I nuovi gulag delle carceri russe dove muore la dissidenza Commento di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 13 novembre 2022 Pagina: 27 Autore: Anna Zafesova Titolo: «I nuovi gulag delle carceri russe dove muore la dissidenza»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/11/2022, a pag. 27, con il titolo "I nuovi gulag delle carceri russe dove muore la dissidenza", l'analisi di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Putin come Hitler?
La giovane Anja si sveglia sul materasso duro di una cella di prigione, dove è finita dopo essere stata arrestata durante una manifestazione di protesta a Mosca. Deve scontare dieci giorni di carcere per aver ripostato la notizia del corteo sui social. Ma la cella femminile n. 3 si rivela molto diversa da quello che la sua immaginazione di "oppositrice esperta" le dipingeva come le segrete del regime: è più simile a un campo estivo o a una stanza di ospedale, dove il problema principale sembra la noia. Le detenute ammazzano il tempo risolvendo cruciverba, discutendo di quello che mangeranno in mensa, raccontando storie e fumando sigarette, che ottengono da altri detenuti in cambio di caramelle o frutta, in un commercio clandestino gestito da secondini indifferenti. In questa anticamera dell'Arcipelago Gulag versione Duemila, Anja è l'unica detenuta politica: tutte le altre e tutti gli altri prigionieri sono finiti dentro per reati futili come la guida senza patente, un furtarello o l'ubriacchezza molesta, e la guardano con condiscendente stupore, senza provare la minima curiosità o simpatia per la sua protesta. Il romanzo d'esordio di Kira Jarmyš, Gli incredibili eventi della cella femminile n.3" (Mondadori), ha fatto il tutto esaurito nelle librerie di Mosca, due anni fa, non soltanto perché era firmato dalla portavoce di Alexey Navalny, che seduta accanto al leader dell'opposizione russa, il giorno che entrò in coma durante il volo aereo che li riportava a Mosca dalla Siberia, avvelenato dai servizi segreti di Vladimir Putin. Classe 1989, laureata in giornalismo presso il prestigioso Istituto di relazioni internazionali di Mosca, la scuola dei figli dei vip dove lei è entrata senza esami di ammissione ma per aver vinto un concorso per piccoli geni, è uno dei volti del movimento navalniano, dove le donne, giovani, belle, istruite e coraggiose, sono numerose e carismatiche quanto e più degli uomini. Il romanzo di Jarmyš è infatti una declinazione al femminile dell'inesauribile "letteratura della prigione", un tema classico della letteratura russa da due secoli. Ma è molto più di un testo di denuncia: è un romanzo di crescita di una ragazza arrivata dalla provincia alla conquista di Mosca, e la parabola di un'intera generazione, la prima per la quale il diritto alla protesta – contro l'autoritarismo, la corruzione, ma anche le molestie sessuali che i superiori considerano privilegio integrante della loro posizione gerarchica – era diventata naturale e perfino trendy, quanto un sushi o un caffè di Starbucks. Ma soprattutto la cella n.3, e più in generale la prigione, è un micromodello della Russia, dove la giovane dissidente si scontra con il Paese per la libertà del quale combatteva in piazza. Le compagne di prigionia di Anja sono una galleria di personaggi femminili molto diversi, dall'alcolizzata Irka alla escort Maja, che ha trasformato il suo corpo secondo gli standard estetici dei suoi clienti. La prigione ha un volto di donna, anche dall'altra parte si trovano secondine, poliziotte, dottoresse e magistrate, ma il legame empatico con le detenute non scatta: sono semmai le guardie e i detenuti maschi a mostrarsi più complici e premurosi, ma anche sottomessi rispetto al potere femminile. Entrare nella cella n. 3 significa vivere un rito iniziatico, e Anja scopre che l'esperienza della reclusione le ha conferito, forse, un nuovo e terribile potere. Il vecchio detto russo dice che in Russia non ci si può mai sentire al sicuro dalla miseria e dalla prigione, e anche la versione più light del Gulag – soltanto dieci giorni in una casa circondariale di Mosca, dove si può usare il telefonino per 15 minuti al giorno e farsi portare sigarette e patatine dal supermercato – apre le porte dell'inferno. La legge che garantisce giustizia e diritti è un rito puramente formale, che nasconde un meccanismo di violenza il cui funzionamento prosegue implacabile e immutabile da decenni, e la Russia continua a dividersi in due popoli, «quello che sta dentro e quello che monta la guardia», secondo la formula del poeta Robert Rozhdestvensky. La scelta è sempre la stessa, piegarsi e adattarsi oppure impazzire e morire, e in quelle che forse più che allucinazioni sono visioni profetiche Anja comincia a vedere le sue compagne di sventura come creature mitologiche, e intuisce che dietro allo squallore della cella si nascondono tante tragedie di cui lei non aveva nemmeno sospettato l'esistenza. Un romanzo di attualità, che dall'attualità ha attinto ma che dalla stessa attualità è anche già stato superato – Kira Jarmysh ha descritto la sua esperienza di un mese dietro le sbarre per i tweet contro Putin, e lo stesso Navalny si è vantato di averla convinta a scrivere il romanzo. Navalny è tuttora rinchiuso in una cella di punizione di un carcere severo, con misure restrittive che violano perfino le leggi russe. Molti attivisti del movimento ispirato da lui sono in carcere o in esilio, e la generazione che sognava la libert, ora sta morendo nelle trincee ucraine, oppure è scappata dalla Russia, come la stessa Jarmysh, condannata e ricercata in patria. Le condanne a 10 giorni, assurde ed eccessive due anni fa, ora appartengono a un passato quasi da rimpiangere, in un Paese che incarcera ormai chi osa chiamare guerra la guerra. La Duma ha appena varato una legge anti-LGBT che rende quasi impossibile la pubblicazione di un romanzo con una protagonista attratta dalle donne. Difficilmente Jarmyš poteva immaginarsi che il suo bestseller – che molte librerie e fiere moscovite si sono rifiutate di esporre e presentare per paura di ritorsioni – sarebbe diventato in meno di due anni un libro di storia. Come la sua eroina Anja, faceva parte di coloro che credevano di poter demolire l'autoritarismo putiniano. Che invece è diventato una dittatura militare, grazie anche alla complicità e indifferenza di quella Russia che nel corso dei decenni si era abituata a vivere e sopravvivere dietro le sbarre.
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