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Il Foglio Rassegna Stampa
18.11.2022 Putin alleato con la Corea del Nord
Analisi di Giulia Pompili

Testata: Il Foglio
Data: 18 novembre 2022
Pagina: 1
Autore: Giulia Pompili
Titolo: «Il vantaggio di Kim»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/11/2022, a pag.1, con il titolo "Il vantaggio di Kim" l'analisi di Giulia Pompili.

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Giulia Pompili

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Seul, dalla nostra inviata. L’ennesimo test missilistico nordcoreano non diventa più nemmeno una breaking news da rilanciare sui giornali internazionali. Ieri, attorno alle dieci e mezzo del mattino, il regime di Pyongyang ha lanciato un missile balistico a corto raggio verso le sue acque orientali dalla città costiera di Wonsan. Subito prima, la ministra degli Esteri nordcoreana Choe Son Hui aveva diffuso un comunicato con la solita retorica belligerante. Secondo la funzionaria di Pyongyang, il trilaterale avvenuto domenica tra il presidente americano Joe Biden, il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol rappresenta una minaccia, e a questa minaccia la Corea del nord risponderà “con una minaccia più seria, realistica e inevitabile contro gli Stati Uniti e le sue forze vassalle”. Non solo di Taiwan, l’isola che la Cina rivendica come proprio territorio, ma anche di Corea del nord si è parlato spesso in questa settimana di summit asiatici tra la Cambogia e Bali. E si è parlato soprattutto del concetto di “deterrenza estesa”, cioè di show di forza collettivi e multilaterali che facciano desistere Pyongyang dal tenere atteggiamenti sempre più aggressivi (show di forza utili anche in funzione anticinese). Il problema, semmai, è che la guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina ha cambiato tutto. Tra una settimana il governo di Yoon pubblicherà la sua strategia ufficiale con la Corea del nord, e tra i corridoi del ministero dell’Unificazione c’è un dettaglio che è impossibile da ignorare. Da quando il Cremlino ha iniziato la sua guerra d’invasione dell’Ucraina, quella guerra è diventata un ombrello di sicurezza per paesi come la Corea del nord. Il rapporto tra Corea del nord e il resto del mondo è precipitato nel 2019, dopo il summit di Hanoi tra Kim Jong Un e Donald Trump – che pure martedì scorso, annunciando la sua candidatura nel 2024, ha detto che la sua relazione con Kim era “molto buona”. Ma il vero protettore di Kim è altrove: se il regime guidato da Kim Jong Un domani dovesse sparare un missile balistico intercontinentale, o eseguire il suo atteso settimo test nucleare, sa che ulteriori sanzioni delle Nazioni Unite non lo colpirebbero. E’ la stessa Russia a criticare quelle sanzioni, e in questo momento il Consiglio di sicurezza dell’Onu è praticamente bloccato da due suoi membri, Russia e Cina, che evitano ogni azione contraria ai propri interessi. Qualche giorno fa il presidente americano Biden ha detto di non essere convinto che la Cina possa fermare una escalation sulla penisola coreana, e lo stesso Xi Jinping ha detto, durante il suo faccia a faccia con il presidente sudcoreano, che appoggerà la denuclearizzazione solo quando anche Kim sarà d’accordo. Ma è un gioco delle parti, commenta al Foglio una fonte che preferisce restare anonima per la delicatezza dell’argomento: “Sembra che la Cina guardi sempre più alla questione coreana come a un pezzo del suo conflitto con l’America”. Nel frattempo però le relazioni vanno sempre peggio. Non solo Pyongyang è sempre più aggressiva, ma ci si aspetta che da un momento all’altro la sua aggressività “raggiunga il picco” dell’escalation. E’ quello che viene raggiunto periodicamente, come in un ciclo infinito, prima di riaprire il dialogo. Il problema è che questo picco della fase di escalation – e l’abbiamo visto nel 2017 – è sempre più vicino a un conflitto. In questa fase di imprevedibilità nordcoreana, non si può escludere che esegua un test atomico ma nemmeno una provocazione come quella del 2010, cioè l’affondamento della nave da guerra sudcoreana Cheonan e il bombardamento dell’isola sudcoreana di Yeonpyeong (complessivamente cinquanta morti). Come si ferma, allora, una escalation simile prima che diventi il secondo fronte di crisi internazionale? “Tutti i giorni, alle 9 del mattino e alle sei del pomeriggio, un funzionario sudcoreano fa squillare il telefono dell’unica linea di collegamento con il liaison office del Nord”, spiega la fonte. Tutti i giorni lui telefona, ma nessuno gli risponde. E’ una storia di ostinazione, ma anche il segnale che i canali di comunicazione devono rimanere aperti, perché un telefono che squilla è uno strumento in caso di incidente.

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