non ha alcuna presa sui rivoltosi. Forse neppure le vecchie generazioni ci credono più. La fame e la miseria sono così diffuse da non lasciare spazio alle chiacchiere degli ayatollah.
L’atteggiamento delle potenze occidentali di fronte a ciò che sta accadendo in Iran è, per ora, di osservazione e valutazione dei fatti. La guerra in Ucraina concentra tutte le attenzioni, in particolare dopo l’incontro del G20 a Bali, in conclusione del quale gli occidentali sperano che il cinese Xi metta in atto un’iniziativa di dissuasione nei confronti di Putin. Nessuna esplicita condanna, da parte delle Potenze occidentali, della repressione in atto in Iran. Gli Stati Uniti ritengono forse che il loro silenzio possa garantire, una volta repressa la rivolta, che l’Iran torni al tavolo delle trattative a Vienna? Pura illusione. Se la rivolta fosse repressa – e questo potrebbe avvenire solo in un modo straordinariamente sanguinario – il governo di Raisi trarrebbe da tale conclusione la certezza della solidità del regime, dell’amicizia della Russia e della centralità dell’Iran nel contesto mediorientale, il tutto a danno di Israele. È il caso che Washington valuti ciò che sta accadendo in Iran con uno sguardo proiettato sul futuro del Medio Oriente.
Per di più, v’è da considerare con la massima attenzione la politica internazionale di Erdogan. Nonostante le pessime condizioni economiche del suo Paese, il tiranno turco media abilmente, da una parte, sulle faccende ucraine, acquisendo così un ruolo preminente nello scenario internazionale; dall’altra, si lega sempre più al regime iraniano, intendendo, in questo modo, allargare l’influenza della Turchia nel Medio Oriente, a danno di Israele. È tempo, dunque, che la politica internazionale di Washington, dopo i soddisfacenti risultati nelle elezioni di medio termine, proietti la sua presenza nella regione mediorientale, tenuto conto – come tutti gli studiosi di relazioni internazionali sanno – che la storia internazionale, soprattutto oggi, è un tutt’uno e che i riflessi di un fatto possono ricadere su un altro evento, anche a grande distanza.