domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
15.11.2022 A Kherson niente vittime civili
Analisi di Cecilia Sala

Testata: Il Foglio
Data: 15 novembre 2022
Pagina: 1
Autore: Cecilia Sala
Titolo: «A Kherson niente vittime civili»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/11/2022, a pag.1, con il titolo "A Kherson niente vittime civili", l'analisi di Cecilia Sala.

Cecilia Sala (@ceciliasala) | Twitter
Cecilia Sala

Guerra in Ucraina, le notizie di oggi. Zelensky: «Kherson è nostra,  giornata storica». Mosca: «La nostra ritirata non è un'umiliazione»

Kherson, dalla nostra inviata. C’è una coppia di fidanzati ventenni in mezzo alla piazza principale di Kherson, piazza della Libertà, che da quattro giorni è piena di gente che festeggia e canta: lui sventola una bandiera dell’Unione europea fatta in casa e più grande della misura standard, lei è avvolta in una bandiera gialla e blu dell’Ucraina. Ieri è arrivato qui anche il presidente Volodymyr Zelensky che guardando gli abitanti della città che prima era famosa per le sue angurie e ora lo è per i suoi partigiani ha detto: “E’ l’inizio della fine della guerra”. Questa storia comincia l’11 luglio, quando gli Himars – dei lanciarazzi americani che sparano a più di 70 chilometri di distanza con un margine di errore di nove metri dal bersaglio – vengono usati per la prima volta nella porzione occupata della regione di Kherson a ovest del fiume Dnipro per distruggere un deposito di munizioni russe. La discriminante non è la potenza della gittata (Kyiv aveva già in dotazione dei missili sovietici che sparano molto più lontano), ma la precisione. A metà agosto gli ucraini avevano reso inutilizzabili i due ponti principali di Kherson sul fiume Dnipro, il ponte Antonovsky lungo più di mille metri e quello più a est che percorre in parallelo la diga di Nova Kakhovka – bombardandoli con gli Himars. Da quel momento, i più lucidi tra i comandanti di Mosca hanno capito che la ritirata era una scelta obbligata. Il tempo che ci separa da allora è quello che è servito a spiegarlo a Vladimir Putin. Più di trentamila russi si sono ritirati perché erano rimasti isolati dai loro compagni, senza possibilità di avere cibo, carburante e munizioni se non per vie lunghe, lente ed esposte: quelli che avrebbero dovuto percorrerle per rifornirli sarebbero finiti nel mirino degli Himars. Così se ne sono andati ordinatamente, metodicamente, cominciando le evacuazioni con anticipo: non è stata una fuga precipitosa e sicuramente non è iniziata il giorno in cui è stata annunciata dal ministro della difesa Shoigu e dal generale Surovikin, il 9 novembre. Tanto che un comandante, Oleg Zubkov, durante la ritirata ha trovato il tempo di rapire un procione, una scimmietta e un lama di nome Roma dallo zoo di Kherson per portarseli nel suo parco safari privato in Crimea. Gli ucraini si dicono pronti a restituire a Mosca dieci prigionieri di guerra in cambio del solo procione. I russi se ne sono andati ordinatamente, gli ucraini sono avanzati ventiquattro ore dopo e non c’è stato nessun contatto tra i due eserciti, nessuna carneficina di soldati ucraini e di soldati russi, nessuna vittima tra i civili di Kherson. Per recuperare questi settemila chilometri quadrati di territorio e liberare centinaia di migliaia di ucraini dall’assimilazione forzata è bastata la pressione degli attacchi a spillo (precisi e specifici, contro i ponti e i depositi di munizioni) con gli Himars esercitata fino al punto di rendere impensabile l’ipotesi di restare. Tra aprile e novembre, Kyiv ha recuperato la metà del territorio che Mosca aveva occupato in Ucraina. Ma se la difesa della capitale è stata più di ogni altra cosa effetto del coraggio della resistenza ucraina, la liberazione silenziosa e indolore di Kherson è avvenuta grazie alla tecnologia delle armi regalate dagli occidentali. Gli ucraini non hanno solo dimostrato di saperle usare e di saperle proteggere (i russi hanno catturato o distrutto zero Himars americani in Ucraina), ma di farlo responsabilmente. Il principale ostacolo a regalare a Kyiv gli Atacms – i proiettili per Himars che permettono di colpire fino a 300 chilometri di distanza – era l’ipotesi che li usassero contro il territorio russo, ma è una preoccupazione che non sta più in piedi perché, a maggior ragione dopo la controffensiva nella regione di Kharkiv a settembre, gli ucraini sono arrivati fino a toccare il confine russo: basterebbe usare le munizioni già a disposizione per gli Himars e non servirebbero gli Atacms. Da quando queste armi precise sono nelle mani di Kyiv, da quattro mesi e mezzo, non sono mai state usate contro la Russia. Gli Himars hanno già costretto i russi ad allontanare le loro basi e i loro depositi dalla linea del fronte per proteggerli, e poi li hanno costretti a ritirarsi. Il centro di comando e deposito di armi russo a Chaplynka (nella porzione ancora occupata dell’oblast di Kherson) per quasi nove mesi è stata una base fondamentale da cui i russi hanno lanciato attacchi micidiali. Con l’avanzata ucraina a Kherson, alla fine di ottobre Mosca ha cominciato a smontarla e spostarla perché adesso quel punto sulla mappa è nel raggio dei razzi americani. Gli Atacms costringerebbero a uno spostamento un po’ più in là: in Russia.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT