Testata: Corriere della Sera Data: 14 novembre 2022 Pagina: 6 Autore: Andrea Nicastro Titolo: «Antenne, ponti, acquedotti: Kherson è ferita. Così i russi in fuga hanno fatto terra bruciata»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/11/2022, a pag. 6, con il titolo "Antenne, ponti, acquedotti: Kherson è ferita. Così i russi in fuga hanno fatto terra bruciata", l'analisi di Andrea Nicastro.
Andrea Nicastro
C’è un modo di conquistare le città, simile a quello di Gengis Khan, dei Crociati o degli antichi romani. E ce n’è un altro più moderno. Anche questo uccide, ma insomma è diverso. Mariupol è stata demolita a cannonate dai russi sino a che i difensori non si sono arresi. Città e civili obbligati a condividere la sorte dei loro protettori in armi. Un metodo d’assedio arrivato identico dalla notte dei tempi passando per Stalingrado, Dresda e Berlino. Diverso è stato l’assedio che ha permesso all’Ucraina di riconquistare Kherson. Le immagini che arrivano dalla città mostrano palazzi e strade sostanzialmente intatti. Missili di precisione hanno colpito basi militari, depositi, linee di collegamento, postazioni di artiglieria. Quello di Kiev era un bombardamento mirato contro le truppe russe che occupavano la città, non contro i condomini dei civili. Gran parte del merito va ai missili Himars americani capaci di raggiungere l’obbiettivo con un sistema di guida satellitare che si è dimostrato eccellente. Anche il tipo di esplosione pare adatto a un ambiente urbano. Il missile entra dal tetto ed esplode senza abbattere le pareti dell’edificio. Per chi ha la sfortuna di trovarsi dentro non c’è scampo, ma al di là del muro, un passante o cane randagio si prendono solo un gran spavento. Fondamentale è stata anche l’intelligence: combinazione tra le immagini di droni e le informazioni passate dagli abitanti. Costruita la mappa elettronica delle strutture militari, bastava inserire le coordinate nel missile e distruggere. Così sono stati centrati i gangli vitali dell’armata russa mentre Kherson è rimasta in piedi. I russi hanno dovuto ritirarsi perché rischiavano di non ricevere munizioni, benzina e uomini per rimpiazzare i morti. Quando ha deciso il ripiegamento sul lato orientale del Dnipro, però, il Cremlino ha dato un altro antico ordine: terra bruciata. Prima di andarsene le truppe di Mosca hanno sistematicamente sabotato le infrastrutture civili, sistemi di pompaggio dell’acqua potabile, centraline di scambio elettrico, impianti di teleriscaldamento, antenne telefoniche. C’è un logica. Sono supporti ai civili, ma agevolano anche l’arrivo dei soldati ucraini. A tre giorni dal ritiro russo, oggi Kherson deve essere sminata, riparata, resa vivibile. Potrebbe ancora trasformarsi in trincea in caso di controffensiva di Mosca e se non sarà comoda per i soldati ucraini, tanto meglio sarà per le forze di Putin. La devastazione lasciata sottrarrà a Kiev risorse ed energie per i combattimenti. Almeno per un po’. I russi sono dall’altra parte del ponte Antonovsky, a poco più di un chilometro e devono trincerarsi. «Si sono comportati allo stesso modo anche qui ad Arkhangelskoye, in campagna» spiega Alexandr. Sessantasei anni, vedovo, apicoltore, Alexandr è rimasto 8 mesi da solo sotto occupazione russa. «Non perché fossi dalla loro parte, ma perché non volevo lasciare le api e il mio capanno degli attrezzi». Lo rifarebbe? «Certo che no. Non sapevo cosa volesse dire un’occupazione. Sono vecchio, ma quando bombardavano ero più veloce di un centometrista a buttarmi in cantina». Alexandr racconta degli animali abbandonati dai compaesani fuggiti, dalle case occupate e svaligiate dai russi, «ma il peggio è stato quando se ne sono andati: quello che non avevano distrutto le bombe l’hanno rubato o vandalizzato. La mia auto è ancora qui solo perché ha un finestrino rotto da una scheggia e non l’hanno voluta». A meno di 500 metri in linea d’aria dalle arnie di Alexandr vive Viktor. Tra i due c’è il fiume Inhulets. Non è mai stato un problema incontrarsi perché Viktor è contadino, ma anche barcaiolo. Si arriva sulla riva, si urla «pereviznyk», traghettatore, e Viktor lascia la zappa per il remo. «I russi mi hanno distrutto 30 barche. Passavano col drone, le vedevano anche se io cercavo di nasconderle tra le canne, e le bombardavano». Perché? «Perché di notte traghettavo la gente verso l’area controllata dall’esercito ucraino». Quanti? «Due, tremila. Non li ho contati». Viktor è un eroe che è rimasto con un gommoncino giocattolo, ma ancora fa il traghettatore. Gratis per i profughi che adesso vogliono tornare. Il suo fiume è largo una dozzina di metri, profondo massimo due, ma ha funzionato da linea del fronte per mesi. I tank non possono passarlo, le sponde sono troppo ripide. Dodici metri di acqua veloce sono bastati. Ora il fronte è il fiume Dnipro, largo minimo un chilometro, in certi tratti anche otto. Kherson da una parte, russi dall’altra. Non sarà facile per nessuno. Ma gli Himars arrivano dove vogliono.
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